Dall’8 ottobre a oggi sono oltre 400mila i visitatori che, a Palazzo Bonaparte di Roma, hanno preso parte alla grande mostra dedicata a Van Gogh.Una mostra che, fin dalla sua apertura, ha registrato numeri record. L’esposizione a piace perché, come testimoniano i visitatori, ci sono i grandi capolavori di Van Gogh ma c’è anche una ricchezza incredibile di contenuti scientifici, approfondimenti su ogni tema, le sue lettere, l’intrattenimento. È una mostra di grande spessore accompagnata da uno spettacolare allestimento, la formula vincente per farne un evento di straordinario successo.
Roma, mostra Vincent Van Gogh a Palazzo Bonaparte
La mostra è sold out da molto tempo ma le richieste continuano incessanti da ogni parte del mondo. Motivo per cui Arthemisia, in accordo col Kroller Muller Museum, ha deciso di prorogare eccezionalmente fino al 7 maggio. L’ultima settimana la mostra sarà aperta tutti i giorni fino alle 24.00. Inoltre, il 30 marzo, in occasione del 170esimo anniversario della nascita di Van Gogh, ci sarà una grande giornata di festa: apertura fino a mezzanotte, musica, drink dedicato al grande artista e palloncini per tutti i bambini.
Roma, mostra Vincent Van Gogh a Palazzo Bonaparte
Con il patrocinio del Ministero della cultura, della Regione Lazio, del Comune di Roma – Assessorato alla Cultura e dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, la mostra è prodotta da Arthemisia, realizzata in collaborazione con il Kröller-Müller Museumdi Otterlo ed è curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti.
Roma, mostra Vincent Van Gogh a Palazzo Bonaparte
La mostra vede come main sponsorAcea, sponsorGenerali Valore Cultura, special partnerRicola, mobility partnerAtac e Frecciarossa Treno Ufficiale, media partnerUrban Vision ed è consigliata da Sky Arte. Il catalogo è edito da Skira con saggi a cura di Maria Teresa Benedetti, Marco Di Capua, Mariella Guzzoni e Francesca Villanti.
“Antonio Ligabue: il van Gogh con la moto rossa”: questo il titolo dell’articolo del 12 marzo 1961 comparso su “Epoca” a firma dalla giornalista, saggista e scrittrice italiana Grazia Livi a seguito alla memorabile mostra alla Barcaccia di Roma presentata da Giancarlo Vigorelli. L’esposizione romana consacrava il lavoro di Antonio Ligabue e veicolava per la prima volta, oltre i confini emiliani, l’asprezza espressionista del pittore di Gualtieri.
Oggi, in occasione della mostra Antonio Ligabue (che aprirà al pubblico il prossimo 25 marzo al Castello aragonese di Conversano), dal 1 al 12 marzo, presso la mostra “Van Gogh. Capolavori dal Kröller-Müller Museum” a Palazzo Bonaparte di Roma sarà ospitato un dialogo del tutto inedito tra due Autoritratti proprio dei due artisti, così tanto distanti quanto simili per destino e voglia di riscatto.
Un confronto ideato da Francesco Negri per onorare il lavoro svolto dal padre Sergio nel corso della sua vita.
Antonio Ligabue, Autoritratto con berretto da motociclista, s.d. (1954 – 1955). Olio su tavola di faesite, cm 80×70. Collezione privata
Potrebbe risultare difficile immaginare delle affinità, o anche solo dei semplici punti di contatto, tra due autori tanto diversi: se Van Gogh è dotato di uno spirito superiore che lo porta oltre il reale e nella sua arte è riscontrabile una matrice letteraria, Ligabue mette il suo istinto davanti alla natura e avvia un convulso e furioso dialogo con il colore.
E proprio nell’uso del colore, nell’inquietudine inesorabile che li pervade e in quel disadattamento personale che riescono a superare solo dipingendo vanno ricercati i motivi di tangenza tra i due artisti, al di là della tecnica pittorica e di quanto abbiano rappresentato sulla tela.
Più l’anima è straziata, più i colori diventano brillanti.
Vincent in una lettera alla sorella Willemien scrive: “Più divento brutto, vecchio, cattivo, malato e povero, più desidero riscattarmi facendo colori brillanti, ben accostati e splendenti” e lo stesso vale per Ligabue, il cui animo soffocato dal dolore si libera dagli incubi che ha dentro, avviando un convulso e furioso dialogo con il colore, creando capolavori di un’arte primitiva e istintiva e di una brutalità senza filtri.
Van Gogh e Ligabue, esclusi da una società creata dagli uomini, condividono una solitudine senza appigli che riesce a scongiurare la disperazione solo attraverso la pittura.
Non stupisce dunque, come documenta questo confronto, che entrambi sentano la necessità di riprodurre la propria immagine più volte, come a voler dare prova della loro esistenza in un mondo che li ha emarginati e con lo sguardo penetrante rivolto allo spettatore.
“Dialoghi o conflitti fra la coscienza e la percezione visiva del proprio volto … Ed è proprio in questo senso che alcuni dei grandi espressionisti, oltre a Van Gogh, hanno analizzato se stessi davanti a queste superfici dipingendo decine e decine di autoritratti, con l’intento di riversare in essi le angosce e i tormenti che li affliggevano” scrive Sergio Negri, il maggior esperto di Antonio Ligabue, nel catalogo generale dei dipinti a sua cura edito da Electa nel 2002.
Ragione e istinto; conoscenza raffinata e foga animale; un’unica disperata solitudine. I due artisti sono accomunati da un’unica disperata solitudine, uno stato generato dalla disillusione di credere alla bontà della natura, entrambi vedono l’universo per quello che è e ne dipingono la brutalità senza filtri.
Due artisti che, seppur in maniera diversa, col proprio linguaggio e proprie opere sono stati in grado ugualmente di penetrare l’anima e di nutrire la fantasia degli spettatori.
Photo credits Courtesy of Press Office
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