Quello stano caso dei Sessanta.

Ovvero, contaminazioni dalla “Beat age”.

Sessanta

La moda è ciclica si sa, ma quella degli anni Sessanta rappresenta un caso assai bizzarro. Sono trascorsi cinquant’anni e diverse generazioni eppure, lo stile di quel decennio, pare non voglia proprio passare di moda. Ciò a cui assistiamo è una vera e propria contaminazione che, attraverso precisi codici e simboli, propone il remake di un’epoca che continua ad entusiasmare le moderne generazioni.

Elementi come stili alla Swinging London, stivali bianchi alla Courrèges, capelli alla Beat generetion, ci sembrano molto più familiari oggi che ieri. Per non parlare di lei, l’indiscussa regina degli anni Sessanta, la minigonna che, come una vecchia veterana ma con discrezione, diventa la protagonista dell’ultima Fashion Week milanese. Oltre alla moda, pare che anche il cinema e la pubblicità siano rimaste più volte folgorati da questa strana influenza dal passato.

Nel primo caso, Due partite di Enzo Monteleone, tratto dalla omonima pièce teatrale di Cristina Comencini e ritenuto dalla critica importante testimonianza storico-sociale, è la proposta cinematografica che, a mio avviso, rappresenta maggiormente il richiamo dei Sessanta. Stesso pensiero risulta valido per una pubblicità in particolare, quella che reclamizza un nota società finanziaria e che, per lanciare il proprio messaggio di “fiducia”, inneggia ad un Woodstock tutt’altro che retrò. Ma quello che potrebbe scioccare è l’ennesima “ri-ri-produzione” dell’immagine dei Beatles: dalla riedizione degli album, alle pubblicazioni firmate John Lennon ed edite Mondadori; dalle collezione che Original Marines dedica loro nel 2009, alle componenti di puro designe di “ispirazioni yellow submarine”, solo per citarne alcuni.

Semplici trovate commerciali? Forse! Ma se esiste ancora un mercato che di questo si sfama, significa che siamo di fronte ad un qualcosa che va oltre a delle semplici teorie di marketing. Si potrebbe trattare di  strategia per soddisfare eterni malinconici? Troppo riduttivo se si pensa che è proprio la nuova generazione ad emulare il passato.

Di fronte a tutto ciò, interessante sarebbe chiederci che cosa spinge le nuove generazioni ad agganciarsi ad un’epoca così lontana. Le possibilità sono diverse. Certo, la mancanza, oggi, di quel senso di fiducia verso il tempo in cui si vive, che  caratterizzava gli anni Sessanta,  spinge mode, modi e stili di vita a citarli di continuo. Del resto, se si pensa che quella di oggi, è la generazione no-future – così la definivano i quotidiani nazionali qualche anno fa – la generazione del “post” che, disgraziatamente, viene dopo ogni scoperta, ogni conquista, ogni certezza, la tesi prima espressa potrebbe sembrare più che valida.

Lontani dai capelloni e dalle loro ninfette, da Mondo Beat, dalla minigonna, da Marcuse e dai viaggiatori del Dharma, i disgraziati no-future, si rifugiano, quindi, in una sorta di limbo in attesa di un nuovo Sessantotto imitando, su molti fronti, quello già trascorso. E allora ecco che la contaminazione è fatta! Il passato ritorna pronto a colmare quel vuoto che, le generazioni post-sessanta hanno lasciato dopo essersi sfamate della modernità appena in fasce. Uno strano caso quello degli anni Sessanta che racconta di un’epoca passata estremamente attuale.

 

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