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AMI Paris, la nuova campagna estiva è un ritorno alle radici con la top model Kristen McMenamy

Un immaginario potente che segna un ritorno alle tradizioni: AMI svela la sua campagna Primavera/Estate 2023, scattata dal fotografo e amico storico Michael Bailey-Gates.

AMI Paris, Adv Campaign SS 23
AMI Paris, Adv Campaign SS 23

Per la sua campagna Primavera/Estate 2023, AMI Paris torna alle sue radici, con un immaginario potente e autentico firmato dal fotografo Michael Bailey-Gates. Questa campagna segna la quinta collaborazione tra AMI e Michael Bailey-Gates. Amico storico del marchio parigino, il fotografo newyorkese si distingue per l’approccio elegante e sobrio.

AMI Paris, Adv Campaign SS23
AMI Paris, Adv Campaign SS 23

Bailey-Gates ha scattato la campagna in studio, con uno sfondo semplice ma curato: le attrezzature fungono da oggetti di scena, infondendo delicatamente ai ritratti un’atmosfera creativa, sottolineando nel complesso l’estro artistico e le personalità delle modelle. La campagna è composta da una serie di ritratti evocativi, in bianco e nero e a colori. L’atmosfera è solenne e riflessiva, ma non cupa: si percepisce il rapporto di amicizia nel cast.

AMI Paris, Adv Campaign SS 23
AMI Paris, Adv Campaign SS 23

Nella campagna compaiono sette modelli, la maggior parte dei quali volti emergenti. Sono guidati da Dylan O’Brien, il volto della campagna è Kristen McMenamy, l’iconica top-model degli anni ’90: entrambi sono le forze motrici di un piccolo gruppo che incarna l’identità e i valori di AMI.

AMI Paris, Adv Campaign SS 23
AMI Paris, Adv Campaign SS 23

L’ispirazione per il video della campagna proviene dai casting. Si vedono Dylan, Kristen e le altre modelle entrare in scena, sedersi di fronte a un fotografo/regista immaginario, presentarsi e parlare della propria vita e dei propri interessi.

AMI Paris, Adv Campaign SS 23
AMI Paris, Adv Campaign SS 23

La campagna Primavera/Estate 2023 di AMI è stata lanciata a livello globale il primo marzo scorso.

AMI Paris, Adv Campaign SS 23
AMI Paris, Adv Campaign SS 23

Photo credits Courtesy of Press Office

Un 2017 tutto al naturale per Peter Lindbergh

Backstage TheCal 2017 -
Backstage The Cal 2017

Rivoluzionario, provocativo e intellettuale. Un oggetto unico, da collezione, regalato soltanto ad un numero limitato di importanti clienti della nota azienda di pneumatici Pirelli e che ogni amante del bello vorrebbe avere nella propria casa. Il lancio del Calendario Pirelli è uno degli eventi più attesi ogni anno nel mondo dell’arte e della moda che, quest’anno, per la terza volta, sceglie il particolare punto di vista del fotografo tedesco Peter Lindbergh per esprimere la bellezza della figura femminile.

TheCal 2017 - Uma Thurman - Photo by Peter Lindbergh
The Cal 2017 – Uma Thurman, photo Peter Lindbergh

Una bellezza naturale, una celebrazione della donna all’insegna del “non c’è bellezza senza verità”, che ha ispirato il Calendario Pirelli 2017 firmato Lindbergh e presentato lo scorso 29 novembre alla stampa presso l’Hotel Salomon de Rothschild, a Parigi. Insieme al fotografo, l’amministratore delegato del gruppo Pirelli Marco Tronchetti Provera e tre delle attrici immortalate negli scatti, Uma Thurman, Nicole Kidman e Helen Mirren.

“Ho scelto delle attrici di talento perché mi interessa raccontare la vera essenza della bellezza, rompendo lo stereotipo della perfezione artefatta e senz’anima” spiega il fotografo.

The Cal 2017 - Robin Wright - Photo by Peter Lindbergh
The Cal 2017 – Robin Wright,  photo Peter Lindbergh

Attrici, immortalate al naturale, in 12 foto realizzate tra Los Angeles, New York, Berlino e Londra, per i mesi dell’anno e un’unica parola, Emotional, scelta dallo stesso Lindbergh, per sottolineare il fine dei suoi scatti: “realizzare un calendario non sui corpi perfetti, ma sulla sensibilità e sull’emozione, spogliando l’anima dei soggetti, che diventano quindi più nudi del nudo”. Così, il fotografo, interpreta la 44esima edizione di The Cal, assumendosi il compito di cambiare i canoni di bellezza finta a cui siamo abituati.

“Oggi la bellezza è quanto mai distante dalla realtà, è costruita, finta, e ha un forte volere commerciale. Io volevo fare tutto il contrario. Volevo che il mio calendario diventasse un urlo contro la bellezza stereotipata, contro il terrore della giovinezza a tutti i costi. Per questo ho chiamato a raccolta attrici che avessero un ruolo importante nella mia vita e che si fidassero di me”.

The Cal 2017 - Julianne Moore, photo Peter Lindbergh
The Cal 2017 – Julianne Moore, photo Peter Lindbergh

La capacità di mettersi a nudo, spogliarsi del tutto, rimanendo pur sempre vestite, raccontare le emozioni e trasmettere la loro intimità, un gesto di coraggio per le attrici che hanno accettato la sfida del fotografo, solitamente abituate a recitare una parte: “interpretare un personaggio al cinema è più facile perchè ti metti nei panni di un altro. Davanti all’obiettivo del fotografo invece devi essere te stessa” dice Penelope Cruz. Da Kate Winslet a Julianne Moore, da Lea Seydoux a Lupita Nyong’o e ancora Robin Wright, Charlotte Rampling, Penelope Cruz e Alicia Vikander, sono in 14 ad aver risposto all’appello del tedesco Lindbergh.

Backstage The Cal 2017 - Jessica Chastain
Backstage The Cal 2017 – Jessica Chastain

In 50 anni di storia, Peter Lindbergh è l’unico fotografo ad essere stato richiamato per la terza volta da Pirelli per la realizzazione del Calendario grazie al giusto mix di classicità e contemporaneità dei suoi scatti. Il primo The Cal risale al 1996 in California, nel deserto di El Mirage e con modelle del calibro di Eva Herzigova, Carré Otis e Nastassja Kinski e successivamente nel 2002 a Los Angeles ritrasse tra le altre Julia Stiles, Brittany Murphy e Keira Chaplin.

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Backstage The Cal 2017 – Kate Winslet

E per la prima volta, il gruppo Pirelli, rende disponibile il video esteso del Making Of di The Cal. Un backstage esclusivo di interviste a Peter Lindbergh e alle sue attrici, per scoprire il ciclo di idee dietro la realizzazione del calendario e non apprezzare soltanto la bellezza del prodotto finale, ma anche quella del processo intrapreso. “Sono stufa di questa bellezza fresca che ci impongono, è più interessante quella di una donna di 40 o 50 anni” racconta Kate Winslet nel dietro le quinte. Un elogio alla donna e all’empowerment femminile, al coraggio  e all’orgoglio di essere se stesse per come si è, senza badare al giudizio della gente.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Wlvo7MIVgOE&t=26s

Novanta volti di umana follia

"A Pakistan shell collection" by Alexandra Boulat - Pakistan, 2001

SOUNDTRACK: The Rolling Stone – Gimme Shelter

Homo homini lupus (“L’uomo è un lupo per gli uomini”), affermava il filosofo inglese Thomas Hobbes, riprendendo un concetto il cui precedente più antico si ritrova all’interno dell’Asinaria di Plauto. Una piaga che, quasi come un deus ex machina, domina e controlla la condizione umana, servendosi delle motivazioni più alte e profonde per oscurare atroci verità.

Potrebbe essere questo il riassunto di Ombre di guerra, la mostra itinerante, appena terminata al museo dell’Ara Pacis di Roma. Novanta scatti di vita e di morte, di corpi dilaniati ora da una pallottola, ora da una bomba, di volti alienati dal dolore, o dalla cieca consapevolezza di quel “dovere” nei confronti della propria patria che si sta per compiere.

“Tank Man”, Jeff Widener (Associated Press) – Pechino, 1989

Immagini immobili, come il ragazzo cinese, chiamato da tutti i media Tank Man, il rivoltoso sconosciuto, che la mattina del 5 giugno 1989, bloccò, con soli due sacchetti di plastica, una fila carri armati, chiamati per sgomberare Piazza Tienanmen dalla protesta studentesca. Immagini che bruciano, come le ustioni provocate dal napalm sul corpo nudo di una bambina vietnamita di appena nove anni, Kim Phúc, in fuga da una guerra molto più grande di lei.

“War, children, it’s just a shot away”, cantavano i Rolling Stones nel ’69. “La guerra è vicina, potrebbe arrivare da un momento all’altro”, ti sembra di ascoltare, avvicinandoti alla cornice di vetro con cui queste immagini sono state affisse al muro bianco della sala. Lo raccontano i volti  d’ebano dei soldati del Darfur, così come il miliziano ripreso da Robert Capa, colpito a morte durante la guerra civile spagnola del 1936.

Kim Phúc – “World Press Photo of the Year 1972″ by Nick Út – South Vietnam, 1972

“In guerra la verità emerge. Tesa tra la vita e la morte, la gente si rivela, getta la maschera e si mostra con un’onestà che non c’è altrove nella vita”, confidava il fotografo Philip Jones Griffiths, reduce dalla Guerra in Vietnam. Una lotta per la sopravvivenza, che non conosce pietà per il più debole, per il più piccolo o per il più povero. Eserciti addestrati per uccidere, uomini e donne costretti a tacere e a scappare. Dagli orrori commessi dall’esercito americano ad Abu Ghraib e Bagram, in Iraq, alle fosse comuni in Cecenia, tra queste mura si respira aria di sangue e odore di pelle bruciata, mentre tutto, al di fuori da qui, appare normale, consueto.

“Fotografie come invito alla riflessione e al dibattito su come dire basta alla violenza”, afferma Umberto Veronesi, creatore del progetto insieme alla sua Fondazione e all’associazione Science for Peace. Guerre che continuano a prosciugare le tasche delle Nazioni più potenti. Centoventicinque milioni di dollari circa, a notte, per dei raid aerei Nato. Più di 20 milioni di dollari per un caccia bombardiere F-16. Settecentocinquanta mila per un missile BGM-109 Tomahawk Cruise, l’arma intelligente, come definito dal Dipartimento di Stato americano. Soldi, tanti soldi che potrebbero, invece, curare, sfamare, educare. Vite, troppe vite che, purtroppo, per chi comanda, non hanno lo stesso prestigioso valore.

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