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Quando la “celebrità” rende liberi… di scrivere un libro

Prezzemoli di minestre catodiche riscaldate, tuttologhi esperti di ciarle internettiane, all’arrembaggio culturale! Imbracciate il fucile dell’intellettualismo casereccio e trivellate le librerie a colpi di letteratura qualunquista: scrivete anche voi un libro.
Tanti vostri colleghi lo hanno già fatto, suvvia, non ci vuole tanto.

Considerate di partire avvantaggiati, perché siete già famosi. La casalinga che vi segue in tv e legge di voi sui rotocalchi vi considera parte della famiglia. Nei salotti televisivi, aggiunge la seggiola della sua cucina e siede curiosa accanto a voi. Si arrabbia se vi mettono le corna, gioisce se vi fidanzate con l’attore belloccio, si commuove per la nascita di vostro figlio.
Se scrivete un libro, lei lo acquisterà di certo e potrà dire alla vicina che non legge solo le trame delle fiction, ma “libri veri”, quelli con la copertina rigida.

Non temete, perché non ci vuole la laurea. Per carità, se ce l’avete è meglio perché allunga la biografia, ma un diploma è più che sufficiente. E, anzi, se il vostro curriculum scolastico si ferma alla terza media, a volte è pure meglio, così fate vedere che siete arrivati dove siete arrivati da soli, senza l’aiuto di “spintarelle”.
Non è necessario neppure aver letto tanti libri, tanto ognuno ha il suo stile narrativo, quindi voi direte di averne uno tutto vostro. Ma, mi raccomando, se non avete dimestichezza con i congiuntivi, limitatevi a frasi semplici (soggetto-predicato-complemento): al massimo direte che “si è voluto usare un linguaggio semplice, fruibile da chiunque, per arrivare al cuore di tutti”. Funziona sempre. Altrimenti chiedete l’aiuto di un amico che con la penna ci sa fare: voi dettate e lui scrive forbito, con tanto di periodi ipotetici complessi, consecutio temporum impeccabili e vocaboli illustri. Alla fine, racconterete che è stato scritto a quattro mani: voi sarete gli “autori“, poi aggiungete un “con” al nome dell’amico.
Non sapete di cosa parlare? Pensateci un attimo.

Eravate dei ferventi onnivori e avete deciso di diventare vegani? Perfetto, i motivi che vi hanno portato a detestare chi scanna i maiali e l’amore viscerale per le mele che madre natura fa cadere dagli alberi è un argomento vincente.
Come pure la conversione mistica che vi ha convinti di essere i nuovi Messia, la storia della vostra famiglia che è “incredibile”/”pazzesca”/”straordinaria”, l’irrefrenabile passione per le ricette di cucina: sono tutte storie che stuzzicano la curiosità del pubblico, cari potenziali tele-scrittori.

E se proprio nella vostra vita non c’è nulla da raccontare, prendete spunto dai fatti di cronaca e insinuate dubbi angoscianti, tipo “perché mai la morta è stata ammazzata?”, “come può la depressione guidare la mano dell’assassina?”, “chi ha visto cosa?” e “perché non hai parlato?”.
Vedrete, è più semplice di quanto crediate.
Troverete di certo un editore che pubblichi le vostre memorie, perché chi buca lo schermo fa vendere tante copie.
Poi preparatevi alle interviste in tv per presentare la vostra fatica letteraria e lì confesserete, mano sul cuore e occhi lucidi, che avete sempre voluto scrivere, che il sacro fuoco della letteratura ardeva in voi ancor prima del reality show cui avete partecipato, e sbancherete anche in libreria, abbiate fede.

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Altra cosa: è importante che la foto per la quarta di copertina vi ritragga sorridente, con un’espressione mite e, all’occorrenza, sofferta, magari in bianco e nero e di tre quarti, che immortali il profilo migliore.
Ora aspettate che il vostro ego venga fortificato dai dati delle vendite.

Intanto però, se smanettate su internet e vi imbattete in post come quello di Roberto Crotoneo, (un giornalista che fa il critico letterario e di libri ne ha scritti un bel po’) andate avanti, non leggete, perché non vi riguarda. In bocca al lupo, talentuosi letterati.

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David Bowie, l’icona glam-rock che ha cambiato la moda

“Talvolta non capisci il vero valore di un momento finché non diventa ricordo”, con questa frase profonda e veritiera, la modella Iman,  moglie di David Bowie ha voluto comunicare ai milioni di seguaci su Instagram, il dolore per la perdita del marito. La coppia si è sposata a Firenze il sei giugno di 24 anni fa. La rock star ha perso la sua battaglia contro il cancro contro il quale ha lottato per diciotto mesi. La notizia della morte, avvenuta il 10 gennaio 2016, è stata accompagnata da numerosi commenti sull’influenza che il duca bianco ha avuto non solo nel mondo della musica ma anche in quello della moda. Siamo agli inizi degli anni Settanta, quando Bowie indossava tutine aderenti, stivali con zeppe o con il tacco, sopracciglia rasate, trucco evidente e cerone bianco sul viso.

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Ha anticipato molte tendenze, possiamo dire anche lo stile no gender delle ultime collezioni che sfilano oggi in passerella. Era un trasformista, amava sperimentare con costumi, trucchi e vestiti androgini, giocando e rifiutando gli stereotipi di genere quando ancora non lo faceva nessuno. Cambiava la propria immagine, il proprio look ispirandosi agli interessi culturali del momento. Sfogliando le copertine dei suoi dischi è possibile captare come ad ogni cambiamento del look corrispondesse un diverso stile musicale. Hanno scritto di Bowie che il cantante è riuscito a rendere figo “l’essere strani”.

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La stravaganza che lo ha sempre contraddistinto ha incentivato milioni di persone a manifestare il loro modo di essere originali. La moda ha ripreso più volte il gusto di David Bowie sia in singole creazioni che per lanciare tendenze generali. Ultimamente, il direttore creativo di Saint Laureant che ha reso di moda lo stile skinny anche per gli uomini, ha detto di essersi ispirato al personaggio del Thin White Duke di Bowie. Come non parlare degli stilisti contemporanei come Alessandro Michele per Gucci che con le sue farfalle decorate sulle giacche maschili lascia trasparire la libertà degli stereotipi di genere di cui Bowie è stato precursore. La  passione  che David Bowie nutriva per la cultura giapponese, secondo la storica della moda Helene Thian, è responsabile della rinascita dell’interesse dell’Occidente per la cultura e la moda giapponese. I costumi androgini sfoggiati dal cantante si ispirano ad un’antica forma teatrale nata in Giappone, basata sulla mimica e sulla gestualità. L’amore per l’Oriente si concretizzò con l’incontro con lo stilista Kansai Yamamoto che creò i costumi per il tour del 1973, Aladdin Sane. Il mondo della moda ha sempre affascinato la rock star ed è anche il titolo di una canzone: “Fashion” dall’album Scary Monsters.

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“Sheket”, tutto il fascino di uno show club cosmopolita nel cuore di Roma

Uno Slow Club esclusivo e poliedrico, punto d’incontro per gli amanti della cucina, dei cocktail e della musica. Sheket, in ebraico שקט, Silenzio, sorge a Roma nel celebre Palazzo Caetani di Via delle Botteghe Oscure 33. Nato dalla partnership tra Izhak Nemni, proprietario di Baccano e La Zanzara, e Riccardo Sargeni e Gianluca Sette (già partner di locali quali Cohouse Pigneto, Terrazza di San Pancrazio e Vodoo Bar) che qui si occupano della direzione artistica e pr, Sheket si inserisce come un unicum nella scena notturna capitolina, un luogo in grado di offrire al cliente un’esperienza totale, dall’aperitivo fino al dopocena. Elegante e raffinato, Sheket vanta una cucina dal respiro internazionale, un’ampia selezione di cocktail e distillati provenienti da tutto il mondo, con i live set e le performance degli artisti più rinomati della scena disco del momento.

Courtesy of Factory4 Press Office
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IL CONCEPT – Con un concept molto attento ai trend internazionali, Sheket è in grado di catapultarci in un attimo nelle atmosfere più cool di un club parigino o di un cocktail bar di Soho, circondati dalla vivacità di una clientela proveniente da ogni parte del mondo. Un interior design ricercato, con pareti policrome che sembrano ricamate, luci e colori studiati per regalare un’atmosfera cromatica tendente al rosa, con l’utilizzo del color ruggine, caldo e emozionale, per i colori delle pareti e del velluto dei divani. Il designer Alfredo Cianchetta, ispirandosi all’immaginario di Wes Anderson e rispettando l’architettura del luogo, ha saputo dar vita ad un ambiente accogliente e familiare, ma allo stesso tempo trendy e contemporaneo. Gli arredi sono pezzi unici creati ad hoc, come il bancone piccolo in ceramica smaltata, le lampade in japan style, ma sono stati anche rivalorizzati degli elementi già esistenti, come il grande lampadario della sala centrale, che spicca sulle pareti nere. Il tutto con l’idea di creare un ambiente che resti e non invecchi mai.

Courtesy of Factory4 Press Office
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LA CUCINA – La cucina multietnica e ricercata è affidata alla maturata esperienza dell’executive Chef Marco Milani, già Chef de La Zanzara e di Baccano, rinomato per la sua conoscenza delle culture culinarie più disparate, per la raffinata cura del dettaglio che si fa piacere per gli occhi oltre che gusto per il palato, per la capacità di unire tradizione e modernità con creatività e trasformismo. La degustazione che diventa momento conviviale e di condivisione, l’ispirazione alla tradizione contemporanea dei ristoranti di Nobu Matsushita, un autentico fenomeno nella ristorazione di tutto il mondo, per un viaggio culinario innovativo e attentissimo alle materie prime. Sheket propone sushi e tempura, ma anche snacks internazionali da accompagnare ai drinks: crudi, sushi rolls, tartare, ostriche al nature o in Sheket Style. Ogni giorno si realizzano dei deliziosissimi ravioli cotti al vapore e scottati: sono le gyoza di verdure o di carne. Da non dimenticare il grill, che ci propone differenti yakytory di pollo, piccoli anticucho peruviani e kushiyaki di pork belly che si alternano a picana di Wagyu e churrasco di agnello.

Courtesy of Factory4 Press Office
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LA MUSICA – Sheket non è solo un ristorante. Sheket è anche un club esclusivo, che propone ogni sera una selezione musicale inedita per la notte capitolina, che passa dai suoni groove al blues, al funk, tenendo come fil rouge la black music declinata nei suoi differenti sottogeneri.

Il palco del live set, costruito su una pedana mobile che può aprirsi o chiudersi in base alle esigenze delle performances, si apre il mercoledì sera con la serata Sugar Department, che inizia con l’aperitivo e vede alternarsi alla consolle nomi della scena romana. Il giovedì è la volta della serata “It’s so good”dedicata alla ricerca e alla new disco, con le esibizioni di djs importanti della scena internazionale come Soul Clap, Sadar Bahar, Dimitri from Paris. Si arriva poi al weekend, alle serate “No guest list” del venerdì e Extra Cheese” del sabato, entrambe aperte da esclusivi live che reinterpretano la scena black di successo, con nomi del calibro di Joshua Jack, Chelsea Como, Lydia Lyon. Il venerdì sul live stage del club i djs italiani di tendenza del momento, come Spiller e Lele Sacchi, suonano la loro house music. Il sabato è la volta dell’hip-hop: la stagione è stata aperta da Frenkie hi-nrg mc, che tornerà anche nella seconda parte della stagione, e vedrà poi on stage rapper della vivace scena romana e internazionale.

Courtesy of Factory4 Press Office
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IL BAR – Sheket ti accoglie con un bancone imponente, alto sei metri: che espone una selezione esclusiva di spirits introvabili, come la gamma di whisky di tutti i paesi, tra cui spiccano gli scozzesi, i rye americani e i giapponesi; insieme a un’ampia scelta di gin, mezcal, tequile e rhum. Vengono proposti una ventina di cocktail home-maid, tutti realizzati con prodotti freschi e divisi in tre sezioni: la “Predinner”, con proposte ideali per l’aperitivo, come il Once upon a time…, un French 75 rivisitato a base di fiori di sambuco; c’è poi la “Fresh Anytyme”, che propone delle miscelazioni molto fresche e originali, tutte ideate dal capo barman Matteo Dedde e studiate apposta per essere consumate in qualsiasi momento della serata: da provare lo Shinano, a base di sakè e lemon grass; infine la “Our Classic”, drink classici rifatti allo Sheket Style, come il Margarita realizzato con un mix di Tequila con bordatura di zucchero di camomilla.

Non meno preziosa è la carta dei vini e degli champaigne, molto ampia e che propone mescite e bottiglie di grande qualità, anche di nicchia: da Sheket potrai infatti degustare dei rari Viognier Independants o Salon Delamotte, ma anche degli eleganti Jermann o Sassicaia, fino ad arrivare ad un porto Don Pedro Ximenes del 1987.

 

Lifestyle Mirror, un nuovo modo di fare shopping

Già il nome è tutto un programma: essere uno specchio della vita, ma non di quella intesa in generale, bensì della vita mondana, del modo di vivere, dello stile. Lifestyle Mirror, appunto. Questo il nome del nuovo progetto editoriale online, ideato dalla casa editrice Mediabend Capital, fondata a New York da Emanuele Della Valle, figlio del patron della Tod’s, e lanciato settimana scorsa in concomitanza con l’inizio della fashion week nella Grande Mela.

A metà strada tra magazine femminile e piattaforma di shopping online, Lifestyle Mirror si rivolge a un target decisamente giovane e cosmopolita, con i suoi servizi costantemente aggiornati, che rimandano a oggetti o must-have acquistabili attraverso siti di e-commerce dedicati. Beni di lusso e prodotti più commerciali sono l’oggetto della testata, ma non solo: Lifestyle Mirror dà consigli su tutto ciò che è stile, dall’abbigliamento alla gastronomia, passando per l’arte e l’arredamento, per arrivare ai viaggi e alla bellezza. Insomma, invogliare all’acquisto, ispirando il lettore – consumatore.

La prima cover di Lifestyle Mirror.

Un progetto nato sotto una buona stella e che dà ampio spazio e fiducia ai giovani: ad affiancare l’ideatore Emanuele Della Valle, infatti, ci sono il fotografo Francesco Carrozzini, co-fondatore e direttore creativo della testata, nonché figlio della celebre Franca Sozzani, direttore di Vogue Italia dal 1988, e la stylist Chelsea Gombes, qui assunta in qualità di direttore responsabile, oltre a un esercito di contributor, qualificati e curiosi.

Emanuele Della Valle, fondatore della testata.

Insomma, una piattaforma online “A metà tra un concept store e un mega centro commerciale”, come amano definirlo i suoi fondatori, dove poter trovare oggetti del desiderio selezionati da veri esperti del settore e… immediatamente acquistarli.

Francesco Carrozzini, direttore creativo e co-fondatore della testata.

Una shopping experience ancora mai sperimentata, da ripetere più volte al giorno. Ma attenzione: potrebbe indurre ad assuefazione, tenere fuori dalla portata degli e-commerce addicted.

 Photo credits web 

“Larte”, a Milano il meglio dell’Italian lifestyle

logo-Larte-Milano-960x473Larte, scritto proprio così, senza apostrofi, tutto attaccato, quasi a voler abbracciare in un’unica parola tutto quello che in essa può essere contenuta. Questo il nome del concept, nato nel cuore di Milano, nella centralissima Via Manzoni, laddove anni fa visse il poeta e scrittore Carlo Emilio Gadda, che vuole essere il nuovo polo dell’eccellenza italiana in fatto di lifestyle: uno spazio dove possono convivere e completarsi moda, enogastronomia, arti e design.

Un progetto ambizioso, ispirato da Fondazione Altagamma, che intende rilanciare e far conoscere nel mondo l’esperienza del Contemporary Italian Lifestyle, riunendo tra i soci alcuni dei più importanti brand Made in Italy: Alessi, Artemide, Baratti & Milano, Bellavista, Ca’ Del Bosco, Caffarel, Cantine Ferrari, Capri Palace Hotel, illycaffè, MK Consulting, Federico Regalia, Sanpellegrino e Santo Versace. Non solo ristorante stellato, dunque, ma anche luogo di ritrovo per un caffè o una cioccolata, galleria per mostre d’arte d’eccezione e store per shopping di lusso.

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«Desideriamo creare un ambiente affascinante in cui tutto ciò che viene presentato e acquistato diviene esso stesso ‘opera d’arte’ da guardare, vivere, condividere e ricordare – commenta Davide Rampello, presidente e direttore creativo dell’hub milanese – Dal caffè al cioccolato, dal quadro al piatto dello chef, dalle bottiglie al modello di scarpe e all’arredo».

Oltre a Rampello, nel team dirigenziale vi sono anche Roberto Morelli, vicepresidente esecutivo, già direttore delle strategie di business di illycaffè ed Ermanno Zanini, già general manager del Capri Palace, nel ruolo di direttore. A dare un tocco glam e artistico, invece, ci saranno in esposizione alcune delle opere dei più importanti designer italiani, come Fortunato Depero, Arnaldo Pomodoro ed Emilio Vedova, per citarne solo alcuni.

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Un modello di collaborazione tutto italiano, pronto però ad essere esportato nel mondo, per farsi portavoce del meglio dell’Italian lifestyle.

Photo credits Courtesy of Press Office

Look di primavera, 5 consigli per essere trendy in ogni occasione

Ogni mattina la stessa storia. Un po’ per il meteo imprevedibile, al risveglio una bella giornata di sole ma, all’improvviso, tutto potrebbe cambiare.

Aggiungendo che si ha anche poco tempo per prepararsi, l’ideale sarebbe avere un look top in pochi minuti.

La primavera è una mezza stagione in cui dalla amata t-shirt estiva si può passare all’ intramontabile giubbotto di pelle.

Perché, allora, non sfruttare la possibilità di indossare tanti capi diversi, senza farsi prendere dal panico su come abbinarli?

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Ecco alcuni consigli trendy:

  • Vestirsi a strati, o come più comunemente detto  “a cipolla”;
  • Evitare i tacchi alti con le gonne: prediligere, quindi, comodi stivaletti;
  • Con i talleur dal taglio elegante si possono abbinare le snickers (alla moda e basic senza peccare di eleganza);
  • Sotto i maglioncini o i cardigan  si può indossare qualche elemento in pizzo per dare un tocco di femminilità in più;
  •  Osare e divertirsi con gli accessori, anche quelli per capelli, come le fasce, meglio se dai colori sgargianti.

Bauletto Bianchi e Nardi 1946 in Ayer/pitone/cocco lucido  dipinto a mano - Courtesy of Press Office

I must have primaverili:

Questa primavera in pole position c’è la stampa animalier. Poco zebrato e leopardato ma tanto, tantissimo serpentato  (senza dubbi più cool e sexy).

Giacche-blazer, molto versatili e capo chiave sul posto di lavoro. Da sfoggiare con un paio di jeans a zampa o con pantaloni a palazzo.

I colori predominanti su tutte le passerelle? Senape, marrone chiaro e ocra (senza dimenticare il total black che vince in ogni caso).

Borse a tracolla di ogni forma e tessuto. Tornano ancora marsupio e zainetto ma solo per un giro in centro o per un aperitivo.

Infine, non per importanza, un vero consiglio spassionato? Non basta seguire le tendenze del momento.

Bisogna adattare la moda alla propria personalità e non viceversa. Il risultato? Un outfit impeccabile per sentirsi  pronte ad affrontare qualsiasi giornata.

“Sono gli abiti a portare noi, e non noi a portare gli abiti; possiamo far sì che modellino bene un braccio, o il seno, ma essi ci modellano a piacer loro il cuore, il cervello, la lingua”, sosteneva la scrittrice Virginia Woolf.

Immagine in evidenza Max Mara, photo credits web

(S)concerti e appunti di viaggio on the road

SOUNDTRACK: Amici miei

Va bene, c’è crisi. Lo spread sale, la borsa scende, il Pil sta fermo.
Ma ogni tanto almeno un viaggetto ci vuole, che diamine.
E se l’aereo è un lusso per pochi, la nave una iattura per molti, la benzina un castigo di Dio, resta il buon vecchio treno a far sperare che lo svago sia ancora un diletto nazionalpopolare.

Il pellegrino che subisce il “fascino del binario” può essere un inguaribile claustrofobico. È oppresso dal pensiero che durante il tragitto la sua visuale si fermerà allo schienale del sedile di fronte e urterà contro il vetro oltre il quale tralicci elettrici e tangenziali saranno l’unico panorama. Avere con sé un libro, l’iPod, l’iPad, l’iPhone, tuttavia, potrebbe non bastare, per cui una capatina in edicola va fatta prima di partire. Un quotidiano a destra, uno a sinistra e uno al centro per il viaggiatore intellettuale, gazzette e corrieri per quello che «giocava a calcio finchè i legamenti non lo hanno tradito», un arcobaleno di riviste patinate per chi si diletta con le cronache di tutti i colori, perché «già il mondo è tanto triste».
Alla valigia e al sacchetto del bar si aggiunge, dunque, anche un personale bagaglio enciclopedico.

L’attesa della partenza s’imbatte in un numero altissimo di sentimenti.
La schietta commozione e quella trattenuta, l’amore appassionato e l’affetto caloroso, la gioia di andare e la tristezza di restare. Si levano mani e si celano lacrime. La famiglia che accompagna, la mamma che raccomanda, il fidanzato che giura, la figlia che promette. Alzi la mano chi è cattivo! Silenzio: è l’attimo in cui «si ama da morire». Ma il convoglio è insensibile alla nostalgia, fischia e parte.
Sistemare “l’arsenale” al seguito, innanzitutto. «Permesso», «Scusi, se la sposta un pochino entra anche la mia», «Giovanotto, ti dispiace aiutarmi?». La cortesia e la comprensione dei primi istanti sono le attitudini naturali di qualunque passeggero. Una volta accomodati, un artificioso silenzio invade la carrozza. Si dorme, si legge, si guarda un film al computer. Lenti sugli occhi, cuffiette nelle orecchie, penne nelle mani. Poi, «Biglietto, prego» ed ecco la fine della finzione: ognuno, lentamente, si attribuisce la licenza di scrivere una personalissima “nota musicale” nel “pentagramma in movimento” e inizia così un “concerto”, che diventa la sinfonia di una pittoresca cagnara.

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Un greve ronfare batte il ritmo, un colpetto di tosse segna le pause, la carta di una caramella e il mordicchio di un biscotto rallegrano la nenia. Poi, tutti insieme, intonano il ritornello di una chiacchiera confusa, breccia nel ghiaccio di una formale compostezza.
Il «governo ladro» s’imbatte nel «miracolo italiano», «la fine del mese» insorge contro «le rendite catastali» e il prontuario di frasi fatte raggiunge il picco del suo utilizzo.
Un via vai di gambe da sgranchire serpeggia sinuoso e il vociare di bambini che scalano poltrone disturba il cane tascabile che fa capolino dalla borsa, subito bloccato dal padrone, “progettista” di una moquette di patatine sbriciolate. È il culmine di una contaminazione che scambia di tutto, dal crackers alle ricette di cucina. L’intellettuale chiede di “sfogliare” la cronaca rosa “solo per curiosità, non per altro!” e l’esperta di Grande Fratello si concentra su bund, btp e tassi d’inflazione. L’addetto alla pulizia invoca la magia di un aspirapolvere che ingurgiti tutto, individui compresi. La meta è vicina: forza, raggiungerla è possibile!

Quando manca ancora mezz’ora, basta che uno solo inizi ad alzarsi perché si scateni una tacita gara a chi fa prima a raggiungere la porta. «Arrivederci», «è stato un piacere», «Allora ci sentiamo, eh?!» «Come no?! Sicuro!»L’arrivo è conquista. Di aria, di spazio, di udito. Gli orchestrali si allontanano: epilogo di un “concerto” a cui non si chiede di “bissare”. Chissà come mai…!

Photo credits “Amici miei”, web

“Tigu Beach”, un’esperienza immersiva sul Golfo del Tigullio

Sulle acque cristalline del Golfo del Tigullio, nei pressi di Sestri Levante, si affaccia Tigu Beach, un elegante stabilimento balneare che, per la stagione estiva 2023, vestirà Paul&Shark.

Tigu Beach
Tigu Beach

Un progetto ideato dall’imprenditore Edoardo Santanna, storico proprietario di Tigu Beach, la cui famiglia si occupa da anni di hôtellerie, e Mattia Ferrari anima internazionale e creativa.
Il beach club, completamente rinnovato, accoglierà i suoi ospiti in un’atmosfera da appartamento francese degli anni ’40.

Tigu Beach
Tigu Beach

La scelta d’arredo include sedute e tavoli che richiamano alla mente i bistrot delle vie parigine, mentre le nuance di tè verde della pavimentazione e verde bosco dei dettagli del mobilio rimandano alle patisserie storiche.

Tigu Beach
Tigu Beach

I 54 lettini standard insieme ai 10 Vip bed, posizionati nella Paul&Shark Lounge, compongono un colorato quadro vista mare, con pattern a righe in raffinate nuance verde salvia e arancio, mixate al bianco e all’écru.

Tigu Beach
Tigu Beach

Una variegata offerta food completa l’esperienza all’interno di Tigu Beach:
il primo ristorante da 60 coperti circa è di impronta mediterranea con una cucina sperimentale ma del territorio; il secondo è un ristorante di stampo Giapponese con 30 coperti, la cui proposta è curata da due esperti sushiman del ristorante Kisen di Milano.

Photo credits Courtesy of Press Office

Ballerine, non solo scarpe ma espressione di stile dei nostri tempi

 

 

A cura di Cristina Cofano

Un, deux, trois, quatre…Un, deux, trois, quatre…Come una formula, una melodia, un mantra non appena si entra in una scuola di danza. Tutte in fila, perfette nel loro portamento impeccabile e con l’aria sognante, le ballerine sono simmetricamente allineate alla sbarra, ripetendo in modo naturale i loro movimenti sinuosi. Vestite di solo tulle leggero ad evidenziarne la delicatezza, come steli di fiori appena sbocciati dai colori tenui come il rosa, il bianco o il beige.

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La ballerina, la scarpetta più femminile di ogni tempo perchè avvolge il piede come un guantino evidenziandone la bellezza, la sinuosità e la forma nasce nel 1884. La prima scarpa che ogni bambina vuole indossare perché simbolo di libertà: la sua prima scelta di stile. Espressione, come la danza, del proprio io, unico, eccentrico, etereo.
Così Repetto ebbe l’idea di crearne una linea per lo street style.
Riproducendola con materiali più resistenti così che qualunque donna potesse sentirsi libera come una première étoile.
Il suo successo? L’arcobaleno di colori e materiali a disposizione, oltre alla sua comodità, dovuta alla scelta di un pellame di altissima qualità. La scarpa che non è una scarpa perché è come avere le ali con delle ballerine ai piedi. Spesso considerata la meno sexy dal genere maschile, forse invidioso di una bellezza a cui non poteva accedere, a distanza di un secolo dalla sua nascita, viene oggi presentata nella collezione Fall/Winter  uomo… confermando la libertà di espressione del proprio io dei nostri giorni.
Un, deux, trois… liberté.
Photo credits Repetto Official website

Quando Lily-Rose Depp ha incantato il fashion con l’abito da sposa firmato Chanel

A cura di Alessia Tomassini

“La bellezza inizia nel momento in cui inizi ad essere te stesso” è una delle celebri frasi di Coco Chanel.

L’abito da sposa della collezione Primavera/Estate 2017 indossato da Lily-Rose Depp, che ne ha sfoggiato uno rosa confetto tutto ruches con un lungo strascico e romantiche maniche a palloncino, è sicuramente la prova di come una donna può sentirsi bene con sé stessa, indossando un abito che la fa sembrare una principessa. La donna Chanel è una figura femminile perfetta, elegante e raffinata ma anche semplice e pratica. Una donna indipendente che sa cosa vuole e che non ha bisogno dell’aiuto di nessuno se non il suo. Grazie a Chanel lei si è iniziata a vedere come una “persona” e non come un bell’oggetto da sfoggiare. La donna Chanel è uno stile di vita e lo si capisce da come cammina, perché fa del mondo la propria passerella e di ogni giorno una sfilata.

 Oggi finalmente è libera di parlare e di esprimersi come meglio desidera. Questo, però, non accade ovunque, infatti ci sono ancora molti Paesi in cui la sua condizione è subordinata all’uomo.

Riprendendo il tema dell’abito da sposa, indossato dalla figlia di Johnny Depp e Vanessa Paradis , il wedding dress non è sinonimo di praticità, ma il vestito rosa confetto sottolinea la femminilità e l’eleganza, caratteristiche appartenenti all’indimenticata stilista Coco Chanel.

L’attrice si trova al fianco di Karl Lagerfield, conosciuto durante un incontro avvenuto con la madre quando la ragazza aveva solamente otto anni. All’età di 15 anni è diventata ambasciatrice di Chanel, con la quale la mamma aveva collaborato in precedenza.screenshot_20230508-112253_instagram

Un abito del genere non lo si deve indossare lo si deve sentire. Quindi, come si potrebbe immaginare il proprio abito nel giorno più bello della  vita?

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 Photo credits Lily-Rose Depp Official Instagram

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