La geniale fiaba de “Il Mago di Oz”, tratta dal libro di L. Frank Baum, viene proposta in questo mirabolante family show in una chiave scenica del tutto originale: il linguaggio del musical e del circo contemporaneo si fondono in una nuova dimensione. Il cast di 25 artisti è composto da cantanti, danzatori e alcuni tra i maggiori acrobati del circo contemporaneo mondiale, in scena dal 7 al 30 aprile al Teatro Brancaccio di Roma.
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
La mirabolante messa in scena dello spettacolo è esaltata dall’originale animazione, grafiche in 3D, effetti speciali e costumi fantasmagorici realizzati dal team di creativi della Romanov Arena.
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Lo spettacolo
Dorothy è una piccola bambina orfana che abita in Kansas con i suoi zii. Un giorno, un tornado spazza via la loro casa, con Dorothy all’interno, trasportandola nel paese di Oz. Qui, la casa, cadendo per terra, schiaccia la strega malvagia dell’Est.
Nel paese di Oz, infatti, esistono quattro streghe: due buone (la strega del Nord e la strega del Sud) e due cattive (la strega dell’Est e la strega dell’Ovest). Nella capitale del regno, la città di Smeraldo, vi è inoltre un potentissimo mago, il mago di Oz.
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Presto Dorothy incontra la strega del Nord, che la ringrazia per aver tolto di mezzo la strega malvagia dell’Est e le dona le sue scarpette di cristallo. Dorothy chiede alla strega di aiutarla a tornare in Kansas, dai suoi zii; la strega non può fare nulla per lei, ma le suggerisce di recarsi nella città di Smeraldo e di chiedere aiuto al mago di Oz.
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Dorothy si incammina così verso la città. Lungo la strada, incontra tre compagni: uno spaventapasseri che vorrebbe avere un cervello, un boscaiolo di latta che vorrebbe avere un cuore e infine un leone che vorrebbe essere coraggioso. I quattro compagni superano gli ostacoli lungo la strada e giungono al cospetto del mago di Oz, che promette loro di aiutarli ad esaudire ogni desiderio: prima, però, dovranno uccidere la strega malvagia dell’Ovest.
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
La strega invia i suoi aiutanti per sconfiggere Dorothy e i suoi compagni e, finalmente, le terrificanti scimmie alate riescono a rapire Dorothy e il leone e a portarli alla strega dell’Ovest come prigionieri, dopo aver fatto a pezzi lo spaventapasseri e il boscaiolo di latta. La strega, però, non può fare del male alla bambina perché è protetta dalla magia delle scarpette d’argento. Così, cerca di rubargliene una. Dorothy, infuriata per il furto della scarpetta, lancia alla strega dell’Ovest un secchio d’acqua che, inaspettatamente, uccide la strega sciogliendola.
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Dopo aver liberato il leone e ricostruito lo spaventapasseri e il boscaiolo, Dorothy torna alla città di Smeraldo; lì scopre che il mago di Oz non è un vero mago: si tratta solo di un vecchio ventriloquo arrivato a Oz dal Nebraska, durante una gita in mongolfiera. Il mago finge di donare un cervello, un cuore e il coraggio ai tre compagni di Dorothy (in realtà, ciascuno di loro aveva già le qualità che desiderava, senza saperlo) e propone a Dorothy di costruire una nuova mongolfiera e di tornare insieme negli Stati Uniti.
Tuttavia, a causa di un incidente, Dorothy rimane a terra e il mago parte da solo. La bambina non ha altra soluzione che andare alla ricerca della strega del Sud. Qui, scopre che le sue scarpette d’argento hanno il potere di portarla ovunque ella desideri; è sufficiente battere tre volte tra loro i tacchi delle scarpette. Nel finale, Dorothy, dopo aver salutato i suoi compagni, utilizza il potere delle scarpette e torna in Kansas, dove può riabbracciare i suoi zii.
Contemporary Circus & Musical
Regia di Maxim Romanov
Nel ruolo di Ellie – Anastasia Dyatlova:
la più giovane partecipante alla competition “Voice Children” e ” The Blue Bird “
Nel ruolo di Goodwin – Vladimir Dybskiy:
solista dei migliori musical moscoviti
La musica originale scritta e diretta dal giovane compositore Andrei Zubets
Torna in scena a Roma, dal 30 marzo al 2 aprile al Teatro Lo Spazio, “Bambola-La storia di Nicola”, spettacolo musicale scritto da Paolo Vanacore, diretto e interpretato da Gianni De Feo. Nicola, in una dimensione che oscilla tra il reale e l’immaginario, racconta in prima persona la lunga strada della sua vita a partire dalla nascita sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso in una qualunque periferia romana. Fanno da sfondo a queste prime vicende le voci e le contestazioni delle femministe che rivendicano la libertà delle proprie scelte sessuali.
Roma, Teatro Lo Spazio, “Bambola-La storia di Nicola”
Rivede i genitori: una madre frustrata nella sua femminilità, vittima di un destino sempre avverso, e un padre protettivo e sensibile che riversa su di lui tutto il suo puro amore senza giudizio né aspettative, espressione di forza virile. Sono i primi specchi su cui l’adolescente Nicola vedrà riflettere la propria immagine. MaoraNicolaèun uomo e sceglie, ad occhi chiusi,di gestire i fili del destino perpercorrere una nuova strada attraverso un processo di conoscenzadella sua doppia identità. L’immagineriflessa nello specchio sitrasforma sdoppiandosi in “Bambola”.
Roma, Teatro Lo Spazio, “Bambola-La storia di Nicola”
“Bambola” sceglie la strada dellaprostituzione e veste abiti femminili iniziando da quelli della madre comea volerla riscattare dalle frustrazionie a liberarla. La strada si arricchiscedi personaggi e allegria, mentreillinguaggio stesso del racconto sicolora di suoni sboccati, erotici, maanche sentimentali e poetici. La notteèbuia e la luna di carta pare finta,come se tutto fosse immaginato suun set cinematografico. In unarapida carrellata appare Regina, l’amicaprostituta, s’intravede Domitilla, la rivale pericolosa e Fabio il poliziotto. E poi lui, Giovanni, il“cliente”amato di unamore bello e corrisposto che vivenel quartiere stile americano con levillette allineate a schiera.
Ilracconto diventa melodramma e sicolora di rosa prima ancora chelalove story si frantumi. Sopra a tutto,rimane impressa la figura del padrecollocato nel ricordo di un Natalelontano e sempre presente tralelucine accese tutti i giorni dell’anno.
Nicola/Bambola inquesto travestimento fantasioso incarna l’espressionedelmaschile e del femminile. Èilpadre e la madre. Èl’unoed èl’altra.Ildualismo che siricongiunge al Tutto. E intanto canta.Canta Il paradiso,
Ragazzo triste, Nelgiardinodell’amore, Se perdote.Canta leprime canzoni di Nicoletta Strambellialla qualeil suo nomeèstatodedicato, perchéquella diva rappresenta, nel mondo immaginario di una madre rinchiusa nella gabbia delle proprie delusioni, l’esaltazione della libertà. Una libertàinbianco enero. Fino a finale a sorpresa dove qualcosa di inaspettato sarà svelato. C’è un posto nella mente dove tutto è possibile, una sorta di universo parallelo, che sconfina nel mondo reale, uno spazio dell’anima dove le storie si confondono e i corpi finalmente si fondono in un lento incedere fino a diventare uno. È la strada di Nicola, di Bambola, e delle canzoni di Nicoletta.
Dal 21 marzo al 2 aprile, al Teatro Sala Umberto di Roma, andrà in scena “Il Giardino dei Ciliegi”. È l’ultimo lavoro di un AntonCechov malato e vicino alla morte; eppure, mai così attaccato alla vita, intesa come respiro, anima del mondo e speranza nel futuro.
Nella sua ultima commedia – perché così egli la definì e la intese – egli esprime ancora più lucidamente la sua riflessione sulla goffa incapacità di vivere degli esseri umani. Il lorotrabismoesistenziale sulla propria anima.
Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”
Ljuba e suo fratello Gaev, un tempo lieti, da bambini, tornano nell’età matura nel luogo simbolo della loro felicità appassita. La stanza chiamata ancora “dei bambini”. Da cui si intravede il loro giardino dei ciliegi, un tempo motivo di vanto e orgoglio in tutto il distretto.
Ora però i tempi sono cambiati. I ciliegi non producono più frutti commerciabili, sono solo l’ombra di un passato che non tornerà più. Così le speranze, la gioia, l’amore, tutto ciò che era legato simbolicamente al giardino è andato perduto. Il declino economico accende brutalmente il declino della loro esistenza a cui non sanno (o non vogliono) porre rimedio.
Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”
Ljuba, donna di forti sentimenti e capace di amore, ormai ha perduto il marito e l’ultimo amante. Da anni è segnata dalla perdita del suo amato figlio piccolo. Eppure, sopraffatta dai debiti, non si rassegna ad abbandonare il sogno: la nostalgia del suo luminoso passato dove risiede illusoriamente la sua armonia. Bimba illusa nel corpo di una donna matura. Che piange e ride allo stesso tempo.
Così il fratello Gaev, adulto mai cresciuto da una condizione puerile fatta di giochi e lazzi spenti. Chiamato per una volta alla sua responsabilità di uomo di casa nella vendita all’asta del giardino, non riesce a combinare nulla. Debole e ingenuo. Struggente nelLopachin, invece, nuovo arricchito, figlio del contadino, riuscirà a imporre la propria persona non solo con l’abilità degli affari, ma soprattutto con la lucidità inesorabile di chi è consapevole del proprio ruolo.
Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”
Garbato ma ambizioso, è il contraltare perfetto dei due proprietari. Rampante e pragmatico. Vincente. Eppure, al contrario di Ljuba e Gaev, totalmente incapace di amare, di gestire la propria sensibilità. Tutt’altro che arido, ma ancora peggio: inabile ai sentimenti.
Resta eppure una ultima speranza. I giovani che popolano la storia sapranno forse riscattare le incrostazioni dell’anima di chi li ha preceduti. Varja, figlia maggiore di Ljuba, fioca luce di armonia in una casa prossima al buio, delusa dall’insipienza amorosa di Lopachin, andrà a rifarsi una vita altrove. Anja, la piccola di casa, dolce ragazza in fiore, seguirà Trofimov, eterno studente scombinato, ma insieme potranno guardare al futuro!
Il barlume di salvezza risiede nel finale, nei due ragazzi che si amano e che vedono nella distruzione del giardino venduto, non la fine, non la deriva, ma l’inizio di una nuova vita.
Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”
Nella riduzione della commedia si eliminano i personaggi minori portando la compagnia ai sei elementi principali: LJUBOV’ ANDREEVNA RANEVSKAJA, proprietaria terriera; ANJA, sua figlia, diciassette anni; VARJA, sua figlia adottiva, ventiquattro anni; LEONID ANDREEVIC GAEV, fratello della Ranevskaja, ERMOLAJ ALEKSEEVIC LOPACHIN, mercante; PETR SERGEEVIC TROFIMOV, studente.
I dialoghi saranno rispettosi del testo originale, rispettando le sfumature poetiche dell’autore, ma tradotti in modo efficace e contemporaneo suo fallimento definitivo. Un grande spazio chiaro, con una forte presenza illuminotecnica contemporanea, con pochi elementi scenici richiamanti la “stanza dei bambini”, oggetti volutamente sproporzionati rispetto alla statura dei personaggi, come se fossero ancora piccoli rispetto all’ambiente, mai cresciuti: un tavolo colorato, una sediolina dell’infanzia, una grande bambola…
E soprattutto: il grande armadio centrale sullo sfondo a cui Gaev, come da testo, canta le lodi come a un monumento. Testimone del tempo felice che fu. Imponente e simbolico come un dolmen sbiadito. Sempre chiuso per tutto il tempo dell’azione scenica. Lo aprirà solo sul finale Lopachin, nuovo proprietario, con le chiavi che gli avrà lanciato Varja, scontrosa e ribelle.All’apertura l’armadio vomiterà il suo contenuto che travolgerà il nuovo proprietario.
Una produzione Viola Produzioni – TieffeTeatro Milano – Teatro Stabile di Genova
Sul palco
MILVA MARIGLIANO | DALILAS REAS | ELEONORA GIOVANARDI
TANO MONGELLI | ROSARIO LISMA | GIOVANNI FRANZONI
e con la partecipazione in voce di ROBERTO HERLIZTKA
Scene Dario Gessati | costumi Valeria Donata Bettella | luci Luigi Biondi
regia di ROSARIO LISMA
Dal 16 al 19 marzo, arriva alla “Sala Umberto” di Roma “Le ferite del vento” di Juan Carlos Rubio. In scena Cochi Ponzoni e Matteo Taranto diretti da Alessio Pizzech.
Il giovane Davide alla morte del padre Raffaele si ritrova a dover sistemare le sue cose. Nel perfetto ordine degli oggetti lasciati dal genitore, uno scrigno chiuso ermeticamente attira la sua attenzione. Dopo aver forzato la serratura, per la quale sembra non esistere nessuna chiave, al suo interno scopre una fitta corrispondenza ingiallita dal tempo. La lettura di quei fogli, ricevuti e gelosamente conservati, lo porta a conoscenza di un segreto che mai avrebbe potuto immaginare: il padre aveva una relazione con Giovanni, il misterioso mittente di quelle lettere appassionate.
Chi è questo sconosciuto che improvvisamente emerge dalle ombre della memoria? Dopo un primo momento di sconcerto Davide decide di affrontarlo.
Sala Umberto, “Le ferite del vento”
Nel corso di tre intensi confronti che generano un flusso di parole di una potenza deflagrante si fronteggiano Giovanni, ironico e divertente, capace di strappare un sorriso anche di fronte al dolore della perdita, e Davide, irruento e orgoglioso, che ci rende partecipi della sua legittima smania di sapere. Ne scaturisce un acceso duello teatrale dal quale emergono i tratti di un uomo che Davide stenta sempre più a riconoscere come suo padre.
Carlos Rubio ci introduce nel labirinto del legame profondo, misterioso, senza limiti di spazio e tempo, che si è instaurato da anni tra Giovanni e Raffaele, all’insaputa della famiglia di quest’ultimo. Giovanni diventa per Davide compagno di lutto, amico, confidente; assume tutte le sembianze che il giovane istintivamente gli riconosce. La storia presente e passata, man mano che procede, si fa più appassionante, ogni battuta svela nuovi elementi che sorprendono e commuovono, costringendo lo spettatore a indossare ora i panni di Giovanni ora quelli di Davide.
Al centro domina la presenza-assenza di Raffaele, che non corrisponde a nessuna delle immagini di uomo e padre che egli ha dato di sé in vita. Ma quando finalmente le cose sembrerebbero ritrovare un loro senso, le lettere che hanno tenuto le fila di questa relazione tornano ad essere le vere protagoniste del racconto nel momento in cui Giovanni mostra a Davide le risposte che Raffaele gli inviava…
Sala Umberto, l’attore Cochi Ponzoni ne “Le ferite del vento”
Lo spettacolo
Un racconto intenso, fatto di emozioni che narrano la bellezza e lo stupore di quando, fuggendo dagli stereotipi, viene rimesso in gioco il significato delle parole padre e figlio. Preziosi oggetti di scena, sospesi nel buio e illuminati da tagli di luce, disegnano lo spazio dove viene raccontata la storia di due uomini che, attraverso un serrato dialogo tra loro, con se stessi e con il pubblico, svelano quanto illusoria sia la convinzione di conoscere le persone care, quanto in realtà si sia estranei al loro universo interiore e quanto sia necessario sospendere il giudizio quando si parla di “amore”.
I due protagonisti, nel corso dello spettacolo, si muovono da un punto all’altro della scena avvolti da un’atmosfera di luci e sonorità che si colorano di volta in volta delle suggestioni di un parco o dei rumori di un interno, portando con loro un racconto di vita nel quale è l’umanità dei personaggi a pervadere quella degli interpreti. “Le Ferite del vento” riporta in superficie temi archetipici e ce li restituisce con un linguaggio vicino alla quotidianità,ma capace di svelare la poesia delle piccole cose, quella in cui ogni gesto e ogni sguardo rivela una melodia dell’anima che affascina e riconsegna intatta allo spettatore l’originaria forza del teatro.
Sono 50mila i giovanissimi spettatori delle matinée teatrali del Teatro Sistina rivolte alle scuole di tutta Italia. Una proposta di qualità pensata proprio per avvicinare gli studenti alla magia unica e irripetibile dello spettacolo dal vivo, con tante produzioni sia del Sistina sia esterne. In questo progetto, che stimola la fantasia e unisce il divertimento all’educazione all’arte teatrale, il direttore artistico Massimo Romeo Piparo crede molto, tanto da aver voluto fortemente inserire repliche mattutine anche degli spettacoli che chiuderanno la Stagione in corso del Teatro, da “Rugantino” a “Billy Elliot” interpretati dal cast ufficiale.
Teatro Sistina, Serena Autieri in “Rugantino”
Alla qualità dell’offerta ha corrisposto la risposta delle scuole che è stata straordinaria: da novembre, infatti, il Teatro Sistina ha ospitato diversi istituti scolastici, provenienti da tutta Italia, proponendo al giovane pubblico un cartellone ricco di messe in scena di notevole valore sociale e “spettacolare”, tra grandi storie e temi di attualità con un forte messaggio di insegnamento e intramontabili classici del teatro musicale italiano.
Teatro Sistina, Michele La Ginestra e Serena Autieri in “Rugantino”
Già sold out gli appuntamenti di mercoledì 15 e giovedì 16 marzo con le matinée di “Rugantino”, insieme ai protagonisti Serena Autieri e Michele La Ginestra e tutto il cast ufficiale, mentre ad aprile (nei giorni 12, 18 e 19) gli studenti assisteranno alle repliche mattutine di “Billy Elliot” sempre con il cast al completo.Tra i vari spettacoli concepiti appositamente per i ragazzi anche la produzione de Il Sistina “Capitan Calamaio”, a cui si sommano quelle esterne di “Io non bullo”, “La storia di tutte le maschere”, “La gabbianella e il gatto”, “Canto di Natale” e “Le avventure di Pinocchio”.
Teatro Sistina, locandina di “Rugantino”
Il Teatro Sistina, sotto la direzione artistica di Massimo Romeo Piparo, si conferma quindi un vero e proprio punto di riferimento dello spettacolo dal vivo non solo per i più grandi ma anche per i più piccoli, credendo e investendo sempre di più nella formazione e nell’educazione delle giovani generazioni al teatro.
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Spettacoli Danza di assoluto livello quelli dell’Antonio Desiderio Management, con l’amore da sempre il protagonista delle principali messe in scena in ogni genere, nel balletto ancora di più. Proprio questi sentimenti sono i protagonisti dei due grandi titoli del repertorio del balletto classico:: parliamo di “Romeo e Giulietta” tratto dal dramma di William Shakespeare con le struggenti musiche di Sergej Prokofiev, e “Giselle“, balletto romantico per antonomasia con le musiche di Adolphe Adam.
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Spettacoli Danza in Italia, trionfo per la partenza del “Romeo e Giulietta” di Antonio Desiderio
“Romeo e Giulietta” è sicuramente uno dei titoli del balletto del repertorio classico in cui la musica descrive pienamente la drammaturgia che lo spettatore vede sul palcoscenico. La musica e la coreografia si fondono e danno vita alla più bella storia d’amore di tutti i tempi. “Giselle” invece è l’amore oltre la morte, l’amore che non conosce confini e che forse ognuno di noi desidererebbe nella propria vita”, queste le parole di Antonio Desiderio, tra i più noti manager internazionali del settore danza, reduce da un vero trionfo al Teatro Municipale di Piacenza lo scorso 12 Febbraio con il titolo dei due innamorati veronesi famosi in tutto il mondo e che presto sarà riproposto con questo vincente team creativo in altre prestigiose strutture in Italia.
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«Questo progetto è stato incredibile. Le coreografie di Sabrina Bosco, partite dall’idea coreografica di Sergej Bobrov, sono state create per esaltare tutto il Corpo di Ballo del Teatro Dell’Opera di Varna, una delle compagnie più prestigiose al mondo. Questo progetto, oltre al corpo di Ballo che presenta con immensa punta di orgoglio tantissimi italiani al suo interno, ha visto sulla scena due italiani di gran talento: Federico Mella, nel ruolo di Romeo, e Martina Prefetto, nel ruolo di Giulietta, entrambi nuovi Primi Ballerini della compagnia», spiega Antonio Desiderio.
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Dopo “Romeo e Giulietta” arriva “Giselle” a Piacenza
E dopo il grande successo di Romeo e Giulietta, tornerà sul palcoscenico del Teatro Municipale di Piacenza un altro classico tra i più romantici del repertorio classico: “Giselle” con le coreografie di Maria Grazia Garofoli, già Direttore del Corpo di Ballo della Fondazione Arena di Verona, per il Sofia City Ballet. Per i ruoli principali, Ige Cornelis, Primo Ballerino del Teatro Aalto di Essen e Rosa Pierro, italiana e nuova Prima Ballerina dello stesso teatro e nuova punta di diamante italiana che si sta imponendo sui maggiori palcoscenici mondiali: “Giselle è uno dei titoli che più emozionano il pubblico: presentarlo con le coreografie di Garofoli è per me un grande onore” sottolinea Antonio Desiderio «Altresì sarà un piacere presentare Rosa Pierro in questo ruolo (già danzato a Miami e ad Essen) al suo debutto in Italia nel ruolo e al Teatro Municipale di Piacenza».
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Grande show al Carcano di Milano con star internazionali e le coreografie di Kristian Cellini reduce dal tour di Renato Zero
Appuntamento, invece, al prossimo maggio con i ritmi latini e la passione latina. Arriverà infatti il 05 e 06 Maggio al Teatro Carcano di Milano lo spettacolo “Noche de Baile y Danza”. Il Gran Galà latino che vedrà protagonista il Conservatorio Reale di Danza Mariemma di Madrid, porterà al Teatro Carcano i colori e i ritmi della danza bolera spagnola insieme ai grandi nomi della coreografia internazionale come Nacho Duato e Kristian Cellini. Uno spettacolo della Compañía Larreal che è punta di diamante della tradizione spagnola con 80 anni di storia, più di cento coreografie in repertorio e settanta creazioni uniche. Una ricca visione della danza, con un’attenta messa in scena, offrirà al pubblico l’entusiasmo e la passione dei giovani insieme al rigore tecnico e artistico sia latino sia internazionale.
Dopo il successo dell’anteprima estiva presso la rassegna I Solisti del Teatro a Roma, torna in scena nella Capitale, da martedì 28 febbraio a domenica 5 marzo, al teatro Cometa OFF, il classico moderno Anna Cappelli firmato dalla grande penna di Annibale Ruccello in nuovo allestimento astratto e carnale interpretato dall’attrice Giada Prandi e diretto da Renato Chiocca.
Cometa OFF, l’attrice Greta Prandi è Anna Cappelli
Quella di Anna Cappelli è la storia di un’impiegata nella Latina degli Anni ’60, descritta in un monologo tragicomico – in passato già assolo per grandi attrici come Anna Marchesini e Maria Paiato.Sentimenti, paure, fragilità, controllo, possesso, emancipazione e condizionamenti della società: sono questi gli ingredienti primari della pièce.
Cometa OFF, l’attrice Greta Prandi è Anna Cappelli
In bilico tra le asfissianti convenzioni borghesi dell’Italia del boom e la ricerca ossessiva di una casa e di un amore tutto suo, Anna affida ad un uomo le sue aspettative per un futuro migliore, ma dovrà fare i conti con una realtà che non corrisponde ai suoi desideri e ai suoi ideali. Tra commedia e tragedia, Anna – e insieme a lei il pubblico – verranno risucchiati in un vortice di emozioni forti, grazie alla regia di Renato Chiocca, le scene di Massimo Palumbo, i costumi di Anna Coluccia e le luci di Gianluca Cappelletti e le musiche originali di Stefano Switala.
Cometa OFF, l’attrice Greta Prandi è Anna Cappelli
In scena
Anna è una giovane donna che negli anni ’60 si trasferisce da Orvieto a Latina, dopo aver ottenuto un posto di lavoro come impiegata comunale. Lontana da casa e dalla sua famiglia (alla quale sembra essere ancora molto legata), la sua vita procede monotona nella noiosa quotidianità della vita di provincia, fra la polvere e le scartoffie degli uffici del comune e la convivenza con l’asfissiante signora Rosa Tavernini e i suoi «puzzolentissimi gatti». La svolta sembra finalmente arrivare grazie all’incontro con il ragioniere Tonino Scarpa, un abbiente scapolo che vive solo nella sua casa con dodici stanze e tanto di cameriera, il quale dopo pochi mesi le propone di andare a vivere con lui, ma senza sposarsi. Anna accetta riluttante “l’inconsueta” proposta fra i pettegolezzi delle colleghe bigotte e il disappunto della signora Tavernini. La relazione fra i due non va come sperato e, in un crescendo delirante e tragicomico, Anna verrà trascinata dalle sue fragilità in una spirale di paura, paranoia e possessività che la porterà a commettere un gesto estremo e inaspettato, ma che per lei rappresenta il più grande “atto d’amore” possibile. Anna è una donna in lotta con il suo passato e i suoi demoni. Una vittima del suo tempo, della condizione della donna negli anni ’60; vittima di una società e di una morale che rifiuta, ma che non ha la forza di combattere e da cui noi riesce a emanciparsi.
Cometa OFF, l’attrice Greta Prandi è Anna Cappelli
Note di regia
«Un testo, un’attrice e il teatro come spazio della mente. Ho sempre considerato questo testo di Ruccello un piccolo capolavoro contemporaneo per sintesi, poesia e complessità, e quando finalmente Giada Prandi ha accettato la mia proposta di interpretarlo, la nostra Anna Cappelliha cominciato a vivere, rivelandosi immediatamente per la sua universalità, fuori dal tempo. Anna vive nell’Italia del boom, ma è vittima di un’implosione che la porta alla disperazione. Come molti di noi, oggi sovraesposti agli stimoli dei social network, della pubblicità e di modelli di vita esterni al nostro reale quotidiano, Anna ha una sovraesposizione mentale ed emotiva che contrasta con le sue capacità di elaborazione.
Cometa OFF, l’attrice Greta Prandi è Anna Cappelli
È un’impiegata; la sua estrazione la costringe a emigrare per lavoro, e dalla tradizionale Orvieto si muove a Latina, una città nuova (la nostra città, di Giada Prandi e mia), fondata dal fascismo e priva di radici identitarie. Anna condivide quindi con molti di noi uno stato d’animo di sradicamento. Si muove per lavoro con aspettative e desideri che non riuscirà a concretizzare e che faranno emergere in lei il suo lato più oscuro. Si attacca all’amore, ma sprofonderà nell’abisso. Nel nostro allestimento abbiamo cercato di entrare nella testa di Anna per raccontarla in tutte le sue sfumature, nei suoi pensieri e nelle sue emozioni, stilizzandola ma andando oltre la maschera, mantenendo il palco come la scatola vuota che lei stessa vuole creare, teatro di un viaggio empatico e straniante nell’animo umano, che parte commedia e finisce in tragedia».
Gabriele Pignotta, artista a tutto tondo. Poliedrico, ironico e intelligente si gode il successo sui palcoscenici più prestigiosi d’Italia, come quello del Teatro Sistina di Roma dove è in scena con “Scusa sono in riunione…ti posso richiamare?” insieme a Vanessa Incontrada, ma non brama la visibilità. Spirito libero e generoso, cerca di conciliare i suoi progetti artistici con l’impegno sociale. Ha scelto questo mestiere perché voleva essere felice…
Gabriele Pignotta_credits Courtesy of Press Office
Autore, regista, attore di cinema e di teatro con incursioni anche nel mondo televisivo. C’è un ruolo che senti più tuo o si equivalgono tutti?
«In realtà non si equivalgono, sono la stessa cosa. Come se fossi un cantautore che non fa distinzioni tra cantare o scrivere. Per me dirigere, scrivere e interpretare fanno parte di uno stesso percorso che inizia con la scrittura e finisce con la recitazione passando per la regia. Ho scelto questa strada e via via mi sono attrezzato per svolgere bene ogni ruolo senza che nessuno comprometta l’altro. Poi può capitare e, magari,capiterà più spesso in futuro che faccia solo l’attore come nell’ultimo film di Fausto Brizzi o di scrivere soltanto come ho fatto con Verdone, ma sono completamenti artistici di un percorso autoriale».
In realtà, inizi la tua carriera come formatore nell’ambito di società multinazionali, dopo una laurea in “Sociologia della formazione e della gestione delle risorse umane”. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza e, soprattutto, ha influenzato in qualche modoil tuo essere artista?
«Come tutti (o quasi)ho impiegato un po’ di tempo a vivere di questo mestiere, così mentre studiavo sociologia mi chiamavano delle società di formazione per inventare dei giochi e condurli. Questo, oltre ad appassionarmi, mi ha consentito di conquistare un’indipendenza economica. Poi il lavoro artistico è diventato sempre più consistente ma ancora oggi,nonostante abbia lasciato quell’attività da molto tempo, continuano a chiamarmi. E devo dire che quell’esperienza mi ha lasciato tanto perché un regista deve saper gestire un gruppo, le sue risorse umane sono gli attori che dirige e quindi fa, in qualche modo, formazione. L’esperienza artistica è il catino in cui si travasa tutto il resto. Tutte le mie esperienze di essere umano sono state travasate nel mio essere artista. E più si riesce a farle confluire più ciò che si racconta acquista credibilità».
Parliamo del tuo spettacolo “Scusa sono in riunione…” Insieme a te sul palco Vanessa Incontrada, Fabio Avaro, Siddhartha Prestinari e Nick Nicolosi. Una commedia brillante che dopo oltre 120 repliche in giro per l’Italia chiude il suo tour al Sistina di Roma. Il testo, in realtà, è stato scritto nel 2006. Cosa significa riproporlo oggi? Hai apportato modifiche alla scrittura scenica?
«Sono passati molti anni e la maturità artistica ha imposto una revisione nella scrittura che si è evoluta e sono stati adattati i riferimenti alla contemporaneità. È una riedizione deluxe con un allestimento importante grazie al supporto della produzione di ArtistiAssociatiche è una grande compagine produttiva italiana. Ma i temi sono universali quindi sono rimasti immutati così come senza tempo è il meccanismo teatrale dell’equivoco che si dipana nella seconda parte dello spettacolo. Quindi una commedia contemporanea che viene riproposta in tutta la sua freschezza. È un po’ il mio cavallo di battaglia».
Quanto è difficile far ridere oggi? Cosa chiede il pubblico? La comicità è cambiata nel tempo o ci sono degli ingredienti base che sono insostituibili?
«In realtà per questa commedia non si può parlare di comicità ma di ironia o meglio di “comicità situazionale” in cui il pubblico può riconoscersi, rispecchiarsi. Qui la maestria sta nel rendere comica quella determinata situazione ma il meccanismo non invecchia mai perché le situazioni sono reali. Un po’ come la classica scivolata sulla buccia di banana. Poi vanno considerati la capacità tecnica, i tempi comici, i dialoghi, la regia… Io, da autore, mi metto sempre dalla parte del pubblico, adotto il punto di vista della platea e quindi lavoro come se fossi uno spettatore, cercando di sentire, di percepire le sue emozioni e quindi metterle in scena».
Gabriele Pignotta_credits Courtesy of Press Office
Hai cominciato a scrivere e a rappresentare testi teatrali dal 2002 (ben 11). Ma, come tu stesso hai dichiarato, hai dovuto fare un bel po’ di gavetta… nonostante i tuoi occhi azzurri.
«Io mi ritengo un outsider. Non ho scelto la strada dei provini perché era insopportabile a livello psicologico, non ho scelto la strada del presenzialismo e del network relazionale perché non rientra nel mio carattere. Così ho provato a raccontare delle storie come avevo sempre sognato di fare e mi sono creato la mia “bottega” cominciando a fare delle cose dopo aver iniziato a frequentare l’ambiente dello spettacolo. Un ambiente in cui dovevi, comunque, essere al servizio di un meccanismo più grande di te, di un personaggio, di trame, intrighi, gelosie… molto faticoso per me che avevo sempre sognato di fare questo mestiere perché mi doveva rendere felice. Così, nel mio piccolo e con le mie sole forze ho fatto le scelte che desideravo fare in piena autonomia e libertà artistica… Questa è stata la mia gavetta, iniziata in un teatrino di 30 posti. Oggi,sono arrivato al Sistina, uno dei migliori teatri d’Italia,passando per esperienze importanti e 5 film all’attivo».
Il successo vero è arrivato?
«Se per successo intendiamo vivere bene con il mio lavoro, non avere rimpianti, sentirsi pulito, fare ciò che ami e farlo con le persone che ti piacciono allora è arrivato. Se invece si parla di consacrazione o dipopolarità quella deve ancora arrivare ma la cosa bella è che non la sto aspettando»
Qual è lo spettacolo a cui sei più legato?
«È sempre l’ultimo, ma visto che spesso riprendo i miei spettacoli ho sempre modo di riappassionarmi alle cose che faccio in quel momento anche se i miei ultimi lavori sono quelli a cui sono più legato perché seguono la mia crescita umana e artistica».
Sei stato diretto anche da altri registi e sei stato interprete di spettacoli scritti da altri autori. Penso a Ostaggi (2017) scritto e diretto da Angelo Longoniin cui tu rivesti il ruolo di protagonista. Sei un attore“ubbidiente”, “propositivo” o ti concedi sempre una certa libertà di interpretazione?
«Ubbidiente e propositivo.Quando faccio solo l’attore è meraviglioso perché mi rilasso e mi diverto, non sento l’impegno di dover controllare anche gli altri. Ma non sono mancate le occasioni in cui ho fatto delle proposte che sono state accolte».
C’è qualche artista del passato che ha avuto un ruolo nella tua formazione artistica? Qualcuno a cuiti sei ispirato?
«Mi sono formato tra gli Anni ‘80 e ‘90 con le sit-com americane: Friends, Casa Keaton, IJefferson,I Robinson con ritmi e tempi comici fantastici. Ma anche molta filmografia americana sulla scia de “L’attimo fuggente” molto più sognante rispetto a certa produzione più autoriale alla Lars von Trier. In Italia sono stato profondamente contaminato dalla scuoladegli Anni ’80:Nuti in primis poi Benigni, Troisi e Verdone. L’artista romano che ha influito sulla mia recitazione teatrale è stato, invece, Proietti e, in una certa misura, anche Montesano per la sua leggerezza di scivolare da un registro all’altro».
Accanto al teatro c’è anche il cinema. Ricordiamo che nel 2014 hai vinto ilBiglietto d’oro per soggetto e sceneggiatura del film Sotto una buona stella di Carlo Verdone e nel 2018 il Giffoni Film Festival per Otzi e il mistero del tempo, oltread aver partecipato come attore a tante pellicole dirette da registi famosi. Qual è il tuo rapporto con il grande schermo?
«Deve consolidarsi, non ho ancora la libertà di imporre anche se con il mio ultimo film “Toilet”, che è un one man movie è successo un piccolo miracolo. Il film è stato prodotto, ha un solo personaggio e una sola location e, in questo momento è in programmazione su Sky.Precedentemente avevo diretto “Ti sposo ma nontroppo”, una commedia romantica leggera, il secondo film un fantasy girato in inglese, sul ghiaccio con protagonisti dei bambini. Ma sono comunque contento quando mi viene offerto un ruolo o posso scrivere la sceneggiatura per altri registi».
Gabriele, al di là dei tuoi successi e di questo tuo lato ludico e brillante che esprimi nei tuoi testi, tu sei anche un artista impegnato nel sociale: autore di un documentario sugli orfanotrofi in Sud America scritto e girato sul posto e autore di campagne contro la violenza sulle donne con interpreti del calibro diAmbra Angiolini, Chiara Francini e Claudia Gerini.Cosa significa per te che hai fatto della leggerezza edell’ironia la tua cifra stilistica?
«Significa mettersi a disposizione non per soddisfare le proprie urgenze artistiche ma per sensibilizzare su temi che interessano tutti e io lo faccio sempre molto volentieri».
Hai lavorato e diretto alcune delle attrici più brave ma quale attrice del passato avresti sognato di avere come partner?
«Italiana, Monica Vitti. Straniera, Julia Roberts perché sono innamorato di “NottingHill” e la considero un’attrice favolosa».
Qual è lo spettacolo teatrale che avresti voluto scrivere tu?
«I testi di Neil Simon. Ho letto la sua biografia e mi sono ritrovato in moltissimi passaggi… “A piedi nudi nel parco”, “La strana coppia”, “Rumors” sono capolavoriassoluti. Anche se devo dire che non vedo molto degli altri autori perché sono concentrato sul mio lavoro. Certo non mi appassionerebbe realizzare una rivisitazione di Pirandello o di Eduardo perché sono stati troppo sfruttati, preferirei un borderline come Campanile».
Hai mai pensato ad uno spettacolo storico in costume?
«Mi piacerebbe realizzare il riadattamento teatrale di “Shakespeare in love”. Ma la mia sarebbe una rilettura molto contemporanea».
I tuoi impegni dopo la chiusura del tour di “Scusa sono in riunione…”?
«Riprendo un altro spettacolo di successo “Tre uomini e una culla” di cui sono regista e interprete e che sarà per due settimane al Teatro Manzoni di Milano in aprile. Un grande allestimento. E poi a maggioporterò in scenala versione teatrale di “Toilet” a Roma».
Cosa stai preparando per il futuro?
«Il musical “Fantastica” con Lorella Cuccarini e un film tratto dal mio lavoro teatrale “Contrazioni pericolose”».
Sei felice?
«Penso di sì»
L’ultima volta che ti sei emozionato?
«Ieri. Oggi. Sempre. E sai cosa mi emoziona? La generosità, l’attenzione verso l’altro. Ma anche semplicemente un sorriso. Un “tutto bene?” detto ad una persona che sta lavorando con te o ad uno sconosciuto alla fermata dell’autobus può cambiare la giornata a lui e a te».
Continua la rassegna “L’AltroTeatro”sul palco dello storico Teatro Alfonso Rendano. Mercoledì 22 febbraio, ore 20.30, Nancy Brilli e Chiara Noschese saranno le protagoniste di “Manola” pièce di Margaret Mazzantini che così dichiara nelle sue note di autore: «Due sorelle gemelle in contrasto tra loro, come due pianeti opposti nello stesso emisfero emotivo. Anemone, sensuale e irriverente, che aderisce ad ogni dettaglio della vita con vigoroso entusiasmo, e il suo opposto Ortensia, uccello notturno, irsuta e rabbiosa creatura in cerca di una perenne rivincita. Le due per un gioco scenico si rivolgono alla stessa terapeuta dell’occulto e svuotano il serbatoio di un amore solido come l’odio. Ed è come carburante che si incendia provocando fiamme teatrali ustionanti, sotto una grandinata di risate. In realtà la Manola del titolo, perennemente invocata dalle due sorelle, interlocutore mitico e invisibile, non è altro che la quarta parete teatrale sfondata dal fiume di parole che Anemone e Ortensia rivolgono alla loro squinternata coscienza attraverso un girotondo di specchi, evocazioni, malintesi, rivalse canzonatorie».
L’Altro Teatro, Nancy Brilli e Chiara Noschese nella pièce “Manola”
La rassegna è finanziata dalla Regione Calabria, quale evento storicizzato- sull’avviso pubblico per la selezione e finanziamento di interventi per la valorizzazione del sistema dei beni culturali, la qualificazione e il rafforzamento dell’offerta culturale- vede, inoltre, il supporto dell’Amministrazione comunale di Cosenza. Organizzato dalla società “L’AltroTeatro” guidata dal gruppo di operatori del mondo dello spettacolo in Calabria: Enzo Noce, Giuseppe Citrigno e Gianluigi Fabiano.
Sul palco del Teatro A. Rendano 9 appuntamenti all’insegna della grande drammaturgia senza dimenticare, però, il divertimento e il puro spettacolo. Prosa, dai grandi classici agli autori contemporanei e poi, commedie e musical, questi gli ingredienti del cartellone ideato da “L’AltroTeatro”.
Prossimo appuntamento
Domenica 5 marzo, ore 18.30, sul palco del Teatro Rendano il musical “Pretty Woman”. Trasposizione fedele del film vincitore di un Golden Globe per la migliore attrice protagonista (Julia Roberts), Pretty Woman – Il Musical mantiene l’impianto narrativo del successo cinematografico arricchendosi di un’avvincente colonna sonora composta dalla leggenda del rock Bryan Adams e dell’indimenticabile successo mondiale “Oh, Pretty Woman” di Roy Orbison. Nell’agosto del 2018 ha celebrato la sua prima mondiale a Broadway riscuotendo il tutto esaurito. La rivalsa di una donna alla ricerca di sè stessa e della sua dignità, il cambiamento di due persone diverse, per classe, che non discriminano l’altro ma che si avvicinano l’uno all’altra, la forza dei sentimenti che hanno la meglio su fama e denaro, il superamento delle apparenze in un mondo che non riesce ad andare oltre i preconcetti.
Van Gogh Cafè è una pièce teatrale dedicata alla vita del pittore olandese Vincent Van Gogh raccontata attraverso l’intensa corrispondenza con il fratello Theo. In scena dal 2 al 5 febbraio al Teatro Alfieri di Torino, lo spettacolo, scritto e diretto da Andrea Ortis, firma eclettica nel panorama del musical italiano, è una commedia musicale con orchestra dal vivo. In una fervida Francia – in un’effervescente Parigi – artisti, letterati, studiosi si incontrano, come rappresentanti del mondo culturale e borghese, all’interno di cafè che, ben presto, si trasformano in centri di divertimento e pensiero, i Cafè Chantant, frequentati da artisti del calibro di Vincent Van Gogh, George Braques, Cezanne, Renoir, Manet, Gauguin, Modigliani.
La commedia musicale “Van Gogh Cafè”
L’antiquario M. Louis Philippe racconta la vita di Vincent anche immergendo il pubblico in grandi proiezioni animate 3D che avvolgono spettatore e scena trasformandola in una Notte Stellata o in un Campo di grano. Lo spettatore si trova immerso nella Parigi di metà ‘800. Lo sfondo musicale attraversa il racconto con la raffinatezza e la personalità dei più grandi parolieri e cantanti francesi da Edith Piaf a Charles Aznavour a Yves Montand.
La commedia musicale “Van Gogh Cafè”
Note dell’autore
«Geniale, solitario, a volte folle, visionario, sempre in cerca di compagnia ed amicizia, affascinato dalla luce in ogni sua reale ed ineffabile sfumatura. Vincent Van Gogh è il padre dell’Espressionismo e l’emblema del colore. Van Gogh cafè non ne tratta solo ed esclusivamente i contorni psichiatrici, troppo spesso unico focus palesato, piuttosto apre il ventaglio della sua vita, entrando a piè pari negli aspetti più nascosti, reconditi e veri. Il periodo olandese, il rapporto con il padre, la vocazione religiosa, la vicinanza agli ultimi, l’amore per Sien, la malattia, il desiderio di una casa di artisti, l’affetto profondo del fratello Theo, l’amicizia complessa con Gauguin, l’autolesionismo così come lo scenario storico ottocentesco sono parte delle sue opere, anima articolata del suo linguaggio a colori. È questo sguardo di umanità incantata ed incessante, questo continuo peregrinare in cerca di ascolto, questa solitudine profonda e fitta, questa fanciulla raccolta di sensazioni d’anima la base della spina drammaturgica di Van Gogh cafè. È l’uomo a svelarsi, ma senza l’obbligo di volersi far comprendere, è Vincent che, in forma amichevole, quasi familiare penetra il vissuto di ognuno attraversando le campiture, mai troppo piene, del dipinto di ognuno. La sua voglia è tenerissima e feroce, il suo desiderio è neonato e netto, la sua “passione” illuminata e animalesca. La follia non è cieca, vede benissimo, percorrendo le strade della luce, appoggiandosi all’impressione della realtà per tramutarsi nell’espressione del moto interiore che, con Vincent, esplode invadendo pacificamente ogni spetto della realtà. Van Gogh cafè è questo, corde e fasci di luce che escono dai personaggi in scena, veicoli ineguagliabili di emozione, colori precisi ed unici di una tavolozza che non può essere compresa se non nel suo insieme. Il pennello teatrale, cui la parola è colore steso vive dell’umanità di questo cafè, tela vivente di un racconto per sempre», dichiara Andrea Ortis.
La commedia musicale “Van Gogh Cafè”
In scena
ANDREA ORTIS, FLORIANA MONICI, ANTONELLO CAPUANO,
MATTEO IANNACCIO, ANGELO MIELE, MARCO MOLINO,
LORENZO MASTROGIUSEPPE
VAN GOGH CAFÈ è una commedia musicale con musica dal vivo presentata da Musical International Company. Testi e regia Andrea Ortis, direzione musicale Antonello Capuano,
scene Gabriele Moreschi, coreografie Marco Bebbu, costumi Marisa Vecchiarelli.
Photo credits Courtesy of Press Office
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