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19 maggio 2012: “quello che non ho” è la conclusione di questo articolo

Pare che i Modà si siano nascosti sotto al loro “tappeto di fragole” e “l’inferno” di Emma Marrone sia precipitato nel limbo di un ingrato oblio. Non li ascolta più nessuno, già dimenticati.
Oggi piace il vintage, il recupero costante di reperti d’annata, l’attitudine a rispolverare il passato per dar lustro al presente.
Travolge anche la musica questa ricerca dell’antico e recupera i grandi cantautori, quelli che erano “artisti” per davvero e belli non per forza, come cimeli da esaltare in una modernità che non sa più creare nulla e quindi riproduce e basta.
Adesso è il momento di Fabrizio De Andrè.

Una trasmissione della televisione generalista, sicuramente con alti intenti pedagogici, ha scelto come filo conduttore di un’“ode alla parola” lunga tre giorni, una sua canzone, l’ha arrangiata in tutte le solfe e ha scatenato una corsa alla ricognizione della discografia del cantautore genovese.
I testi più famosi si rimpallano sui social network in una gara al “chissà se la sai?”, quelli meno noti sono postati dai “radical chic” specialisti della musica “di nicchia”, citazioni virgolettate si estrapolano da contesti ignoti e si menzionano come gli aforismi attribuiti a caso a Jim Morrison.
In principio, bastava citare il testo audace di “Bocca di rosa” per sottolineare la conoscenza del “poeta anarchico” e il richiamo de “La canzone di Marinella” era un buon indizio per ribadire la completa familiarità con la lirica del “Faber” (così chiamato per evocare una certa confidenza). Ora non più.

A parte “Quello che non ho” triturata in ogni dove (che, a futura memoria, è, innanzitutto, il titolo della canzone di De Andrè, poi il titolo della trasmissione di Fazio &Co), ora con “una storia sbagliata” si comunica che una relazione d’amore è finita, “Don Raffaè” serve a far sapere al mondo che si è in pausa caffè, mentre “Andrea” si rende l’originale omaggio canoro all’amico che compie gli anni.
Un rimpianto si descrive come “giorni perduti a rincorrere il vento”, un sorriso è “un solco lungo il viso”, “mille papaveri rossi” sono un gentile dono floreale, “dal letame nascono i fior” la secca risposta a chi scrive che “un diamante è per sempre”.
I contesti in cui finiscono i componimenti non saranno propriamente azzeccati, ma sia benvenuto il ritorno alla gloriosa musica del Bel Paese.

Ben vengano Dalla, Battisti e De Andrè, purché non si imprigioni la loro arte (nel senso più puro del termine) nella rete di una blasfema notorietà intessuta dal movimento modaiolo dei musicanti laici.

Perché il rischio di spingerla nel burrone di una volgare mercanzia commerciale c’è e confonde, anche in questo caso, lo stile con la moda.
Ci sono canzoni che non si ascoltano, ma si vivono in un pezzetto di esistenza.
Ci sono testi che non si cantano, ma si sentono dentro come parti di emozioni.
Ci sono musiche che non s’intonano, ma suonano in silenzio ed evocano sensazioni.
Scovarle nel mare magnum dell’odierno opificio di canzonette è una boccata di ossigeno nell’aria asfittica di una cantina che conserva vuoti a rendere, mai riscossi.

…… ……

Questo pezzo avrebbe avuto la sua conclusione, se alle 7:45 del 19 maggio 2012 non fosse accaduto nulla.
Impossibile continuare a scrivere, tantomeno cercare di descrivere qualcosa di irrazionale che non può essere spiegato.
Un foglio che resta bianco, l’unica chiusura possibile.

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