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“Vita Dvlcis”, al Palazzo delle Esposizioni di Roma arriva la mostra di Francesco Vezzoli

In programma al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 22 aprile al 27 agosto 2023, curata da Francesco Vezzoli e Stéphane Verger, la mostra VITA DVLCIS – ideata da Azienda Speciale Palaexpo, Museo Nazionale Romano e Studio Vezzoliprende spunto dalla più recente produzione dell’artista per proporre al pubblico un inedito e sorprendente percorso che accosta arte contemporanea, archeologia e cinema.

Negli ultimi anni, Francesco Vezzoli ha sviluppato la sua pratica artistica creando un ponte tra l’immaginario contemporaneo e la storia dell’arte. Una prassi che lo ha portato a rivolgere la sua poetica all’arte antica, al passato e alle sue icone, e a districarsi tra diversi linguaggi, in un gioco di riferimenti e mescolanze tra cultura classica – solenne, eterna – e cultura pop.

Francesco Vezzoli, “Vita  Dulcis”
Francesco Vezzoli, “Vita Dulcis”

La mostra pensata per il Palazzo delle Esposizioni vede l’intersezione di diversi livelli: l’arte contemporanea, la storia romana attraverso le opere provenienti dalle sedi del Museo Nazionale Romano e la rappresentazione che della storia romana è stata fornita attraverso il cinema nel corso del Novecento.

«Vita dulcis inaugura il nuovo corso dell’Azienda Speciale Palaexpo e rilancia in modo fattivo il ruolo del Palazzo delle Esposizioni come punto di riferimento per la produzione e ideazione di progetti espositivi inediti volti a riportare Roma al centro della scena culturale internazionale del contemporaneo. Con la mostra presentata oggi miriamo a un cambio di passo verso la realizzazione di questo disegno ambizioso che verrà portato avanti anche attraverso collaborazioni più incisive con istituzioni e artisti di livello mondiale come Vezzoli», dichiara Marco Delogu, presidente di Azienda Speciale Palaexpo.

«Il Museo Nazionale Romano è molto lieto di avviare una proficua collaborazione con l’Azienda Speciale Palaexpo, grazie alla quale il pubblico scoprirà, accanto ad alcuni dei capolavori noti del museo, molti oggetti poco conosciuti o addirittura mai visti, che abbiamo tirato fuori dagli ingenti depositi per l’occasione della mostra. Questi “Depositi (Ri)scoperti” prendono un significato particolare grazie alla visione straordinaria di Francesco Vezzoli, che proietta gli oggetti antichi in una prospettiva decisamente contemporanea: una doppia riscoperta quindi dei tesori del Museo Nazionale Romano grazie all’iniziativa proposta con grande lungimiranza da Marco Delogu», aggiunge Stéphane Verger, direttore del Museo Nazionale Romano.

Francesco Vezzoli, “Vita  Dulcis”
Francesco Vezzoli, “Vita Dulcis”

VITA DULCIS è un progetto che vuole creare una nuova narrativa, presentando opere e reperti dell’arte classica romana in un percorso espositivo privo di quella “freddezza” e “lontananza” caratteristiche di molte esposizioni museali, per restituire al visitatore l’intensità vitale e la passione autentica che questi reperti sanno suscitare, immergendoli in un allestimento concettuale-scenografico suggestivo e inaspettato, che li mette in relazione con alcune opere recenti di Vezzoli che incorporano elementi d’epoca antica o che all’antico sono ispirate.

Il cinema è il completamento ideale del racconto di VITA DULCIS: tra tutte le arti visive, è stato il mezzo che più di tutti ha utilizzato e celebrato il periodo storico dell’antica Roma, sempre cercando di restituirne la verità, la passione, le storie, le psicologie, le atmosfere e i colori.

Fin dagli inizi della sua carriera da artista, Vezzoli ha celebrato la Settima Arte come “medium” privilegiato per l’interpretazione della realtà e come riferimento emotivo e narrativo più potente nel dibattito contemporaneo. E non è un caso che una delle sue opere più note, “Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula”, presentata alla Biennale di Venezia del 2005, unisca appunto in una citazione irriverente dei “peplum”, il cinema e l’antico per offrire una rappresentazione della degenerazione contemporanea del potere.

Francesco Vezzoli, “Vita  Dulcis”
Francesco Vezzoli, “Vita Dulcis”

È stato dunque per lui naturale accostare i reperti di epoca romana a spezzoni di film ambientati nell’antica Roma, creando un excursus parallelo sulla storia del cinema che parte da “Cabiria” del 1914 (il primo kolossal italiano, sceneggiato da Gabriele D’Annunzio), al “Satyricon” di Federico Fellini, fino alle incarnazioni più contemporanee, sia di produzione italiana che internazionale.

Il risultato è un intenso mosaico di opere classiche iconiche, sorprendenti reperti inediti, capolavori del cinema mondiale e un tocco di contemporaneità. Questa compresenza di livelli semantici è già particolarmente evidente all’ingresso della mostra, nella grandiosa “rotonda”, dove i visitatori sono accolti da una serie di opere provenienti dal progetto “24Hours Museum”, che Francesco Vezzoli ha prodotto nel 2012 in collaborazione con Prada per esser messo in mostra – per un solo giorno – nello storico Palais d’Iéna a Parigi.

Dopo 10 anni, vengono qui ripresentate per la prima volta sei grandi opere luminose (lightbox) del 24Hours Museum, con le quali Vezzoli ha reinterpretato alcune iconiche sculture romane, trasformandole in misteriose divinità che alludono a note dive contemporanee. Una “prefazione” al percorso espositivo, che vuole introdurre il visitatore in un viaggio immersivo nell’immaginario dell’Impero Romano, vissuto attraverso la bellezza e la vitalità dei tesori che provengono dal Museo Nazionale Romano, molti dei quali saranno mostrati al pubblico per la prima volta.

Immersi in una dimensione installativa, suggestiva e teatrale, disegnata dall’artista Filippo Bisagni, ed esaltati da un gioco di luci e ombre, di bianchi e neri, concepito da Luca Bigazzi (il più celebrato DoP italiano vivente, autore della fotografia di “Così ridevano”, “il Divo” e “La Grande Bellezza”, tra gli altri), i reperti e le opere contemporanee selezionati da Francesco Vezzoli e Stéphane Verger dialogano all’interno di un percorso complesso ed emozionante, fatto di stratificazioni e accostamenti di livelli estetici distanti, epoche diverse, arte colta e arte popolare, racconto del potere e fotografia della vita “reale”.

Intorno alla Sala Rotonda di Palazzo delle Esposizioni si sviluppano sette sale tematiche, ognuna dedicata a un aspetto peculiare della storia dell’Impero Romano, senza alcuna pretesa di realizzare un’analisi scientifica completa o omnicomprensiva, ma piuttosto con l’intento di suggerire una visione alternativa, più “obliqua”, dei temi più vivi e appassionanti – e per questo ancora molto contemporanei – che questi reperti archeologici ci ispirano da più di duemila anni.

La prima sala, intitolata PARA BELLUM, è dedicata al tema della guerra e al culto della potenza del corpo maschile, inteso nella sua duplice accezione di difensore armato e protettore di valori estetico-morali.Un ritratto di Alessandro Magno da Palazzo Massimo, una Testa del Dio Marte e un torso monumentale dell’Imperatore Domiziano vestito da Ercole combattente, dai depositi delle Terme di Diocleziano, verranno messi in relazione con una re-interpretazione del mito di Achille e Pentesilea.

La seconda sala ANIMULA VAGULA BLANDULA è dedicata a un tema molto vicino al cuore della produzione artistica di Francesco Vezzoli: il culto di Antinoo fondato dall’Imperatore Adriano, come definitiva creazione culturale ed estetica della passione amorosa. L’iconico Busto di Antinoo, dalla Collezione Boncompagni Ludovisi di Palazzo Altemps, è al centro di un’installazione concepita come rappresentazione dell’ossessione sentimentale, della moltiplicazione e stratificazione artistica.

Francesco Vezzoli, “Vita  Dulcis”
Francesco Vezzoli, “Vita Dulcis”

La terza sala DUX FEMINA FACTI vuole evidenziare l’importanza della celebrazione della donna, imprescindibile nella cultura romana. La figura femminile verrà qui rappresentata in tutte le sue personificazioni, dalle più aggressive e minacciose (Testa di Medusa) alle più fisiche e passionali, (le Dee, come Venere e Diana), dal ritratto di una Matrona all’installazione di 75 sculture di uteri ex-voto.

La quarta sala, intitolata CERTA OMNIBUS è dedicata al culto dei defunti, molto sentito nell’antica Roma. Un culto che si manifestò in varie forme nell’arte e che qui viene rappresentato con un’imponente installazione di circa 50 lapidi funerarie in marmo, provenienti dai depositi delle Terme di Diocleziano.

Fellini Satyricon” (1969), capolavoro assoluto del cinema mondiale, dà lo spunto centrale al tema della quinta sala, RIDENTEM DICERE VERUM. La celebre sequenza della cena di Trimalcione fa da sfondo a un’installazione di sculture (teste e busti di personaggi storici) apparecchiate come in un banchetto dionisiaco, al cui centro appare una delle opere più riconoscibili e iconiche del Museo Nazionale Romano: l’Ermafrodito dormiente del II sec. a.C.

Due imponenti e suggestive soluzioni installative illustrano il tema delle ultime due sale: la celebrazione del potere imperiale e la forza distruttiva della sua degenerazione.

La sesta sala UBI POTENTIA REGNAT ospiterà una sequenza di ritratti di imperatori romani, appartenenti alla collezione di Palazzo Massimo, mentre nella settimana e ultima sala della mostra, MIXTURA DEMENTIAE, dedicata alla caduta dell’impero, una serie di preziosi frammenti e reperti, molti dei quali provenienti dalla sede di Crypta Balbi, sono di contrappunto alla proiezione di “Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula” (2005), un segno con cui Francesco Vezzoli intende, a conclusione del percorso espositivo, chiudere un cerchio su questa parte della sua ricerca artistica dedicata allo studio, la citazione e l’intersezione di opere antiche e di opere contemporanee. Una ricerca che nella mostra VITA DULCIS trova il suo compimento attraverso la prossimità e la ri-narrazione della Storia, qui riplasmata nella resa memoriale e sensibile dell’artista.

La mostra è promossa dal Ministero della Cultura, Roma Culture, Azienda Speciale Palaexpo e Museo Nazionale Romano ed è organizzata da Azienda Speciale Palaexpo.

Photo credits Courtesy of Press Office

Aleph Rome Hotel, una galleria d’arte nel cuore della Capitale

L’Aleph Rome Hotel, Curio Collection by Hilton, raffinata struttura nel cuore di Roma, prosegue il suo percorso attraverso l’arte con una nuova imperdibile mostra.

Dopo il successo delle precedenti esposizioni dedicate alle opere di Tommaso Cascella, Giuseppe Modica e di Pino Procopio, l’Aleph Rome Hotel inaugura ora la mostra curata da Gabriella Perna con una selezione tratta dalla collezione de La Galleria d’Arte Purificato.Zero.

La mostra all’Aleph Rome Hotel
La mostra all’Aleph Rome Hotel

La Galleria vanta un’attività storica, che prende vita già dagli anni Settanta, e svolge una costante e vivace promozione culturale nella realtà nazionale ed internazionale. Il sostegno di artisti di grande talento è il principale obiettivo che viene costantemente perseguito da Pino Purificato, e sarà la linea conduttrice anche in questa occasione per la mostra presso l’Aleph Rome Hotel, Curio Collection by Hilton a cura di Gabriella Perna.

Il perfetto risultato estetico, la più alta qualità e una rigorosa professionalità accompagnano da sempre le iniziative della Galleria, che esprime il meglio della produzione dei nostri tempi. Ogni opera selezionata dalla Galleria Purificato.Zero, risponde a criteri esclusivi e di particolare valore, frutto di controlli e garanzie che offrono il massimo dei risultati.

Giovanni Tommasi Ferroni, Elena Tommasi Ferroni e Maya Kokocinski, che espongono alcuni loro lavori in questa occasione, sono il magistrale esempio di autori dalle grandi doti che hanno raggiunto l’eccellenza nella loro arte pittorica, con alle spalle un passato familiare artistico che ne ha sicuramente segnato il passo.

La mostra all’Aleph Rome Hotel
La mostra all’Aleph Rome Hotel

Un meraviglioso percorso espositivo di sette opere, due opere di Elena Tommasi Ferroni: “Guarda adesso il mio cappello (dal Don Giovanni di Mozart)”, Olio su tela, cm 80×100 e “La scarpetta rossa (Cenerentola)”, Olio su tela, cm 80×90; tre opere di Giovanni Tommasi Ferroni: “Variazione sul tema di Antiope”, Olio su tela, cm 70×100, “Il ratto d’Europa”, Olio su tela, cm 70×100 e “Paesaggio iperrealista con visione mistica”, Olio su tela, cm 50×70. Infine, due opere di Maya Kokocinski Molero: “Pensieri lontani”, Olio su tela, cm70x100 e “L’indovino”, Olio su tela, cm 50×65.

Valeria Fruscio, direttore generale dell’Aleph Rome Hotel ha dichiarato:“Sono entusiasta di accogliere la mostra di questa importante Galleria d’Arte, così che i nostri ospiti possano essere coinvolti dall’idea del bello che le opere in mostra trasmettono. Mentre percorreranno la lobby dell’hotel, vivranno un momento di immersione nella cultura, per una riflessione profonda che vada al di là del senso estetico”.

Gli Artisti:

Giovanni Tommasi Ferroni discende da una famiglia d’arte. Suo nonno, padre, sorella e zio sono tutti pittori e scultori di talento e così porta avanti la tradizione di una famiglia di artisti che risale a molte generazioni. Da bambino frequentava regolarmente lo studio del padre, Riccardo Tommasi Ferroni, dove imparava a dipingere. I suoi dipinti rappresentano un mondo pieno di fantasia dove si uniscono spunti moderni ad elementi classici che fanno parte della sua cultura.

Elena Tommasi Ferroni, fin da giovane frequenta con l’atelier del padre, Riccardo Tommasi Ferroni, e con lui inizia a dipingere. Per definirla con una citazione del critico, storico dell’Arte Claudio Strinati, artista “[…] precisa ma disincantata osservazione della Realtà, con uno stile personalissimo e infallibile […] carico dell’autentico piacere del vedere oltre le apparenze immediate […]”.

La mostra all’Aleph Rome Hotel
La mostra all’Aleph Rome Hotel

Maya Kokocinski è un’artista cilena naturalizzata italiana, inizia nello studio del padre, il pittore figurativo Alessandro Kokocinski. La sua arte figurativa, legata all’utilizzo delle tradizionali tecniche pittoriche, sono alla base della sua poetica. Le atmosfere oniriche e le immagini sognanti rimandano alla grande pittura spagnola dei secoli passati. La poesia della sua pittura è stata celebrata da diversi premi e riconoscimenti nel corso degli anni.

La mostra è visitabile senza prenotazione fino al 16 aprile.

Photo credits Courtesy  of Press Office 

“Une Comédie Romaine”, alla galleria Maja Arte Contemporanea di Roma in mostra le opere di Gilbert Halaby

Giovedì 1 giugnoalle ore 17 in via di Monserrato 30, la galleria Maja Arte Contemporanea di Roma inaugura la mostra “Une Comédie Romaine”, che segna l’esordio italiano dell’artista libanese Gilbert Halaby (Beirut, 1979). A soli due mesi dal debutto al Museo Beit Beirut in Libano con la personale Domus Berytus, Halaby presenta a Roma circa trenta dipinti realizzati negli ultimi due anni.

Scrive Nora Iosia nel testo presente in catalogo: “Roma è la città di elezione del pittore libanese, qui vive e lavora da molti anni, e proprio questo è il luogo in cui prende avvio la sua ricerca pittorica che dalla città eterna, dai personaggi che la popolano fondendosi alle architetture abbaglianti di luce, attinge a pieno la sua poetica direi del ‘bello assoluto’ immerso in quella dimensione spazio-temporale del carpe diem che Roma, come pochi luoghi al mondo, con la sua perpetua bellezza indifferente al trascorrere delle stagioni, mantiene intatta da sempre.

Nelle tele “romane” di Gilbert appaiono personaggi senza volti, tutti compresi nei movimenti dei corpi e delle loro vesti agitate dall’aria del mattino, sagome di colore che si cristallizzano sulle tele di lino. L’artista esce fuori dal suo studio, tuffandosi nelle strade del centro, e voracemente, munito di telefonino, realizza brevi video là dove il suo occhio viene chiamato: sono le persone, o meglio alcuni personaggi specifici, che catalizzano l’attenzione di Halaby, che colleziona un grande numero di slow motions in cui vediamo scorrere a piedi, decisamente a ‘zonzo’, preti, cardinali, suore, barboni, ma anche artisti, tutti prima o poi consapevoli di essere catturati in brevi video a colori. Da questo materiale di immagini in movimento l’artista seleziona dei fermo immagine, ne studia le numerose angolature, da cui emerge costantemente l’architettura come tessuto narrativo forte e chiaro, che stabilisce nuove regole del gioco delle parti tra tempo presente e tempo passato […].

Gilbert Halaby, Frame me!, 2022, olio su tela, 100x100 cm_credits Courtesy of Maja Arte Contemporanea
Gilbert Halaby, Frame me!, 2022, olio su tela, 100×100 cm_credits Courtesy of Maja Arte Contemporanea

Una parte dei dipinti di Gilbert Halaby prende avvio dalla raccolta di questi video, che viene frammentata e ricomposta in tele di medio-piccolo formato, in cui i colori ad olio sono usati allo stato puro, unico tratto a ridisegnare le sagome e le forme di scene cittadine senza ombre e senza rimpianti per ciò che non appare. Tutto è colore, tutto si stende sulla superficie in accordo tra visione e immaginazione. La pittura modella lo spazio direttamente, coraggiosamente e in maniera sfrontata sulla tela. Il blu, il rosso, il giallo, il rosa, il nero, il bianco, il verde smeraldo sono note assolute, non ammettono ‘sfumature’ alla loro forza brillante e fanciullesca, si accordano e trovano la loro ragione di essere nella composizione narrante: lo sguardo viene accolto in una rinnovata felicità dell’occhio che vuole escludere la aggrovigliata complessità dei dettagli, per esaltare la fugace impressione dell’insieme, l’intuizione del tutto pieno.”

About Gilbert Halaby

Gilbert Halaby nasce nel 1979 in un villaggio sul Monte Libano. Incantato dalla natura che lo circonda durante tutta l’infanzia e dalla bellezza delle stoffe che cuce la madre, inizia a confezionare abiti e accessori, oltre ad appassionarsi alla pittura da autodidatta. Nel 1997 si trasferisce a Beirut e si iscrive alla Facoltà di Archeologia. Nel 2003 approda a Roma dove è colto da un vero e proprio colpo di fulmine per la città; nel 2005 apre una boutique di accessori nei pressi del Pantheon.
Nel 2010 fonda il marchio Halaby che include sue creazioni di pezzi unici di gioielli e borse in pelle realizzati dai migliori artigiani italiani e venduti in prestigiose boutique nel mondo.
Vince vari premi, tra cui “Stilista dell’anno” al Paris Capitale de la Création (2011). Nel 2012, dopo aver esposto i suoi gioielli-sculture alla Fondazione Volume! di Roma, viene nominato Vogue Talent per Vogue Italia e presenta la sua collezione a Palazzo Morando a Milano.
A seguito della decisione di allontanarsi dal sistema della moda, apre nel 2016 la Maison Halaby in via di Monserrato 21 (Roma), dove espone tutte le sue creazioni artistiche, inclusi i dipinti e le ceramiche. Lo spazio diviene presto luogo di incontri culturali, ove si ritrovano artisti, poeti, musicisti e filosofi. Nel 2023 debutta al Museo Beit Beirut con la personale “Domus Berytus”, esponendo 45 dipinti che raccontano, citando lo stesso Halaby, “i momenti di luce della sua infanzia”.

Hamid Zare, la pittura dell’artista iraniano tra “Esistenzialismo” e solitudine umana

Classe 1990, l’artista Hamid Zare è nato a Yazd, in Iran.

Nella foto il pittore iraniano Hamid Zare
Nella foto il pittore iraniano Hamid Zare

Ha completato il suo master in pittura presso l’Università della Scienza e della Cultura di Teheran e, attualmente, studia moda presso l’Università La Sapienza di Roma, dove vive.

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La sua attività artistica e professionale è iniziata nel 2015 e ha tenuto numerose mostre personali e collettive in Iran, Austria e Italia.

a79c6cfd-1160-4364-a451-eae98f4dae4eHa anche esperienza curatoriale, la più importante è stata collaborazione con l’Istituto Porta Coeli al Mediterranean Contemporary Arts Festival (Potenza, Italia) nel 2019 e nel 2021. Il soggetto dei dipinti di Zare è l’individuo contemporaneo con la sua solitudine, quindi le opere sono strettamente legate alla filosofia  dell’ “Esistenzialismo”.

bfce1432-700a-4bf3-a811-8f05feba91b8Nei suoi lavori l’individuo è solo e si trova di fronte a una domanda che, simbolicamente, rimanda all’identità.

a1aa038b-6a8a-4296-b6bf-3e720f39ba1bA volte, si rivela sotto forma di statua nei suoi dipinti e mostra la sua insensibilità al rapporto con sé stesso e con la società. Il suo mondo artistico ha varie sfumature di grigio e i personaggi sono alla ricerca di speranza e felicità.

19552457-89d3-4c95-a2e9-58a9da0936d9 Le opere del pittore sono lodevoli perché dipinge con gli occhi di un sociologo, nei suoi quadri ogni simbolo esprime un concetto diverso.

Photo credits Courtesy of Hamid Zare

Nicoletta Saracco: «Così ho trasformato in Arte la mia malattia»

Nella foto Nicoletta Saracco_credits Courtesy of Press Office
Nella foto Nicoletta Saracco_credits Courtesy of Press Office

Questa di Nicoletta Saracco è la storia vera. «A 29 anni ho scoperto di avere un tumore al seno metastatico. Ho iniziato un progetto, con il nome di @ni.art.gallery, di vendita quadri, felpe e T-shirt e parte del ricavato lo devolvo alla Fondazione IEO-CCM (dove sono in cura) per la ricerca sul tumore al seno. Mi fa piacere diffondere la mia storia e sensibilizzare i giovani al tema della prevenzione. Vi faccio un riassunto dei miei 30 anni di vita. Dietro ogni quadro c’è la mia storia. Una storia che ha 30 anni, di cui 29 trascorsi nel mondo della moda tra sogno e realtà. L’ultimo anno trasformato in tutt’altro grazie ad una diagnosi: tumore al seno. Una diagnosi che da un lato ha modificato la mia visione della vita, ma dall’altro non ha mai tolto la voglia di vivere e sorridere. Ed è anche attraverso il potere del colore che voglio trasmettere questo messaggio.  non c’è cosa più bella di vivere a colori», racconta parlando del suo progetto e aggiunge «Sono marchigiana ma mi sono trasferita a Milano undici anni fa per frequentare l’Istituto Marangoni. Ho sempre sognato lavorare nel mondo della moda tanto che fino ad un anno fa la mia vita è stata disegnare scarpe per maison come Chloé ed Etro. A 29 anni la mia vita viene stravolta da una diagnosi: tumore al seno. All’improvviso mi trovo catapultata in un mondo completamente nuovo, dalla moda agli ospedali. Da una prima diagnosi di carcinoma al seno, ne succede una seconda di tumore al seno metastatico. Il che significava avere una massa non localizzata in un solo punto, quindi non operabile.

Le opere di Nicoletta Saracco_credits_Courtesy of Press Office
Le opere di Nicoletta Saracco_credits_Courtesy of Press Office
E così inizia il mio lungo percorso allo IEO, Istituto Europeo di Oncologia. Lo IEO è il posto dove decido di affidarmi, supportata da un team di oncologhe donne che mi danno la forza di andare avanti. La prima volta che entro allo IEO è per incontrare la dottoressa Oncologa Manuelita Mazza.  Nella disperazione totale lei mi dice  ‘sei una figa , sembri Elettra Lamborghini, devi farcela’. Con le lacrime agli occhi ed il sorriso sulle labbra inizio il mio percorso fatto di terapie, tac, pet, analisi, ecografie, tutto ripetuto ciclicamente, mensilmente, all’infinito.  Sto ancora  facendo la chemio, non so quando e come finirà ma ho trovato un senso a tutto ciò. Il senso è quello di aiutare chi sta come me e sensibilizzare il più possibile le ragazze al tema della prevenzione». Un racconto fatto di coraggio e pieno di consapevolezza quella di Nicoletta, che ha saputo trasformare in arte la sua malattia con determinazione e creatività. Senza lasciarsi intimorire dalla paura.
Le opere di Nicoletta Saracco_credits_Courtesy of Press Office
Le opere di Nicoletta Saracco_credits_Courtesy of Press Office 
«Durante il periodo del lockdown, passato a Milano, positiva al Covid, ho iniziato a dipingere per tenere la mente occupata e lontana da qualsiasi pensiero negativo e superfluo. Da un quadro poi è arrivato il secondo , il terzo, e così via… e così è iniziata la vendita e raccolta fondi per la ricerca. Non sono mai stata così felice come in questo momento della vita. Felice di fare qualcosa di veramente utile, di mettere la mia storia a disposizione e di sdoganare un tema visto come un tabù. Il soggetto che ho deciso di dipingere è la Madonna , una Madonna appositamente senza volto, in modo che ognuno possa associarla e collegarla al significato che preferisce. Questa Madonna è diventata anche un ricamo, realizzato su felpe e t-shirt in materiali riciclati e bio. Parte del ricavato delle tele e dei capi lo devolvo alla Fondazione IEO-CCM (Istituto Europeo di Oncologia e Centro Cardiologico Monzino) per la ricerca sul tumore al seno. Il messaggio che cerco di far emergere dalle mie creazioni è la gioia di vivere a colori. Sono i colori a trasmettere quell’energia di cui tutti abbiamo bisogno»,  conclude la creativa.
Le opere di Nicoletta Saracco_credits_Courtesy of Press Office
Le opere di Nicoletta Saracco_credits_Courtesy of Press Office
I  lavori sono visibili sulle pagine Instagram @NI.ART.GALLERY e @NICOLETTASARACCO.
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Incinque Open Art Monti, riparte la “Roma Jewelry Week” con la mostra dell’artista Ivan Barbato

L’appuntamento con Roma Jewelry Week torna ad ottobre 2023 e si rinnova: tantissime iniziative inedite tra cui esposizioni, conferenze, talk, tour, performance e, ovviamente, l’immancabile contest, del quale sono già aperte le iscrizioni, con la partecipazione di designer e orafi provenienti da tutto il mondo. Ivan Barbato, artista premiato durante la seconda edizione della kermesse, ha partecipato con il suo gioiello Sulle orme del tempo” al Premio Incinque Jewels 2022 avente come tema Grand Tour – i colori del viaggio.

In riferimento al riconoscimento che la giuria gli ha assegnato lo scorso anno, il designer sarà in mostra con la sua personale da venerdì  5 sino a domenica 7 maggio presso la galleria Incinque Open Art Monti con la curatela dell’architetto Monica Cecchini.

L’esposizione di Barbato partirà con gioielli che celebrano l’Antica Roma, fino ad arrivare all’Art Nouveau. Nel viaggio della mostra intitolata “Sulle orme della materia” sarà possibile ammirare i gioielli della collezione “Infinity” e opere che rimandano allo stile liberty o che richiamano il Rinascimento fiorentino. La grande passione per i mosaici romani e l’interesse per la Città Eterna trovano nella galleria Incinque Open Art Monti la location perfetta per un connubio tra storia e arte orafa. L’opening si terrà 5 maggio alle ore 18:30 e, in occasione del vernissage, l’artista, accompagnato dalla curatrice Cecchini, inaugurerà il suo percorso espositivo svelando il gioiello vincitore.

«Ammirandolo, si rivive l’eccellenza del Rinascimento fiorentino grazie alla peculiarità della tecnica del traforo applicata al metallo e alla raffinata decorazione ottenuta su di essa dall’incisione a bulino; il tutto in perfetta sinergia con un micro-mosaico in marmo che ricorda gli antichi pavimenti romani e una figura mitologica figlia dell’antica civiltà greca, culla della cultura mediterranea», spiega Barbato parlando del suo medaglione. Nell’incontro tra tradizione e innovazione, la creatività dell’artista lombardo si esprime come in un viaggio nella storia, supportato dalla scenografia della galleria che lo ospita.  «I miei gioielli sono eseguiti in modo del tutto artigianale, prestando particolare attenzione alla lavorazione del metallo, alla tecnica del traforo e alla modellazione in cera. Si tratta di creazioni realizzate a mano con gemme di qualsiasi tipo, preziose, semipreziose e non. Il mio mantra è un mix: plasmare ogni pezzo con la sua montatura e un fascino che sappia regalare emozioni nel tempo», aggiunge il creativo.

Roma Jewelry Week ha come obiettivo la valorizzazione del gioiello contemporaneo e del patrimonio artistico, culturale e immateriale della città attraverso i pilastri della condivisione e della collaborazione. Con questa finalità oltre quella di mettere in connessione le realtà più importanti del settore, la mostra sarà anticipata da una conferenza, che si terrà giovedì 4 maggio alle ore 18:30 sul lavoro dell’artista e su alcune tematiche relative. Il meeting sarà ospitato dal  Nobil Collegio degli Orefici, Gioiellieri, Argentieri dell’Alma Città di Roma e vedrà la partecipazione del Console Camerlengo Aldo Vitali e dell’artista e curatore Claudio Franchi, che parlerà del concetto di “Costruire il valore”.

«In un oggetto piccolo per dimensioni come il gioiello esiste una quantità di elementi per i più inimmaginabili, questi costituiscono nella loro somma la costruzione del valore del gioiello stesso, che non si limita ai materiali preziosi utilizzati. Per costruire il valore si rende necessario conoscerli e destreggiarli, al pari della tecnica e dei materiali», sottolinea Franchi.

Il tema della terza edizione della RJW è “Second Life”. L’obiettivo è quello di approcciare le tematiche contemporanee con uno sguardo riflessivo che non fugga dal presente e riesca a dialogare con il futuro. Guardare al passato non con la fascinazione di una storia mai vissuta ma con la consapevolezza di quanto è stato creato. Non si vuole negare l’uso della tecnologia ma fare una riflessione sull’utilizzo della stessa, considerando l’esperienza di un mondo immersivo come valore aggiunto a quella fisica.

Per poter partecipare alla nuova edizione della Roma Jewelry Week, che si terrà dal 6 al 15 ottobre, a Roma si può inviare una mail a:

premioincinquejewels@gmail.com oppure

 info@romajewelryweek.com

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“1000 (one thousand fabulous faces)”, allo Spazio Field di Roma gli scatti d’autore di Simone Cecchetti

Venerdì 21 aprile, presso Spazio Field al Palazzo Brancaccio di Roma, apre al
pubblico 1000 (one thousand fabulous faces), la nuova mostra di Simone Cecchetti. Un progetto, quello del fotografo romano, in grado di rappresentare in modo esaustivo la sua produzione artistica: anni di concerti ed eventi in ambito musicale in ogni parte del mondo. L’esposizione, aperta al pubblico fino al 5 settembre, con la curatela di Marco Dionisi Carducci e il contributo critico di Gino Castaldo, permette di apprezzare l’intero percorso artistico di Cecchetti in un’antologica caratterizzata da oltre mille scatti, molti dei quali assolutamente inediti, di oltre mille artisti diversi tra loro.

La storia di una professione che è vita, svolta quotidianamente tra piccoli club, auditorium, stadi, festival e raccontata da immagini a colori e in bianco e nero, gigantografie, audiovideo, angoli emozionali, in un allestimento variegato e coinvolgente.

Tiger Bell
Tiger Bell

Il percorso espositivo 

1000 foto, 1000 artisti, 1000 volti diversi. Una vera e propria antologica, in gradi di raccontare il percorso artistico di Simone Cecchetti maturato nei concerti in ogni parte del mondo.
Fotografie, video, spazi emozionali in grado di evidenziare lo stile, la tecnica, l’estro dell’artista romano, abile a raccontare attraverso i propri scatti impressioni, emozioni, sguardi ben lontani dai più classici tagli documentaristici.

La strada del fotografo romano è quella della narrazione sensibile e penetrante, che progredisce verso la ricerca poetica, umana e psicologica dei soggetti ritratti. Scatti in bianco e nero e a colori, in grado di raccontare, nei più variegati contesti, l’opera di un artista dal taglio unico, firma riconoscibile “capace – come sottolineato da Gino Castaldo – di rendere il soggetto, colto nel pieno aspetto fisico e mentale della performance, perfettamente in posa”.
Da BB King a Roger Waters, da Noel Gallagher a Skin, da Bruce Springsteen a Juliet Lewis, passando per Nick Cave, Michael Stipe, Bjork, Lady Gaga, Lou Reed, Madonna, Renato Zero, Steven Tyler, tanto per citarne alcuni. A guardare le foto di Cecchetti, sembrano tutti in attesa del ritratto perfetto, dello scatto d’autore. Un sodalizio, uno scambio, una simbiosi naturale tra l’artista sul palco e quello appena sotto.

Foto e documentario 

A marzo del ’22 è uscito su SkyArte “Chi è Simone Cecchetti?”, un documentario con la partecipazione di artisti come Renato Zero, Fiorella Mannoia, Manuel Agnelli, Diodato, Daniele Silvestri, Paul Gilbert, Tommy Emmanuel, Alessandro Mannarino, tanto per citarne alcuni. Dal documentario è nata una mostra itinerante, un successo di pubblico (nonostante la pandemia) e di critica, che ha apprezzato quel lavoro di estrema sintesi: 37 foto. Una selezione volutamente mirata e parziale. Dopo 12 mesi è nata l’esigenza di raccontare anni di concerti, tutte le sere, in giro per il mondo. Cecchetti ha così messo mano al proprio archivio, selezionando più di 2000 fotografie. E da queste 1000. Materiale che sarà accompagnato da una sezione video con girato inedito: un backstage non inserito nel documentario “Chi è Simone Cecchetti”.

Paul Stanley_Kiss
Paul Stanley_Kiss

Mono e gli altri artisti 

Una mostra dedicata al pubblico, ma anche agli artisti. Simone Cecchetti ha sempre creduto nella condivisione, quella reale. Perché, dunque, non ampliare il progetto dando a tutti la possibilità di esporre i propri lavori? Si è così pensato di destinare, a rotazione, una parte della mostra ad altri fotografi. Questo, in linea con l’accademia di fotografia musicale (Music Photography Academy) che Cecchetti ha aperto quest’anno: poter dare a tutti la possibilità diventare fotografi musicali professionisti.
Durante la mostra, si terrà anche la presentazione di Mono, un concept magazine che ha l’obiettivo, attraverso il lavori congiunto di professionalità in ambito editoriale e fotografico, di diventare un punto di riferimento del settore.

Una mostra dinamica

Ma non bastava. Per innovare continuamente l’esposizione, rendendola dinamica, abbiamo deciso di permettere al pubblico di acquistare le foto a un prezzo simbolico, così da poterle sostituire quotidianamente con altre 1000 selezionate.

Gli eventi in programma 

Durante, la mostra, fino al 5 settembre, Spazio Field sarà anche la sede di concerti e giornate legate al mondo della musica. La calendarizzazione degli eventi sarà di volta in volta comunicata sui canali ufficiali della galleria. Gli eventi in programma, così, come la visita alla mostra, saranno a ingresso gratuito.

Rem
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Il taglio critico 

C’è un discorso a parte riguardo la ritrattistica. A volte non ci
pensiamo, ma quando hanno inventato la fotografia c’è stato uno scossone nel mondo della pittura. Ci pensiamo raramente rispetto ai vecchi capolavori del passato: erano ritratti, c’era il bisogno di far vedere le facce. Per questo le opere avevano un aspetto realistico, dovevano raccontare realmente come fosse un volto, una figura. Poi arriva la fotografia e guarda caso la pittura diventa astratta; all’opposto, la fotografia diventa l’arte del ritratto. Ecco, questi di Simone, anche se fatti in movimento, sono ritratti; quelli che una volta facevano i pittori e che ora non fanno più, perché c’è la fotografia, perché c’è uno come Simone Cecchetti. […]Eppure, guardando queste foto, mi viene anche un sospetto: che Simone sia un gran bugiardo. Perché dico questo? Guardate questa foto, è Davi Crosby, questo è Leonard Cohen, Steven Tyler e, dulcis in fundo, Bruce Springsteen. Perché dico che è un bugiardo? Queste dovrebbero essere foto da concerto, ma io non ci credo. Queste sono foto da posa. Oppure è successo qualcos’altro: non so come abbia convinto David Crosby a mettersi in posa. Perché questa non può essere una foto fatta in movimento. Qualcuno mente. O Crosby o Simone Cecchetti.
Gino Castaldo tratto dal documentario Chi è Simone Cecchetti? (SkyArte)

About Simone Cecchetti

Simone Cecchetti. Roma, 1973. Fotografo e ritrattista. Ha collaborato con diverse testate, su carta e su web: Rolling Stone, GQ, Mojo, Raro!, Kataweb. Lavora per la Corbis, un’agenzia statunitense fondata da Bill Gates.
Nel 2010 è stato scelto per documentare l’apertura e l’allestimento in backstage del MAXXI a Roma, il museo di architettura e arte contemporanea progettato da Zaha Hadid. Un suo ritratto di Mick Jagger è stato in mostra nella retrospettiva “Mick Jagger. The photobook”, presentata nell’ambito del festival di fotografia Rencontres d’Arles nell’estate 2010. La mostra si è poi spostata a Milano, Roma, Mosca.
Nel 2011 ha collaborato con Daniele Silvestri con le foto per l’album S.C.O.T.C.H. e con il resoconto fotografico del tour; con Renato Zero con le foto per il cofanetto Sei Zero; con Niccolò Fabi per il volume 30.08.2010 Immagini e parole di Lulù e con Mario Biondi per la copertina dell’album Due. Sempre nel 2011 comincia a collaborare con la società calcistica A.S. Roma.
Nel 2012 ha curato le copertine degli album di Niccolo Fabi (Ecco), Marina Rei (La conseguenza naturale dell’errore), Alessandro Grazian (Armi), Roberto Angelini (Phineas Gage), oltre a collaborare con Andy Timmons, Malika Ayane e Japandroids.
Nel 2013, oltre alla copertina di Una rosa blanca di Zucchero Fornaciari, ha fornito immagini per gli album di Simone Cristicchi (Album di Famiglia), Fiorella Mannoia (A te), Eros Ramazzotti (Noi), Francesco Forni e Ilaria Graziano (From Bedlam to Lenane), Vinicio Capossela e la Banda della Posta, Tommy Emmanuel (Live and Solo in Pensacola).
Nel 2014 firma le copertine per i dischi di Alessandro Mannarino (Al Monte), Tommy Emmanuel (The Guitar Mastery of Tommy Emmanuel), Deborah Iurato (Deborah Iurato), Giada Agasucci (Da Capo), Tosca (Il suono della voce), Diodato (A ritrovar bellezza), Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello (Tandem), Fabrizio Bosso e Marco Moreggia (Magic Susi), Ilaria Graziano e Francesco Forni (Come 2 Me). Nel 2014 continua la collaborazione con il trio Silvestri, Fabi, Gazzè con Il padrone della festa con del materiale fotografico e la realizzazione del video, in collaborazione con Giacomo Citro, del terzo singolo estratto dall’album, (Come mi pare). Nel 2015 è autore della foto di copertina dell’album del gruppo Il Volo L’Amore si muove. Nel 2016 entra a far parte dell’Agenzia Getty Images per la sezione Contour.
Nel 2018, le copertine di Eco di Sirene (Carmen Consoli), Accomplice One (Tommy Emmanuel) e Zerovskij di Renato Zero, oltre le immagini per il tour dal vivo di quest’ultimo, Alt in Tour.
Nel 2019 iniziano le collaborazioni con Teresa De Sio per l’album Puro desiderio e con Vinicio Capossela per l’album Ballate per uomini e bestie e realizza il videoclip, in collaborazione con Emiliana Aligeri, del brano Di città in città (e porta l’orso). Firma la copertina di Rockstar mai di Young Signorino.
Dal 14 Marzo 2022 su Sky Arte va in onda un documentario Chi è Simone Cecchetti?, un biography documentary con la partecipazione di una cinquantina di artisti, tra i tanti Renato Zero, Fiorella Mannoia, Paul Gilbert, Tommy Emmanuel, Daniele Silvestri, Diodato, Niccolò Fabi, Nina Zilli, Max Gazzè.
Nel 2023 fonda la Music Photography Academy, la prima accademia dedicata alla fotografia musicale e MONO, un concept magazine. Nel 2023 esce Live a Studio 33 di Saverio Raimondo, Bach Transcription di Mario Brunello.

Photo credits Courtesy of Press Office

“Terra animata”, visioni tra arte e natura in mostra al Mattatoio di Roma

Da oggi sino al 27 agosto, il Mattatoio di Roma ospita presso il Padiglione 9a, l’esposizione Terra animata. Visioni tra arte e natura in Italia (1964-2023), promossa da Roma Culture e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo.

La mostra, curata da Paola Bonani e Francesca Rachele Oppedisano, raccoglie alcuni tra gli esempi più significativi di artisti contemporanei che hanno lavorato sulle relazioni esistenti tra arte, creatività, estetica e i territori naturali che l’uomo abita.

La selezione incentrata su artisti italiani copre un arco cronologico che va dagli anni Sessanta ai giorni nostri, un periodo caratterizzato da grandi cambiamenti nella percezione del rapporto tra natura ed essere umano, cambiamenti a cui le arti visive hanno contribuito aprendo nuovi scenari e fondando nuove consapevolezze.

Terra animata. Visioni tra arte e natura in Italia, Mattatoio di Roma_credits Courtesy of Press Office
Terra animata. Visioni tra arte e natura in Italia, Mattatoio di Roma_credits Courtesy of Press Office

Negli anni Sessanta molti artisti hanno compiuto un radicale superamento dei confini tradizionali dell’opera d’arte, includendo all’interno di essa elementi prelevati direttamente dalla realtà e incentrando, in alcuni casi, tutta la loro ricerca sul rapporto con la materia, con la natura e con i suoi processi di trasformazione. Negli anni Settanta l’agricoltura e il paesaggio sono divenuti oggetto di pratiche artistiche specifiche, con l’intento di indagare e di verificare dimensioni più umane di produzione e spazi di sintonia con l’ambiente.

All’interno di un gioco di rimandi generazionali la mostra raccoglie opere di Nico Angiuli, Emanuela Ascari, Massimo Bartolini, Gianfranco Baruchello, Alberto Burri, Giacinto Cerone, Leone Contini, Pamela Diamante, Bruna Esposito, Giosetta Fioroni, Lucio Fontana, Piero Gilardi, Michele Guido, Renato Leotta, Mario Merz, Marzia Migliora, Pino Pascali, Luca Maria Patella e Giuseppe Penone.

“Nasi per l’arte”, il fiuto per la creatività in un’esposizione al Palazzo Merulana di Roma

Da sabato 25 marzo Palazzo Merulana, in sinergia con Fondazione Elena e Claudio Cerasi e CoopCulture, propone al pubblico la mostra “Nasi per l’arte” ideata e curata da Joanna De Vos e Melania Rossi. Fino al 21 maggio una selezione di oltre cinquanta opere metterà in connessione, in modo originale, ironico, e inaspettato, l’arte italiana e quella belga secondo un insolito fil rouge: il naso.

Nasi per l’arte non parla solo di “nasi come forme, o come olfatto”. Vuole, invece, stimolare una riflessione sul significato metaforico di questo organo, il primo a formarsi nel grembo materno, un carattere ereditario e identitario che rappresenta l’istinto primordiale ed è anche metafora dell’“avere naso” e di un modo immediato di avvicinarsi alle cose, “sentendole” prima ancora di vederle. Al naso fa capo uno dei nostri cinque sensi, quello più animale e istintivo, che determina in noi l’attrazione o la repulsione. Esiste una profonda relazione tra olfatto e memoria. L’olfatto innesca pensieri e – anche involontariamente – fa riaffiorare i ricordi. È il cosiddetto “effetto Proust”.

In anni di collaborazioni, le curatrici De Vos e Rossi, rispettivamente di origine belga e italiana, si sono impegnate ad analizzare come italiani e belgi sul piano estetico e concettuale condividano un “naso per l’arte”, di come gli artisti seguano il loro “fiuto” e di come lo facciano, per altri versi, anche gli appassionati collezionisti o gli stessi esperti nella curatela delle mostre.

Roma, Palazzo Merulana-“Nasi per l’arte”, credits web
Roma, Palazzo Merulana-“Nasi per l’arte”, credits Courtesy of Press Office

Nasi per l’arte trova le sue origini nell’incontro di due nasi curatoriali – spiegano entrambe – Noi curatori siamo a nostra volta creatori, ma creiamo mescolando fonti e voci, spesso inclusa la nostra. Cerchiamo connessioni che gli altri potrebbero non vedere immediatamente, abbracciamo l’insolito ed esploriamo l’inaspettato. Abbiamo così individuato somiglianze impensate e differenze specifiche, che vogliamo svelare in questo progetto. L’Italia e il Belgio sono Paesi diversi ma anche culturalmente simili: nell’approccio istintivo, nella capacità di ironizzare (prendere per il naso), di improvvisare (andare a naso) e nella totale disponibilità a mettersi in gioco”.

I due percorsi espositivi

In primo luogo la mostra propone un dialogo tra l’arte italiana e quella belga dell’inizio del XX secolo attraverso la connessione tra la Collezione Cerasi, presente in modo permanente a Palazzo Merulana, in particolare con opere pittoriche e scultoree dagli anni Venti agli anni Quaranta, e una selezione di opere belghe dello stesso periodo, prestate da collezionisti privati belgi e da alcune Istituzioni. Artisti quali René Magritte, Léon Spilliaert, Paul Joostens, Constant Permeke dialogheranno con Giorgio De Chirico, Francesco Trombadori, Antonio Donghi, Antonietta Raphael.

Roma, Palazzo Merulana- “Nasi per l’arte”, credits web
Roma, Palazzo Merulana- “Nasi per l’arte”, credits Courtesy of Press Office

Il progetto espositivo è in armonia con la collezione creata da Elena e Claudio Cerasi. Frutto di anni di passione e amore per l’arte, la loro raccolta non rispetta regole ferree: a volte riscopre artisti del passato meno noti, a volte espone opere rare di artisti celebri in dialogo con quelle di autori contemporanei. Un percorso non lineare, in cui l’istinto e il “fiuto” sono state la forza propulsiva, e con cui il progetto “Nasi per l’arte” si sente in perfetta sintonia.

Il secondo percorso all’interno della mostra coinvolge nove artisti contemporanei belgi e altrettanti italiani le cui opere celebrano, sfidano e invitano alla riflessione sul naso, i sensi e l’arte. Da “Autoritratto olfattivo” di Peter De Cupere (uno dei suoi celebri dipinti “graffia e annusa, all’autoritratto di Maurizio Cattelan, che nella sua “Autobiografia non autorizzata”, scrive: “Quando sono nato erano molto delusi. Avevo un naso da adulto. E ancora disegni, quadri, sculture, installazioni, cinema rianimato, opere video, fotografie, che fanno rivivere la tradizione e la mitologia o indagano sulla condizione umana… spargendo le loro “essenze” nelle sale del prezioso Palazzo Merulana.

Gli artisti in mostra:

Artisti contemporanei:

Francis Alÿs, Francesco Arena, Michaël Borremans, Maurizio Cattelan, Michael Dans, Laura de Coninck, Peter de Cupere, Jan Fabre, Mariana Ferratto, Thomas Lerooy, Emiliano Maggi, Sofie Muller, Luigi Ontani, Daniele Puppi, Anna Raimondo, Marta Roberti, Yves Velter, Serena Vestrucci.

Prestiti opere di artisti belgi di inizio Novecento:

Jos Albert, Pierre-Louis Flouquet, Robert Giron, Oscar Jespers, Paul Joostens, René Magritte, George Minne, Constant Permeke, Léon Spilliaert, Marcel Stobbaerts, Henri Van Straten, Fernand Wery.

In dialogo con artisti della collezione permanente: Giacomo Balla, Duilio Cambellotti, Felice Casorati, Giorgio De Chirico, Antonio Donghi, Ercole Drei, Guglielmo Janni, Leoncillo Leonardi, Antonietta Raphael, Francesco Trombadori, Alberto Ziveri.

La mostra è accompagnata da un catalogo, pubblicato da Bruno Devos at Stockmans Art Books con testi di Joanna De Vos e Melania Rossi, Giacinto di Pietrantonio e Caro Verbeek.

Julia Breiderhoff, in mostra le sue “Evasioni” pittoriche ai Musei di San Salvatore in Lauro della Capitale

Evasioni” è il titolo della mostra di Julia Breiderhoff, a cura di Marco Di Capua, che si terrà dal 28 marzo al 7 maggio nella “Galleria Umberto Mastroianni” dei Musei di San Salvatore in Lauro a Roma. L’ingresso è gratuito (orari d’apertura: martedì – sabato: ore 10.00 – 13.00; 16.00 – 19.00; domenica e lunedì chiuso).

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

Il vernissage si terrà martedì 28 marzo alle ore 19.00 nei Musei di San Salvatore in Lauro (piazza San Salvatore in Lauro, n. 15). Interverrà, oltre all’artista e al curatore, Lorenzo Zichichi, presidente della casa editrice “Il Cigno GG Edizioni” che realizza anche il catalogo.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

Julia Breiderhoff nasce in Germania, a Solingen, il 3 marzo 1971. Figlia di un architetto, cresce in un ambiente familiare stimolante e votato alle arti; già in tenera età si fa strada in lei una profonda passione per il disegno, la pittura e la storia dell’arte. Nel 1992 decide di trasferirsi in Italia per studiare recitazione, ma si laurea in Fisica all’Università di Roma Tre e successivamente comincia a studiare ed esercitare trattamenti legati al benessere fisico e cognitivo della persona. La relazionalità è il denominatore comune che lega queste esperienze, che si presentano come indizio rispetto alla curiosità nutrita nei confronti del mondo e che contraddistinguerà poi la sua arte. Dal 2006 Julia si dedica alla pittura avendo maturato il desiderio di comunicare col mondo attraverso i colori e le sue visioni, spesso appunto “evasioni”.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

“Eccole qui, ritrovo adesso, davanti a me, le spiagge e le bagnanti –  scrive nel catalogo Marco Di Capua – , come fossero di estati lontane, flash riaffiorati da un bel Novecento europeo fatto di storie e album di famiglia e di letture e di quadri amati: lo so che questa è la pittura nell’attimo di affacciarsi sul mondo, e lo guarda, e lo ricorda con un misto di felicità e di languore, rendendolo tuttavia sempre fisicamente e mentalmente presente, molto più di qualsiasi fotografia, per dire, dove la vita, per quanto sia rappresentata con esattezza in ogni sua parte e dettaglio, appare ogni volta com’era, dunque già tramortita”.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

Tra i quadri in mostra, tutti in olio su tela, ci sono una serie di opere dedicate al mare e ai bagnanti come “Zattera” (2023, cm 100×150), “In estate al mare” (2022, cm 250×100), “Le bagnanti” (2019, cm 150×100), “Sperlonga” (2020, cm 80×60), “Message in a bottle” (2023, cm 150×100), “La sirenetta” (2019, cm 70×90); ci sono poi una serie di ritratti di dive del cinema, personaggi di spicco del passato, come “Anna” (2023, cm 150×100), “Blondie”  (2023, cm 150×100”, “Fanny Ardant”(2023, cm 150×100), “I have a dream” (2023, cm 150×100), “L’angelo azzurro” (2023, cm 150×100), “La divina” (2023, cm 150×100), “Romy Schneider”(2023, cm 150×100), “Lady D.” (2023, cm 150×100), “Mata Hari” (2023, cm 150×100), “Sognando il glamour” (2023, cm 250×150), “Matrimonio e-steso”  (2022, cm 250×150), “Julia autoritratto”(2019, cm 70×50), “Renaissance – la rinascita”(2023, cm 250×150); una sezione di opere, presentate solo sul catalogo, sono dedicate alle “Straordinarie quotidianità” come “Everyday Everywhere Everybody”  (2020, cm 100×70), “Lock-out” (2020, cm 80×60), “Senza pensieri” (2020, cm 90×70), “Chi non beve in compagnia…” (2021, cm 107 x 77), e “Pupo” (2022,  cm 50×70”.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

«Il mare – racconta Julia Breiderhoffrappresenta la gioia e la libertà, a cominciare dall’infanzia, evasione dalla routine quotidiana. La stanza con lo stendino, strumento banale e allo stesso tempo così personale, elevato a simbolo del peso casalingo da cui evadere. La ragazza che vuole evadere per diventare giovane donna e fuggire attraverso il sogno. Le dive che evadono dalla loro origine verso la divinità. Martin Luther King che sogna l’evasione dalla schiavitù perenne davanti ad una bandiera trasparente che fonde tutti i colori. La ragazza a casa, protetta da un muro che abbatte per evadere da tutte le cose ovvie. Nei miei quadri ho cercato di fermare nell’istante il bello dell’eterno evadere da ciò che ci condiziona per divenire noi stessi sempre di più».

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

«I quadri di Julia Breiderhoff – conclude Marco Di Capua -, ci forniscono il pretesto di riconsiderare la pittura anche come fonte di narrazioni, di racconti personali e collettivi. Scorrere accanto alla vita, appuntandola, come in un diario: è il modo in cui l’arte rende l’esistenza non dico spiegabile, ma almeno sopportabile. Altrimenti come interpretare un lavoro come Reinassance  così disseminato di indizi e simboli, quasi a comporre un rebus autobiografico, un enigma da percorrere con lo sguardo e, possibilmente, da risolvere, con la figura allo specchio, lo squarcio circolare nel Muro – lo scrivo in maiuscolo, ricordando che Julia è tedesca – il quadro nel quadro, un bellissimo leopardo e i tristi strumenti di un lavoro casalingo, quotidiano, in un mix di frustrazione e di aspirazione ad evadere da quella stanza.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

Stanza che pure – ha detto Virginia Woolf una volta per tutte – era finalmente tutta per sé. In questa prospettiva è chiaro che i ritratti delle Divine con le loro bandiere nazionali di riferimento, con quell’atteggiamento così fragile e inerme con cui si sporgono nuovamente verso di noi, esibendo in qualche modo il loro personalissimo racconto, il loro – non so dirlo meglio – destino, queste immagini, dicevo, non possiedono nulla di celebrativo: niente pop ed euforici derivati con data di consumazione scaduta, per esser chiari. Dunque, che film stiamo vedendo? Stretti, nel loro momentaneo, piccolo proscenio, tra l’apparire e il dissolversi – come mostrando perfino il tono di superficie di quei manifesti cinematografici che piano piano si stingevano e si sciupavano ai muri di una strada, una volta – credo che anche i celeberrimi personaggi ritratti da Julia ambiscano a una qualche liberazione dalla storia che li ha imprigionati. Queste figure raccontano, in un solo istante, se stesse. Julia sgualcisce poeticamente la loro capacità di seduzione e di glamour, e benché le presenti come simboli nazionali, qualcosa che lei mette in azione – forse lo stesso gesto del dipingere – riporta quelle immagini emblematiche a una condizione semplicemente umana. Con alcune, poi, ciò risulta inevitabile. Dico le mie preferite? Sono prevedibile: Romy, Anna…».

Photo credits Courtesy of Press Office

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