Audrey Hepburn in hats: tutti i cappelli di un’icona di stile

Erano passati due anni dall’ultimo incontro, da quando Sabrina -protagonista del film omonimo interpretata da Audrey Hepburn– partì per Parigi. Al suo ritorno William Holden alias David Larrabee stenta a riconoscerla. Non è più la goffa figlia dell’autista di famiglia che lo spiava dalla cima di un albero: adesso Sabrina è diventata una donna. La cura dei dettagli e la classe del portamento sono suggerite dalle décolleté col tacco basso, dalla gonna lunga al polpaccio, dai guanti. Ma anche -se non soprattutto- dalla scelta di indossare un cappello. Un copricapo che sia segno di cambiamento ed eleganza.

 

Audrey in Sabrina

 

E se questa è solo la trama di un film, la passione di Audrey Hepburn per i cappelli è reale. Li amava perché grazie a loro poteva proteggere i capelli così importanti per il suo lavoro, ma soprattutto si divertiva a indossarne di nuovi e diversi, magari creati appositamente per lei. Lo aveva fatto Hubert de Givenchy, con il quale l’attrice strinse un sodalizio fondamentale per il suo stile dentro e fuori lo schermo, che per lei disegnò ad esempio il cappello maculato che indossa nel film Sciarada.

 

CHARADE, Walter Matthau, Audrey Hepburn, 1963

 

Un vezzo, un tocco di classe. Questo rappresentano i cappelli per Audrey. E proprio l’amore nei confronti di questo accessorio ha ispirato la raccolta di tutte le fotografie dell’attrice e dei suoi cappelli. Il libro, dal titolo Audrey Hepburn in hats che uscirà il 30 Giugno 2013 per la ReelArtPress,è a cura di June Marsh e comprende gli scatti di artisti dell’epoca come Dennis Stock, Bob Willoughby, Terry O’ Neill. Una sezione del volume è dedicata agli abiti e ai cappelli che Audrey Hepburn indossa nel celebre film My fair lady, per i cui costumi Cecil Beaton vinse il Premio Oscar l’anno successivo.

 

Audrey Hepburn in hats

 

Un’opera che ci guida tra le scelte di un’icona di stile, immagini memorabili e la consapevolezza che spesso è un accessorio a fare la differenza. Un tuffo nel passato, dunque. Ma anche nell’eleganza che, si sa, “è l’unica cosa che non sfiorisce mai”.

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