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“Let’s clean up fashion”: l’ultima sfida lanciata da Greenpeace alla moda

Greenpeace è uno dei più grandi movimenti ambientalisti del mondo, che utilizza azioni dirette per denunciare in maniera creativa i problemi ambientali promuovendo soluzioni per un mondo più verde e di pace. Cosa centra, vi chiederete voi, un’organizzazione che tutela l’ambiente con la moda? Il binomio sarebbe perfetto se l’obiettivo fosse una moda più sostenibile e rispettosa del pianeta, ed è proprio a queste “azioni creative” che ci si riferisce oggi, quando si parla di “Fashion Duel”, la nuova campagna ambientalista che Greenpeace sta portando avanti sfidando la moda ad una produzione meno dannosa nei confronti del nostro ecosistema.

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La settimana della moda a Milano si è infatti aperta quest’anno con un’insolita e stravagante sfilata verticale sui muri del Castello Sforzesco ad opera degli attivisti di Greenpeace, che un’ora prima dell’apertura della fashion week hanno fatto irruzione nello storico palazzo salendo su una torre dalla quale hanno srotolato uno striscione su cui era raffigurato il guanto di sfida lanciato dalla loro campagna ambientalista Fashion Duel al mondo della moda. Campagna che nasce con l’unico obiettivo di ripulire la moda per assicurare ad ogni consumatore prodotti non contaminati da fenomeni di deforestazione e avvelenamento acquifero. Dal curioso green carpet una modella-climber ha effettuato una sfilata verticale rivoluzionando e capovolgendo il concetto di sfilata. Una passerella che sarebbe una sfida per chiunque, e sfidare la moda nella giornata inaugurale delle sfilate milanesi è stato un modo per attirare l’attenzione delle maison sui problemi del pianeta e gridare allo stesso fashion system che la Terra ha bisogno di essere salvata da un veleno prodotto dalle stesse case di moda, che realizzano capi senza nessun riguardo dell’ecosistema, da cui provengono le materie prime utilizzate. Con questa azione, come sostiene Chiara Campione, responsabile della campagna di Greenpeace, è stata rilanciata la sfida alle 15 maison d’Alta Moda presenti nella classifica TheFashionDuel alle quali si chiede di impegnarsi nell’unica vera tendenza che rispetta il pianeta, ossia una moda non contaminata dalla deforestazione e da sostanze tossiche.

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Il questionario sottoposto a questi brand riguarda il loro rapporto con i processi produttivi, e le domande si concentrano sulle politiche per gli acquisti del pellame, dato che in quei luoghi l’industria del bestiame occupa il 62% delle aree deforestate, contribuendo al cambiamento climatico e causando effetti negativi sulle popolazioni indigene. Si cerca di scoprire dunque se la pelle usata dalle griffe proviene da questi allevamenti, che impoveriscono di verde l’Amazzonia. Altro punto fondamentale di indagine sono le politiche per gli acquisti della carta. Greenpeace lotta da tempo su questo versante, contro il disboscamento della foresta Indonesiana, causata anche dai comportamenti irresponsabili dei fornitori delle maggiori multinazionali. Sul fronte del fashion, parte delle confezioni utilizzate per il packaging è ricavato dalla distruzione di queste zone verdi, abbattendo così l’habitat naturale di molte specie animali, sopratutto quello della tigre di Sumatra. L’organizzazione ambientale cerca per cui di svelare, collaborazione permettendo da parte delle maison, se la carta usata per i packaging di lusso è prodotta da multinazionali come quelle, che proprio lì in Indonesia, distruggono intere foreste pluviali. Per quanto riguarda invece la produzione tessile l’indagine verte sul controllo delle sostanze tossiche utilizzate nelle filiere produttive, che possono compromettere le risorse idriche globali, e che sono quindi causa di un triplice inquinamento, sia per gli uomini, che lavorano nelle fabbriche dove vengono usate per trattare i capi d’abbigliamento, sia perché contaminano le falde acquifere dei paesi in cui la filiera produce, sia pure perché vengono rilasciate nell’acqua di lavaggio una volta comprato l’abito rendendo tutte le acque dei territori inquinate, e i cittadini quasi colpevoli per averlo acquistato. Greenpeace ha perciò richiesto ai maggiori brand di aderire alla campagna “detox your future”: alcune case d’Alta Moda hanno accettato la sfida, altre no.

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In questa classifica le maggiori griffe sono state valutate in base alla trasparenza delle filiere produttive, delle politiche ambientali messe in atto, e per la loro disponibilità ad un impegno serio per dire basta all’inquinamento ambientale. L’unico marchio ad impegnarsi per raggiungere gli obiettivi Deforestazione Zero e Scarichi Zero nella propria produzione è Valentino Fashion Group, che ha dimostrato trasparenza di produzione e disponibilità ad un impegno più serio e costante sui temi ambientali sposando la causa “no alla deforestazione e all’inquinamento del pianeta”. Altri brand come Ferragamo, Armani, Luis Vuitton, Dior, Gucci, Ermenegildo Zegna e Versace hanno dimostrato trasparenza nei confronti della politica sociale e ambientale, ma il loro impegno è ancora parziale per il raggiungimento totale degli obiettivi prefissati dall’organizzazione ambientalista. Altre aziende invece, nonostante le ripetute richieste da parte di Greenpeace si sono rifiutate di fornire le informazioni necessarie per un’accurata valutazione dei loro metodi produttivi. Durante la fashion week milanese maison come Prada, Dolce & Gabbana, Trussardi, Roberto Cavalli, Alberta Ferretti, hanno svelato le tendenze della moda per la prossima stagione, ma secondo Greenpeace continuano ancora a nascondere cosa c’è dietro agli abiti, che sfilano in passerella nonostante la continua richiesta da parte degli attivisti di far luce sui propri sistemi produttivi, mettendo al corrente i propri clienti su cosa fanno queste grandi griffe per evitare fenomeni come il disboscamento in Amazzonia e Indonesia, e la contaminazione delle risorse idriche globali. Se queste aziende detengono il potere di dettare le tendenze in tutto il mondo devono anche capire, secondo gli attivisti, che per la prossima stagione l’unico mood glamour deve essere quello di una moda senza distruzione.

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Altre manifestazioni di protesta nel quadrilatero della moda di Milano sono state i “clean graffiti”, che hanno invaso le vie dello shopping, una tecnica per creare immagini e messaggi temporanei sui marciapiedi rimuovendone lo sporco sulla superficie. Un nuovo modo per lasciare un messaggio alle case di moda chiedendo loro di adottare politiche di acquisto della pelle e della carta per il packaging a Deforestazione Zero eliminando le sostanza tossiche attraverso un concreto impegno a Scarichi Zero lungo la propria filiera. Al terzo giorno della fashion week il capoluogo per eccellenza della moda si sveglia con un’altra sorpresa. La scultura di Maurizio Cattelan, nota come “Il Dito” è stata ricoperta da un guanto verde, il simbolo della campagna The Fashion Duel, che è così arrivato fino a Piazza Affari. Alla base della scultura gli attivisti hanno esposto uno striscione con su scritto “La moda vende sogni, ma così è un incubo per il pianeta”.  

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I guanti verdi di Greenpeace hanno così sfidato il mondo dell’Alta Moda in ben 24 città italiane tra cui appunto Milano, Firenze, Roma e Palermo. Non solo in territorio nazionale, ma il guanto per ripulire la moda è giunto anche oltre oceano durante la New York Fashion Week, dove è stata inviata una squadra speciale di ambientalisti, che armati di guanti, spugne e slogan hanno presenziato davanti le boutique delle più importanti maison di moda per protestare contro la loro indifferenza ai problemi del pianeta. Dopo New York e Milano, Greenpeace arriva anche nella Ville Lumiére impegnata con le sfilate parigine per inaugurare le collezioni per la stagione autunno-inverno 2013-2014. Ai Jardin des Tuileries gli attivisti con tanto di guanto verde indosso, si sono esibiti in una speciale passerella proprio di fronte al luogo in cui si svolge la Fashion Week di Parigi e successivamente non contenti del risultato sono entrati in azione nelle vie cult della moda francese, avenue Montaigne e George V, dove hanno recapitato nuovamente alle boutique di Chanel ed Hermés, simboli dello chic made in France, ma capitolate agli ultimi posti della classifica di Greenpeace per non essersi rese disponibili al dialogo e irresponsabili nei confronti dei consumatori, l’invito ad una moda più verde e in equilibrio con il pianeta e ad impegnarsi sulla strada della sostenibilità ambientale. Dopo le iniziative prese durante le diverse fashion week sparse per il globo, i volontari dell’associazione non si arrendono all’indifferenza o al mutismo, ma passano di nuovo all’attacco distribuendo i guanti della sfida direttamente ai negozi più “incriminati” quali Prada, Dolce & Gabbana, Trussardi per rinnovare la proposta di schierarsi a favore dell’ambiente.

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The green glove challenge è diventato l’accessorio più cool del momento e già più di 25mila persone hanno aderito allo slogan “Let’s clean up fashion” firmando la petizione di Greenpeace al sito Thefashionduel.com. La campagna è stata aiutata molto anche dal video, virale e provocatorio, lanciato per la protesta. Testimonial d’eccezione è Valeria Golino, scelta per il suo carisma magnetico e potente, in grado di interpretare Madre Natura, che si ribella e si ripulisce dai mali che affliggono il pianeta. I consumatori sposano a pieno titolo la causa di una moda più eco-sostenibile nel rispetto della terra in cui si vive. Sì a una moda bella e di qualità, ma che non lasci sul suo strascico distruzione e inquinamento. La richiesta alle aziende è quindi quella di adottare politiche di acquisto e produzione non nocive, ergo a impatto zero, creando pure prodotti esclusivi, ma solo se questi rispettano il nostro Pianeta. La Camera Nazionale della Moda Italiana, che ha tra i propri associati diversi brand interpellati da Greenpeace, ha diffuso un comunicato a tal proposito ricordando, che aveva già avviato un’azione di sensibilizzazione sul tema dell’eco-sostenibilità, che ha dato vita alla realizzazione del Manifesto della Sostenibilità per la Moda Italiana presentato pubblicamente nel Giugno 2012. Pertanto la moda è bella e di tendenza solo se non costa nulla al patrimonio verde, che c’è in natura.

Valeria Golino sfida la moda con Greenpeace