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“Il Mago di Oz”, la fiaba scritta da Baum diventa un musical al Teatro Brancaccio di Roma

La geniale fiaba de “Il Mago di Oz”, tratta dal libro di L. Frank Baum, viene proposta in questo mirabolante family show in una chiave scenica del tutto originale: il linguaggio del musical e del circo contemporaneo si fondono in una nuova dimensione. Il cast di 25 artisti è composto da cantanti, danzatori e alcuni tra i maggiori acrobati del circo contemporaneo mondiale, in scena dal 7 al 30 aprile al Teatro Brancaccio di Roma.

Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”

La mirabolante messa in scena dello spettacolo è esaltata dall’originale animazione, grafiche in 3D, effetti speciali e costumi fantasmagorici realizzati dal team di creativi della Romanov Arena.

Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”

Lo spettacolo 
Dorothy è una piccola bambina orfana che abita in Kansas con i suoi zii. Un giorno, un tornado spazza via la loro casa, con Dorothy all’interno, trasportandola nel paese di Oz. Qui, la casa, cadendo per terra, schiaccia la strega malvagia dell’Est.

Nel paese di Oz, infatti, esistono quattro streghe: due buone (la strega del Nord e la strega del Sud) e due cattive (la strega dell’Est e la strega dell’Ovest). Nella capitale del regno, la città di Smeraldo, vi è inoltre un potentissimo mago, il mago di Oz.

Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”

Presto Dorothy incontra la strega del Nord, che la ringrazia per aver tolto di mezzo la strega malvagia dell’Est e le dona le sue scarpette di cristallo. Dorothy chiede alla strega di aiutarla a tornare in Kansas, dai suoi zii; la strega non può fare nulla per lei, ma le suggerisce di recarsi nella città di Smeraldo e di chiedere aiuto al mago di Oz.

Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”

Dorothy si incammina così verso la città. Lungo la strada, incontra tre compagni: uno spaventapasseri che vorrebbe avere un cervello, un boscaiolo di latta che vorrebbe avere un cuore e infine un leone che vorrebbe essere coraggioso. I quattro compagni superano gli ostacoli lungo la strada e giungono al cospetto del mago di Oz, che promette loro di aiutarli ad esaudire ogni desiderio: prima, però, dovranno uccidere la strega malvagia dell’Ovest.

Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”

La strega invia i suoi aiutanti per sconfiggere Dorothy e i suoi compagni e, finalmente, le terrificanti scimmie alate riescono a rapire Dorothy e il leone e a portarli alla strega dell’Ovest come prigionieri, dopo aver fatto a pezzi lo spaventapasseri e il boscaiolo di latta. La strega, però, non può fare del male alla bambina perché è protetta dalla magia delle scarpette d’argento. Così, cerca di rubargliene una. Dorothy, infuriata per il furto della scarpetta, lancia alla strega dell’Ovest un secchio d’acqua che, inaspettatamente, uccide la strega sciogliendola.

Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”
Teatro Brancaccio, “Il Mago di Oz”

Dopo aver liberato il leone e ricostruito lo spaventapasseri e il boscaiolo, Dorothy torna alla città di Smeraldo; lì scopre che il mago di Oz non è un vero mago: si tratta solo di un vecchio ventriloquo arrivato a Oz dal Nebraska, durante una gita in mongolfiera. Il mago finge di donare un cervello, un cuore e il coraggio ai tre compagni di Dorothy (in realtà, ciascuno di loro aveva già le qualità che desiderava, senza saperlo) e propone a Dorothy di costruire una nuova mongolfiera e di tornare insieme negli Stati Uniti.

Tuttavia, a causa di un incidente, Dorothy rimane a terra e il mago parte da solo. La bambina non ha altra soluzione che andare alla ricerca della strega del Sud. Qui, scopre che le sue scarpette d’argento hanno il potere di portarla ovunque ella desideri; è sufficiente battere tre volte tra loro i tacchi delle scarpette. Nel finale, Dorothy, dopo aver salutato i suoi compagni, utilizza il potere delle scarpette e torna in Kansas, dove può riabbracciare i suoi zii.

Contemporary Circus & Musical

Regia di Maxim Romanov

Nel ruolo di Ellie – Anastasia Dyatlova:

la più giovane partecipante alla competition “Voice Children” e ” The Blue Bird “

Nel ruolo di Goodwin – Vladimir Dybskiy:

solista dei migliori musical moscoviti
La musica originale scritta e diretta dal giovane compositore Andrei Zubets

compagnia ROMANOV ARENA

distribuzione MG Distribuzione

musiche originali di Andrei Zubets

produzione Light Dance

Photo credits Courtesy of Press Office

Roma, al Teatro Lo Spazio torna in scena “Bambola-La storia di Nicola”

Torna in scena a Roma, dal 30 marzo al 2 aprile al Teatro Lo Spazio, “Bambola-La storia di Nicola”, spettacolo  musicale scritto da Paolo Vanacore, diretto e interpretato da Gianni De FeoNicola, in una dimensione che oscilla tra il reale e l’immaginario, racconta in prima persona la lunga strada della sua vita a partire dalla nascita sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso in una qualunque periferia romana. Fanno da sfondo a queste prime vicende le voci e le contestazioni delle femministe che rivendicano la libertà delle proprie scelte sessuali.

Roma, Teatro Lo Spazio, “Bambola-La storia di Nicola”
Roma, Teatro Lo Spazio, “Bambola-La storia di Nicola”

Rivede i genitori: una madre frustrata nella sua femminilità, vittima di un destino sempre avverso, e un padre protettivo e sensibile che riversa su di lui tutto il suo puro amore senza giudizio né aspettative, espressione di forza virile. Sono i primi specchi su cui l’adolescente Nicola vedrà riflettere la propria immagine. Ma ora Nicolaè un uomo e sceglie, ad occhi chiusi,di gestire i fili del destino perpercorrere una nuova strada attraverso un processo di conoscenzadella sua doppia identità. L’immagine riflessa nello specchio sitrasforma sdoppiandosi in “Bambola”.

Roma, Teatro Lo Spazio, “Bambola-La storia di Nicola”
Roma, Teatro Lo Spazio, “Bambola-La storia di Nicola”

“Bambola” sceglie la strada dellaprostituzione e veste abiti femminili iniziando  da quelli della madre comea volerla riscattare dalle frustrazionie a liberarla. La strada si arricchiscedi personaggi e allegria, mentre illinguaggio stesso del racconto sicolora di suoni sboccati, erotici, maanche sentimentali e poetici. La notteè buia e la luna di carta pare finta,come se tutto fosse immaginato suun set cinematografico. In unarapida carrellata appare Regina, l’amica prostituta, s’intravede Domitilla, la rivale pericolosa e Fabio il poliziotto. E poi lui, Giovanni, il “cliente” amato di unamore bello e corrisposto che vivenel quartiere stile americano con levillette allineate a schiera.

Il racconto diventa melodramma e sicolora di rosa prima ancora che lalove story si frantumi. Sopra a tutto,rimane impressa la figura del padrecollocato nel ricordo di un Natalelontano e sempre presente tra lelucine accese tutti i giorni dell’anno.

Nicola/Bambola in questo travestimento  fantasioso incarna l’espressione del maschile e del femminile. È il padre e la madre. Èl’uno ed è l’altra. Il dualismo che siricongiunge al Tutto. E intanto canta.Canta Il paradiso,

Ragazzo triste, Nel giardinodell’amore, Se perdo te. Canta leprime canzoni di Nicoletta Strambellialla quale il suo nome è statodedicato, perché quella diva rappresenta, nel mondo immaginario di una madre rinchiusa nella gabbia delle proprie delusioni, l’esaltazione della libertà. Una libertà in bianco enero. Fino a finale a sorpresa dove qualcosa di inaspettato sarà svelato. C’è un posto nella mente dove tutto è possibile, una sorta di universo parallelo, che sconfina nel mondo reale, uno spazio dell’anima dove le storie si confondono e i corpi finalmente si fondono in un lento incedere fino a diventare uno. È la strada di Nicola, di Bambola, e delle canzoni di Nicoletta.

Photo credits Courtesy of Press Office

“Nasi per l’arte”, il fiuto per la creatività in un’esposizione al Palazzo Merulana di Roma

Da sabato 25 marzo Palazzo Merulana, in sinergia con Fondazione Elena e Claudio Cerasi e CoopCulture, propone al pubblico la mostra “Nasi per l’arte” ideata e curata da Joanna De Vos e Melania Rossi. Fino al 21 maggio una selezione di oltre cinquanta opere metterà in connessione, in modo originale, ironico, e inaspettato, l’arte italiana e quella belga secondo un insolito fil rouge: il naso.

Nasi per l’arte non parla solo di “nasi come forme, o come olfatto”. Vuole, invece, stimolare una riflessione sul significato metaforico di questo organo, il primo a formarsi nel grembo materno, un carattere ereditario e identitario che rappresenta l’istinto primordiale ed è anche metafora dell’“avere naso” e di un modo immediato di avvicinarsi alle cose, “sentendole” prima ancora di vederle. Al naso fa capo uno dei nostri cinque sensi, quello più animale e istintivo, che determina in noi l’attrazione o la repulsione. Esiste una profonda relazione tra olfatto e memoria. L’olfatto innesca pensieri e – anche involontariamente – fa riaffiorare i ricordi. È il cosiddetto “effetto Proust”.

In anni di collaborazioni, le curatrici De Vos e Rossi, rispettivamente di origine belga e italiana, si sono impegnate ad analizzare come italiani e belgi sul piano estetico e concettuale condividano un “naso per l’arte”, di come gli artisti seguano il loro “fiuto” e di come lo facciano, per altri versi, anche gli appassionati collezionisti o gli stessi esperti nella curatela delle mostre.

Roma, Palazzo Merulana-“Nasi per l’arte”, credits web
Roma, Palazzo Merulana-“Nasi per l’arte”, credits Courtesy of Press Office

Nasi per l’arte trova le sue origini nell’incontro di due nasi curatoriali – spiegano entrambe – Noi curatori siamo a nostra volta creatori, ma creiamo mescolando fonti e voci, spesso inclusa la nostra. Cerchiamo connessioni che gli altri potrebbero non vedere immediatamente, abbracciamo l’insolito ed esploriamo l’inaspettato. Abbiamo così individuato somiglianze impensate e differenze specifiche, che vogliamo svelare in questo progetto. L’Italia e il Belgio sono Paesi diversi ma anche culturalmente simili: nell’approccio istintivo, nella capacità di ironizzare (prendere per il naso), di improvvisare (andare a naso) e nella totale disponibilità a mettersi in gioco”.

I due percorsi espositivi

In primo luogo la mostra propone un dialogo tra l’arte italiana e quella belga dell’inizio del XX secolo attraverso la connessione tra la Collezione Cerasi, presente in modo permanente a Palazzo Merulana, in particolare con opere pittoriche e scultoree dagli anni Venti agli anni Quaranta, e una selezione di opere belghe dello stesso periodo, prestate da collezionisti privati belgi e da alcune Istituzioni. Artisti quali René Magritte, Léon Spilliaert, Paul Joostens, Constant Permeke dialogheranno con Giorgio De Chirico, Francesco Trombadori, Antonio Donghi, Antonietta Raphael.

Roma, Palazzo Merulana- “Nasi per l’arte”, credits web
Roma, Palazzo Merulana- “Nasi per l’arte”, credits Courtesy of Press Office

Il progetto espositivo è in armonia con la collezione creata da Elena e Claudio Cerasi. Frutto di anni di passione e amore per l’arte, la loro raccolta non rispetta regole ferree: a volte riscopre artisti del passato meno noti, a volte espone opere rare di artisti celebri in dialogo con quelle di autori contemporanei. Un percorso non lineare, in cui l’istinto e il “fiuto” sono state la forza propulsiva, e con cui il progetto “Nasi per l’arte” si sente in perfetta sintonia.

Il secondo percorso all’interno della mostra coinvolge nove artisti contemporanei belgi e altrettanti italiani le cui opere celebrano, sfidano e invitano alla riflessione sul naso, i sensi e l’arte. Da “Autoritratto olfattivo” di Peter De Cupere (uno dei suoi celebri dipinti “graffia e annusa, all’autoritratto di Maurizio Cattelan, che nella sua “Autobiografia non autorizzata”, scrive: “Quando sono nato erano molto delusi. Avevo un naso da adulto. E ancora disegni, quadri, sculture, installazioni, cinema rianimato, opere video, fotografie, che fanno rivivere la tradizione e la mitologia o indagano sulla condizione umana… spargendo le loro “essenze” nelle sale del prezioso Palazzo Merulana.

Gli artisti in mostra:

Artisti contemporanei:

Francis Alÿs, Francesco Arena, Michaël Borremans, Maurizio Cattelan, Michael Dans, Laura de Coninck, Peter de Cupere, Jan Fabre, Mariana Ferratto, Thomas Lerooy, Emiliano Maggi, Sofie Muller, Luigi Ontani, Daniele Puppi, Anna Raimondo, Marta Roberti, Yves Velter, Serena Vestrucci.

Prestiti opere di artisti belgi di inizio Novecento:

Jos Albert, Pierre-Louis Flouquet, Robert Giron, Oscar Jespers, Paul Joostens, René Magritte, George Minne, Constant Permeke, Léon Spilliaert, Marcel Stobbaerts, Henri Van Straten, Fernand Wery.

In dialogo con artisti della collezione permanente: Giacomo Balla, Duilio Cambellotti, Felice Casorati, Giorgio De Chirico, Antonio Donghi, Ercole Drei, Guglielmo Janni, Leoncillo Leonardi, Antonietta Raphael, Francesco Trombadori, Alberto Ziveri.

La mostra è accompagnata da un catalogo, pubblicato da Bruno Devos at Stockmans Art Books con testi di Joanna De Vos e Melania Rossi, Giacinto di Pietrantonio e Caro Verbeek.

Julia Breiderhoff, in mostra le sue “Evasioni” pittoriche ai Musei di San Salvatore in Lauro della Capitale

Evasioni” è il titolo della mostra di Julia Breiderhoff, a cura di Marco Di Capua, che si terrà dal 28 marzo al 7 maggio nella “Galleria Umberto Mastroianni” dei Musei di San Salvatore in Lauro a Roma. L’ingresso è gratuito (orari d’apertura: martedì – sabato: ore 10.00 – 13.00; 16.00 – 19.00; domenica e lunedì chiuso).

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

Il vernissage si terrà martedì 28 marzo alle ore 19.00 nei Musei di San Salvatore in Lauro (piazza San Salvatore in Lauro, n. 15). Interverrà, oltre all’artista e al curatore, Lorenzo Zichichi, presidente della casa editrice “Il Cigno GG Edizioni” che realizza anche il catalogo.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

Julia Breiderhoff nasce in Germania, a Solingen, il 3 marzo 1971. Figlia di un architetto, cresce in un ambiente familiare stimolante e votato alle arti; già in tenera età si fa strada in lei una profonda passione per il disegno, la pittura e la storia dell’arte. Nel 1992 decide di trasferirsi in Italia per studiare recitazione, ma si laurea in Fisica all’Università di Roma Tre e successivamente comincia a studiare ed esercitare trattamenti legati al benessere fisico e cognitivo della persona. La relazionalità è il denominatore comune che lega queste esperienze, che si presentano come indizio rispetto alla curiosità nutrita nei confronti del mondo e che contraddistinguerà poi la sua arte. Dal 2006 Julia si dedica alla pittura avendo maturato il desiderio di comunicare col mondo attraverso i colori e le sue visioni, spesso appunto “evasioni”.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

“Eccole qui, ritrovo adesso, davanti a me, le spiagge e le bagnanti –  scrive nel catalogo Marco Di Capua – , come fossero di estati lontane, flash riaffiorati da un bel Novecento europeo fatto di storie e album di famiglia e di letture e di quadri amati: lo so che questa è la pittura nell’attimo di affacciarsi sul mondo, e lo guarda, e lo ricorda con un misto di felicità e di languore, rendendolo tuttavia sempre fisicamente e mentalmente presente, molto più di qualsiasi fotografia, per dire, dove la vita, per quanto sia rappresentata con esattezza in ogni sua parte e dettaglio, appare ogni volta com’era, dunque già tramortita”.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

Tra i quadri in mostra, tutti in olio su tela, ci sono una serie di opere dedicate al mare e ai bagnanti come “Zattera” (2023, cm 100×150), “In estate al mare” (2022, cm 250×100), “Le bagnanti” (2019, cm 150×100), “Sperlonga” (2020, cm 80×60), “Message in a bottle” (2023, cm 150×100), “La sirenetta” (2019, cm 70×90); ci sono poi una serie di ritratti di dive del cinema, personaggi di spicco del passato, come “Anna” (2023, cm 150×100), “Blondie”  (2023, cm 150×100”, “Fanny Ardant”(2023, cm 150×100), “I have a dream” (2023, cm 150×100), “L’angelo azzurro” (2023, cm 150×100), “La divina” (2023, cm 150×100), “Romy Schneider”(2023, cm 150×100), “Lady D.” (2023, cm 150×100), “Mata Hari” (2023, cm 150×100), “Sognando il glamour” (2023, cm 250×150), “Matrimonio e-steso”  (2022, cm 250×150), “Julia autoritratto”(2019, cm 70×50), “Renaissance – la rinascita”(2023, cm 250×150); una sezione di opere, presentate solo sul catalogo, sono dedicate alle “Straordinarie quotidianità” come “Everyday Everywhere Everybody”  (2020, cm 100×70), “Lock-out” (2020, cm 80×60), “Senza pensieri” (2020, cm 90×70), “Chi non beve in compagnia…” (2021, cm 107 x 77), e “Pupo” (2022,  cm 50×70”.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

«Il mare – racconta Julia Breiderhoffrappresenta la gioia e la libertà, a cominciare dall’infanzia, evasione dalla routine quotidiana. La stanza con lo stendino, strumento banale e allo stesso tempo così personale, elevato a simbolo del peso casalingo da cui evadere. La ragazza che vuole evadere per diventare giovane donna e fuggire attraverso il sogno. Le dive che evadono dalla loro origine verso la divinità. Martin Luther King che sogna l’evasione dalla schiavitù perenne davanti ad una bandiera trasparente che fonde tutti i colori. La ragazza a casa, protetta da un muro che abbatte per evadere da tutte le cose ovvie. Nei miei quadri ho cercato di fermare nell’istante il bello dell’eterno evadere da ciò che ci condiziona per divenire noi stessi sempre di più».

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

«I quadri di Julia Breiderhoff – conclude Marco Di Capua -, ci forniscono il pretesto di riconsiderare la pittura anche come fonte di narrazioni, di racconti personali e collettivi. Scorrere accanto alla vita, appuntandola, come in un diario: è il modo in cui l’arte rende l’esistenza non dico spiegabile, ma almeno sopportabile. Altrimenti come interpretare un lavoro come Reinassance  così disseminato di indizi e simboli, quasi a comporre un rebus autobiografico, un enigma da percorrere con lo sguardo e, possibilmente, da risolvere, con la figura allo specchio, lo squarcio circolare nel Muro – lo scrivo in maiuscolo, ricordando che Julia è tedesca – il quadro nel quadro, un bellissimo leopardo e i tristi strumenti di un lavoro casalingo, quotidiano, in un mix di frustrazione e di aspirazione ad evadere da quella stanza.

Julia Breiderhoff, “Evasioni”
Julia Breiderhoff, “Evasioni”

Stanza che pure – ha detto Virginia Woolf una volta per tutte – era finalmente tutta per sé. In questa prospettiva è chiaro che i ritratti delle Divine con le loro bandiere nazionali di riferimento, con quell’atteggiamento così fragile e inerme con cui si sporgono nuovamente verso di noi, esibendo in qualche modo il loro personalissimo racconto, il loro – non so dirlo meglio – destino, queste immagini, dicevo, non possiedono nulla di celebrativo: niente pop ed euforici derivati con data di consumazione scaduta, per esser chiari. Dunque, che film stiamo vedendo? Stretti, nel loro momentaneo, piccolo proscenio, tra l’apparire e il dissolversi – come mostrando perfino il tono di superficie di quei manifesti cinematografici che piano piano si stingevano e si sciupavano ai muri di una strada, una volta – credo che anche i celeberrimi personaggi ritratti da Julia ambiscano a una qualche liberazione dalla storia che li ha imprigionati. Queste figure raccontano, in un solo istante, se stesse. Julia sgualcisce poeticamente la loro capacità di seduzione e di glamour, e benché le presenti come simboli nazionali, qualcosa che lei mette in azione – forse lo stesso gesto del dipingere – riporta quelle immagini emblematiche a una condizione semplicemente umana. Con alcune, poi, ciò risulta inevitabile. Dico le mie preferite? Sono prevedibile: Romy, Anna…».

Photo credits Courtesy of Press Office

“Ascension”, in mostra a Roma il viaggio interiore del fotografo britannico Matthew Smith

Dal 13 aprile al 5 maggio, la AOC F58-Galleria Bruno Lisi di Roma promuove la prima mostra italiana dedicata alla recente serie “Ascension” realizzata dal fotografo e scrittore britannico Matthew Smith, curata da Camilla Boemio e sostenuta dall’Arts Council England.

Matthew Smith, “Ascension”
Matthew Smith, “Ascension”

La serie è un viaggio interiore dell’autore, iniziato durante la pandemia. Le foto sono strutturate in una narrazione romanzesca, in relazione con la città e la natura, interagendo con i sogni e l’immaginazione, espandendola con il mondo che ci circonda e creando un contesto trasognato ed onirico. Il timbro è fortemente esistenziale, marca lo stato d’animo armonioso e di grazia nel quale Smith ha percorso un flusso nel quale raccontare una storia. Il lavoro del regista Andrei Tarkovsky ha avuto una grande influenza sul suo linguaggio, se ne possono ritrovare le tracce anche in questo corpo di lavoro.

Matthew Smith, “Ascension”
Matthew Smith, “Ascension”

“Ascension” si compone di fotografie scattate a Londra, Venezia e Tokyo, che esplorano un territorio nascosto della mente e del cuore, attraversando il mondo esterno composto da un paesaggio urbano ibrido. Sono state scattate durante un periodo di profonda instabilità nella vita nell’autore, soprattutto per la morte della sua prima moglie, e riflettono un viaggio interiore che l’artista aveva bisogno di completare, attraverso la paura e il dolore, per riprendere il coraggio e ritrovare la lucidità mentale.

Matthew Smith, “Ascension”
Matthew Smith, “Ascension”

La serie unisce la fotografia di strada, quella di paesaggio e quella astratta, per costruire un mondo integrato in cui la realtà è aperta a nuove chiavi di lettura; Ascension si muove attraverso la luce e l’oscurità, la vita e la morte, per “rendere visibile l’oscurità”.

Matthew Smith, “Ascension”
Matthew Smith, “Ascension”

Secondo Boemio: «Le immagini di questa narrazione sono una costellazione sorprendente della vita che si fonde con il personale e il collettivo, unisce il trascendente alla scoperta del paesaggio. Di fondo l’intensità emotiva dialoga con una profonda spiritualità, in questo stato il sublime si diffonde nei particolari, nella scoperta della luce, nell’incedere delle ombre e nell’apparire della luna nell’acqua. Uno slancio che ci regala la percezione della vita composto da un poetico vocabolario visivo. La vita ancora, e ancora, che si svela nei dettagli, regalando stati visivi complessi e intercalati le cui svolte inaspettate aprono mondi inesplorati».

Il progetto fotografico ha ricevuto la menzione d’onore ai Lucie International Photo Awards 2020, nella categoria professionale Analogico/Film: Fine Art, nonché le menzioni d’onore al Tokyo International Photo Awards 2022 e al Moscow International Photo Awards 2021.

Matthew Smith, “Ascension”
Matthew Smith, “Ascension”

Inoltre, il photobook di Ascension verrà pubblicato nella primavera di questo anno da Red Turtle Photobook, e includerà il testo completo in prosa-poesia, che Smith ha scritto per accompagnare le quarantasei immagini che compongono la serie fotografica.

About Matthew Smith 
Matthew
Smith è un fotografo e uno scrittore che vive aLondra, nel Regno Unito. La sua prima serie fotografica, Chora, è stata esposta da Hagi Art, a Tokyo, nel gennaio-febbraio 2020, e al Landabout, sempre a Tokyo l’anno successivo. Ha esposto Chora anche all’Arte Spazio Tempo di Venezia, nell’aprile 2021.Il suo primo romanzo è The Waking (pubblicato da Wundor Editions, nel 2017). La sua prima raccolta di poesie è Sea of the Edge(pubblicata da Wundor Editions, nel 2018). Le sue poesie sono state pubblicate su riviste e periodici tra cui: The London Magazine, Acumen, Envoi, Poetry SalzburgReview e Orbis. È stato il vincitore del London Magazine Poetry Prize, nel 2018. Ha vinto anche l’Orbis Readers‘Award nel marzo 2019.

Photo credits Courtesy of Press Office

Vipra, il cantautore dedica il nuovo singolo “Guardami!-Mango” all’artista lucano

Dopo la pubblicazione di “Musica da Morto-Martini”, dedicato alla grande voce di Mia Martini, esce il 24 marzo “GuardamI! – Mango”, (Asian Fake/Sony Music), il nuovo singolo di Vipra che omaggia l’indimenticato  Pino Mango. Autore, membro del collettivo Sxrrxwland, l’artista è capace di oscillare tra atmosfere malinconiche e brani urlati e potenti, sulle orme della nuova scena post-punk internazionale, dagli Idles ai Turnstile.
Il videoclip ufficiale di “Guardami! – Mango” sarà presentato in anteprima a Roma, all’interno del panel in programma, il 21 marzo presso la Galleria delle Arti (Via dei Sabelli 2 – ore 19:00), volto a riflettere sul ruolo della donna all’interno della discografia italiana. Al dibattito, introdotto da Vipra, saranno presenti, quattro donne, affermate professioniste nel campo musicale: Eleonora Rubini (Head of Marketing Columbia), Beba (Artista), Rossella Essence (Dj e producer) e Diletta Bellotti (Autrice e attivista). Il panel vuole aprire un confronto tra gli addetti ai lavori e il pubblico sul ruolo della donna nel mondo della musica e verranno analizzate le iniziative più efficaci per smuovere la situazione e cosa si può fare di più per limare ulteriormente il gender gap. Il dibattito si lega a quello che sarà il concept del videoclip di Vipra, che rappresenterà proprio una metafora dell’impatto di una nuova generazione e di nuove correnti di pensiero che chiedono un riscatto della donna nella società e nella musica. Andando contro i tradizionalismi e le chiusure di una società ancora troppo machista, Vipra con questo nuovo video denuncia i fenomeni di genere tossici e osserva quanto ancora oggi le donne si sentano messe di fronte a determinate situazioni di squilibrio.
Nella foto il cantautore Vipra, credits Courtesy of Press Office
Nella foto il cantautore Vipra, credits Courtesy of Press Office
Come il precedente singolo, dedicato a Mia Martini, anche questo brano omaggia un cantautore italiano scomparso. “Guardami!” è la traccia associata a Mango, innovatore geniale e sensibile, al quale Vipra contrappone la figura di un immaginario cantante contemporaneo, cinico e affamato di successo. Indossando questa maschera, Vipra ironizza sulla costante necessità di apparire che ossessiona gli artisti del mainstream.
«Immaginando un cantante disposto a tutto per entrare al party giusto o farsi notare dai fan, prendo in giro tutti quegli artisti, specie gli uomini e in cui ironicamente includo anche me stesso, che cercano di monopolizzare l’attenzione su di sé finendo per alimentare un sistema che riduce la partecipazione femminile e bada molto più alla forma che alla sostanza – racconta Vipra – Il ritornello, in cui abbandono la maschera della star in piena crisi di nervi, è liberatorio: anche con tutti i gioielli e i soldi del mondo, una situazione del genere merita solo una risposta, un sonoro “Fuck!”».
Vipra porterà le sue sonorità presto sul palco e la prima data confermata è l’apertura dell’unica data italiana della band post-punk svedese Viagra Boys, in programma il 20 agosto al Rock Beach Festival di Bellaria Igea Marina (RN). Le prevendite per la data sono acquistabili su Ticketone e DICE.fm.
Dopo il debutto con “Simpatico, Solare, In Cerca di Amicizie” che aveva visto un gran numero di collaborazioni con artisti e produttori, dagli Psicologi, Fulminacci a Margherita Vicario e Frenetik e Orang3, Giovanni Vipra scrive canzoni da quando ha memoria e infatti a oggi risulta disoccupato. Membro fondatore del collettivo Sxrrxwland ha realizzato gli EP “Buone maniere per giovani predatori” e “OSSO”, considerati classici della scena underground, quindi non remunerativi. Ha lavorato come autore per artisti di livello nazionale e pubblicato un album solista nel 2021 per Asian Fake e Sony Music, “Simpatico, solare, in cerca di amicizie”. Tutto il suo percorso l’ha naturalmente portato a odiare il mercato musicale e i suoi addetti ai lavori, e per estensione la struttura capitalista e il genere umano, stupidamente in marcia verso l’auto-annientamento. Nel corso degli anni, Vipra è stato headliner dell’edizione 2021 del Mi Ami Festival e dello Spring Attitude Genera Festival. Ha suonato al Pinewood Festival e in tutti i maggiori festival e club italiani sia con Vipra che con i Sxrrxwland.

“No-Space”, a Roma con Contemporary Cluster in mostra le illusioni ottiche e le astrazioni sottili di Tycjan Knut

Tycjan Knut crea astrazioni sottili. Utilizza forme semplici, tavolozze di colori monocromatici e illusioni ottiche per ottenere un senso di profondo minimalismo; un’astrazione quasi totale che spinge lo spettatore a vivere i suoi dipinti in un modo spirituale e senza tempo.

Attraverso l’utilizzo di illusioni ottiche, Knut esplora gli aspetti psicologici della pittura, evocando risposte emotive e riflessioni più profonde da parte dello spettatore. Dal 23 marzo sarà in mostra al Palazzo Brancaccio di Roma con “NO-SPACE”, progetto espositivo targato Contemporary Cluster con il padrone di casa Giacomo Guidi. Grazie alle delicate differenze tonali e all’adozione di colori neutri, le sue opere creano effetti ottici, illusioni che ricordando le precise e sottili delineazioni dei piani e dei volumi architettonici di Fred Sandback. Le sue composizioni richiedono tempo e pensiero; nella piena tradizione minimalista le opere dell’artista polacco non vanno viste a colpo d’occhio, potrebbero non trasmettere tutto quello che esprimono ad un esame più attento. I dipinti di Knut si svolgono lentamente, con più punti di ancoraggio che guidano l’occhio dello spettatore attraverso il dipinto creando un senso di equilibrio.

Knut costruisce sulla tela strati di colore sovrapposti che ricordano la struttura del mondo organico, crea immagini che inducono l’occhio a percepire nuove profondità in oggetti già altamente strutturali. Senza usare schizzi o disegni preparatori, la pratica di Knut è reattiva, istintiva. L’artista segue attentamente la strutturazione della composizione, esaminando la funzione di ogni elemento in relazione alla pittura nel suo complesso, l’utilizzo di forme geometriche semplici come il quadrato e il rettangolo, figure alle base dell’arte fin dai suoi primordi, rendono Knut un classicista, secondo la definizione di classicismo di Barbara Rose. Le strutture elementari sviluppate su superfici bidimensionali sono composte da materiali semplici che danno modo di scoprire più in profondità il colore, la forma, lo spazio e la materia stessa.

“No-Space”, Tycjan Knut_Contemporary Cluster, Roma_credits Courtesy of Press Office
“No-Space”, Tycjan Knut_Contemporary Cluster, Roma_credits Courtesy of Press Office

La tavolozza di colori limitata e le forme geometriche semplici rendono queste opere oggettivamente minimali, per l’artista questa ricerca intrinseca di minimalismo comporta introspezione e contemplazione. L’uso dell’illusione ottica, attraverso la manipolazione di forme, linee e motivi aggiunge un aspetto dinamico e ammaliante all’opera d’arte.

NO-SPACE” rappresenta una riflessione su questi termini, una ricerca artistica che perdura nel tempo e che vada a illustrare lo stile di Tycjan Knut: uso di forme minimali, toni della terra, imitazione di trame, trame reali e illusioni ottiche che unite assieme esprimono l’idea del tempo assoluto, il non-tempo.

L’estetica “NO-SPACE” si riferisce ad un ciclo di opere che gioca con l’idea di vuoto e spazio negativo che circonda l’opera stessa. Ciò può essere ottenuto attraverso l’adozione di linee e forme pulite, nonché il posizionamento strategico dello spazio negativo per creare un senso di equilibrio e armonia nella composizione. L’artista durante il processo creativo è completamente guidato dall’intuizione non lasciando spazio a schemi mentali precostituiti; la sua arte è libera e incontaminata, non adotta disegni preparatori ma lascia l’immaginazione libera di esprimersi.
Le opere di Knut si ispirano all’arte astratta geometrica del Novecento con un profondo interesse accademico verso ‘maestri’ astratti meno conosciuti degli anni Sessanta e Settanta di cui lui è grande conoscitore; nel suo lavoro, profondi sono i riferimenti ai grandi autori del minimalismo astratto, da Ellsworth Kelly ad Al Held fino al più contemporaneo Sol Lewitt.

La sua è una ricerca dello spazio puro, il no-space, ottenuto grazie a continuo studio della rifrangenza della luce sulla superficie dell’opera che diviene la vera protagonista del quadro; insieme forma e materia creano un sinodo restituendo al contempo importanza all’oggettualità e alla fisicità dell’opera. Egli spinge i confini dell’illusione incorporando nuovi elementi presi dalla realtà, gioca con la luce e le ombre per modificare i gradienti di luce all’interno dei dipinti, creando un’illusione di profondità e multistrato. Il suo lavoro risuona dell’eco della tradizione minimalista americana ma si estende oltre la tendenza dell’astrazione geometrica, le sue opere sono liberate dai vincoli della formula indispensabile per il raggiungimento del non spazio.

La mostra sarà visitabile a Palazzo Brancaccio, in via Merulana a Roma  fino a sabato 22 aprile 2023, dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 19.00, il sabato dalle 11.00 alle 20.00.

Teatro Sala Umberto, in scena a Roma “Il Giardino dei ciliegi” di Cechov

Dal 21 marzo al 2 aprile, al Teatro Sala Umberto di Roma, andrà in scena  “Il Giardino dei Ciliegi”. È l’ultimo lavoro di un Anton Cechov malato e vicino alla morte; eppure, mai così attaccato alla vita, intesa come respiro, anima del mondo e speranza nel futuro.

Nella sua ultima commedia – perché così egli la definì e la intese – egli esprime ancora più lucidamente la sua riflessione sulla goffa incapacità di vivere degli esseri umani. Il loro trabismoesistenziale sulla propria anima.

Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”
Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”

Ljuba e suo fratello Gaev, un tempo lieti, da bambini, tornano nell’età matura nel luogo simbolo della loro felicità appassita. La stanza chiamata ancora “dei bambini”. Da cui si intravede il loro giardino dei ciliegi, un tempo motivo di vanto e orgoglio in tutto il distretto.

Ora però i tempi sono cambiati. I ciliegi non producono più frutti commerciabili, sono solo l’ombra di un passato che non tornerà più. Così le speranze, la gioia, l’amore, tutto ciò che era legato simbolicamente al giardino è andato perduto. Il declino economico accende brutalmente il declino della loro esistenza a cui non sanno (o non vogliono) porre rimedio.

Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”
Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”

Ljuba, donna di forti sentimenti e capace di amore, ormai ha perduto il marito e l’ultimo amante. Da anni è segnata dalla perdita del suo amato figlio piccolo. Eppure, sopraffatta dai debiti, non si rassegna ad abbandonare il sogno: la nostalgia del suo luminoso passato dove risiede illusoriamente la sua armonia. Bimba illusa nel corpo di una donna matura. Che piange e ride allo stesso tempo.

Così il fratello Gaev, adulto mai cresciuto da una condizione puerile fatta di giochi e lazzi spenti. Chiamato per una volta alla sua responsabilità di uomo di casa nella vendita all’asta del giardino, non riesce a combinare nulla. Debole e ingenuo. Struggente nel Lopachin, invece, nuovo arricchito, figlio del contadino, riuscirà a imporre la propria persona non solo con l’abilità degli affari, ma soprattutto con la lucidità inesorabile di chi è consapevole del proprio ruolo.

Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”
Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”

Garbato ma ambizioso, è il contraltare perfetto dei due proprietari. Rampante e pragmatico. Vincente. Eppure, al contrario di Ljuba e Gaev, totalmente incapace di amare, di gestire la propria sensibilità. Tutt’altro che arido, ma ancora peggio: inabile ai sentimenti.

Resta eppure una ultima speranza. I giovani che popolano la storia sapranno forse riscattare le incrostazioni dell’anima di chi li ha preceduti. Varja, figlia maggiore di Ljuba, fioca luce di armonia in una casa prossima al buio, delusa dall’insipienza amorosa di Lopachin, andrà a rifarsi una vita altrove. Anja, la piccola di casa, dolce ragazza in fiore, seguirà Trofimov, eterno studente scombinato, ma insieme potranno guardare al futuro!

Il barlume di salvezza risiede nel finale, nei due ragazzi che si amano e che vedono nella distruzione del giardino venduto, non la fine, non la deriva, ma l’inizio di una nuova vita.

Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”
Roma, Sala Umberto, “Il Giardino dei Ciliegi”

Nella riduzione della commedia si eliminano i personaggi minori portando la compagnia ai sei elementi principali: LJUBOV’ ANDREEVNA RANEVSKAJA, proprietaria terriera; ANJA, sua figlia, diciassette anni; VARJA, sua figlia adottiva, ventiquattro anni; LEONID ANDREEVIC GAEV, fratello della Ranevskaja, ERMOLAJ ALEKSEEVIC LOPACHIN, mercante; PETR SERGEEVIC TROFIMOV, studente.

I dialoghi saranno rispettosi del testo originale, rispettando le sfumature poetiche dell’autore, ma tradotti in modo efficace e contemporaneo  suo fallimento definitivo. Un grande spazio chiaro, con una forte presenza illuminotecnica contemporanea, con pochi elementi scenici richiamanti la “stanza dei bambini”, oggetti volutamente sproporzionati rispetto alla statura dei personaggi, come se fossero ancora piccoli rispetto all’ambiente, mai cresciuti: un tavolo colorato, una sediolina dell’infanzia, una grande bambola…

E soprattutto: il grande armadio centrale sullo sfondo a cui Gaev, come da testo, canta le lodi come a un monumento. Testimone del tempo felice che fu. Imponente e simbolico come un dolmen sbiadito. Sempre chiuso per tutto il tempo dell’azione scenica. Lo aprirà solo sul finale Lopachin, nuovo proprietario, con le chiavi che gli avrà lanciato Varja, scontrosa e ribelle. All’apertura l’armadio vomiterà il suo contenuto che travolgerà il nuovo proprietario.

Una produzione Viola Produzioni – TieffeTeatro Milano – Teatro Stabile di Genova

Sul palco

MILVA MARIGLIANO | DALILAS REAS | ELEONORA GIOVANARDI
TANO MONGELLI | ROSARIO LISMA | GIOVANNI FRANZONI
e con la partecipazione in voce di ROBERTO HERLIZTKA

Scene Dario Gessati | costumi Valeria Donata Bettella | luci Luigi Biondi
regia di ROSARIO  LISMA

Photo credits Courtesy of Press Office 

“Premio Scenario”, allo Spazio Diamante di Roma la prima tappa di selezione del concorso dedicato ai nuovi linguaggi per la ricerca e l’inclusione sociale

Si svolge a Roma ,allo Spazio Diamante nei giorni 14, 15 e 16 marzo la prima Tappa di Selezione del “Premio Scenario 2023” dedicato ai nuovi linguaggi per la ricerca e l’inclusione sociale promosso dall’Associazione Scenario con il contributo di MiC-Ministero della Cultura.

La Tappa di Selezione, aperta al pubblico con ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili, si svolgerà nelle giornate di martedì 14 marzo (ore 14.00-19.00), mercoledì 15 marzo (ore 9.00-18.20) e giovedì 16 marzo (ore 9.00-12.20) in cui saranno presentati i ventidue corti teatrali in concorso per accedere alla Finale del Premio Scenario che si svolgerà a Bologna, dall’1 al 4 settembre, nell’ambito di Scenario Festival.

I 43 progetti complessivi, suddivisi nelle due tappe di selezione (la seconda sarà a Piacenza, Teatro Filodrammatici, 3-4-5 aprile) saranno valutati da un Osservatorio critico che, composto dai Soci di Scenario rappresentanti delle otto Commissioni, selezionerà i partecipanti alla Finale del Premio al termine della quale la Giuria assegnerà un premio di 8.000 euro ai vincitori di ciascuna delle sezioni Scenario e Scenario Periferie, come sostegno produttivo ai fini del completamento dello spettacolo.

“Premio Scenario 2023”, credits Courtesy of Press Office
“Premio Scenario 2023”, credits Courtesy of Press Office

I progetti presentati a Roma – studi scenici originali della durata di venti minuti proposti da giovani al di sotto dei trentacinque anni – provengono da Sardegna, Lazio, Sicilia, Campania, Liguria, Umbria. Tra questi 17 sono i candidati al Premio Scenario, 5 al Premio Scenario Periferie.

Promosso e sostenuto dai 40 soci dell’Associazione Scenario, il Premio si rivolge ad artisti al di sotto dei 35 anni, con lo scopo di incentivare nuove idee, progetti e visioni di teatro per la ricerca e l’inclusione sociale. Il Premio Scenario e il Premio Scenario Periferie, rivolto a progetti teatrali incentrati su tematiche inerenti l’interculturalità, la marginalità e l’inclusione sociale, si presentano strettamente interconnessi, condividendo le medesime fasi di selezione e valutazione, per confluire entrambi nella Generazione Scenario 2023. Occasione unica di censimento, dialogo e confronto per le giovani generazioni, il Premio Scenario, nel suo essere osservatorio del nuovo teatro, lavora nel territorio che precede la formalizzazione della ricerca: accoglie progetti che non sono ancora diventati spettacolo, ma appartengono a necessità e linguaggi in via di esplorazione. Vocazione prima di Scenario è documentare e comprendere, selezionare e premiare, le diverse modalità di avvicinamento al teatro da parte dei giovani artisti. La Tappa di selezione è aperta al pubblico. Ingresso libero fino a esaurimento posti.

L’Associazione Scenario è formata dai soci:

Albenga Kronoteatro; Alessandria Teatrodistinto; Ancona AMAT; Bari Teatri di Bari; Bassano del Grappa Operaestate Festival Veneto; Bergamo Il Teatro Prova; Bologna Agorà/Associazione Liberty, La Soffitta, Teatri di Vita; Cagliari Cada Die Teatro, Sardegna Teatro; Cascina Città del Teatro; Empoli Giallo Mare Minimal Teatro; Faenza Teatro Due Mondi; Forlì Accademia Perduta/Romagna Teatri; Genova Teatro della Tosse; Milano ATIR Teatro Ringhiera, Campo Teatrale, Manifatture Teatrali Milanesi, Teatro del Buratto; Modena Artisti Drama, TIR Danza; Napoli Teatro Bellini; Parma Micro Macro, Solares Fondazione delle Arti; Pergine Valsugana Pergine Spettacolo Aperto; Perugia Fontemaggiore; Pescara Florian Metateatro; Piacenza Teatro Gioco Vita; Ravenna Ravenna Teatro; Roma Area 06, Cranpi, Sala Umberto; San Lazzaro di Savena Teatro dell’Argine; San MiniatoTeatrino dei Fondi; Torino Fondazione TRG; Udine CSS; Valsamoggia Teatro delle Ariette; Verona Babilonia Teatri; Vicenza La Piccionaia.

“Le ferite del vento”, alla Sala Umberto di Roma arriva la pièce teatrale con Cochi Ponzoni

Dal 16 al 19 marzo, arriva alla “Sala Umberto” di Roma “Le ferite del vento di Juan Carlos Rubio. In scena Cochi Ponzoni e Matteo Taranto diretti da Alessio Pizzech.  

Il giovane Davide alla morte del padre Raffaele si ritrova a dover sistemare le sue cose. Nel perfetto ordine degli oggetti lasciati dal genitore, uno scrigno chiuso ermeticamente attira la sua attenzione. Dopo aver forzato la serratura, per la quale sembra non esistere nessuna chiave, al suo interno scopre una fitta corrispondenza ingiallita dal tempo. La lettura di quei fogli, ricevuti e gelosamente conservati, lo porta a conoscenza di un segreto che mai avrebbe potuto immaginare: il padre aveva una relazione con Giovanni, il misterioso mittente di quelle lettere appassionate.

Chi è questo sconosciuto che improvvisamente emerge dalle ombre della memoria? Dopo un primo momento di sconcerto Davide decide di affrontarlo.

Sala Umberto, “Le ferite del vento”
Sala Umberto, “Le ferite del vento”

Nel corso di tre intensi confronti che generano un flusso di parole di una potenza deflagrante si fronteggiano Giovanni, ironico e divertente, capace di strappare un sorriso anche di fronte al dolore della perdita, e Davide, irruento e orgoglioso, che ci rende partecipi della sua legittima smania di sapere. Ne scaturisce un acceso duello teatrale dal quale emergono i tratti di un uomo che Davide stenta sempre più a riconoscere come suo padre.

Carlos Rubio ci introduce nel labirinto del legame profondo, misterioso, senza limiti di spazio e tempo, che si è instaurato da anni tra Giovanni e Raffaele, all’insaputa della famiglia di quest’ultimo. Giovanni diventa per Davide compagno di lutto, amico, confidente; assume tutte le sembianze che il giovane istintivamente gli riconosce. La storia presente e passata, man mano che procede, si fa più appassionante, ogni battuta svela nuovi elementi che sorprendono e commuovono, costringendo lo spettatore a indossare ora i panni di Giovanni ora quelli di Davide.

Al centro domina la presenza-assenza di Raffaele, che non corrisponde a nessuna delle immagini di uomo e padre che egli ha dato di sé in vita. Ma quando finalmente le cose sembrerebbero ritrovare un loro senso, le lettere che hanno tenuto le fila di questa relazione tornano ad essere le vere protagoniste del racconto nel momento in cui Giovanni mostra a Davide le risposte che Raffaele gli inviava…

Sala Umberto, l’attore Cochi Ponzoni ne “Le ferite del vento”
Sala Umberto, l’attore Cochi Ponzoni ne “Le ferite del vento”

Lo spettacolo 

Un racconto intenso, fatto di emozioni che narrano la bellezza e lo stupore di quando, fuggendo dagli stereotipi, viene rimesso in gioco il significato delle parole padre e figlio.  Preziosi oggetti di scena, sospesi nel buio e illuminati da tagli di luce, disegnano lo spazio dove viene raccontata la storia di due uomini che, attraverso un serrato dialogo tra loro, con se stessi e con il pubblico, svelano quanto illusoria sia la convinzione di conoscere le persone care, quanto in realtà si sia estranei al loro universo interiore e quanto sia necessario sospendere il giudizio quando si parla di “amore”.

I due protagonisti, nel corso dello spettacolo, si muovono da un punto all’altro della scena avvolti da un’atmosfera di luci e sonorità che si colorano di volta in volta delle suggestioni di un parco o dei rumori di un interno, portando con loro un racconto di vita nel quale è l’umanità dei personaggi a pervadere quella degli interpreti.  “Le Ferite del vento” riporta in superficie temi archetipici e ce li restituisce con un linguaggio vicino alla quotidianità,ma capace di svelare la poesia delle piccole cose, quella in cui ogni gesto e ogni sguardo rivela una melodia dell’anima che affascina e riconsegna intatta allo spettatore l’originaria forza del teatro.

Photo credits Courtesy of Press Office

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