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White. A Carpi in mostra “il bianco della moda”

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Dal 15 aprile al 12 giugno 2016 la città di Carpi ospita nelle sale dei Musei di Palazzo dei Pio la mostra “WHITE. Il bianco nella moda”. Trenta capi iconici di grandi stilisti italiani e internazionali, da Giorgio Armani a Vivienne Westwood, da Pierre Cardin a Gianfranco Ferré e poi ancora John Galliano, Miuccia Prada, Gianni Versace, raccontano come i maggiori fashion designer del mondo abbiano affrontato la tinta simbolo di purezza per eccellenza. L’esposizione, a cura di Manuela Rossi, è ideata e prodotta dal Comune di Carpi insieme ai Musei di Palazzo dei Pio in collaborazione con Carpi Fashion System e si collega in modo diretto alla vocazione manifatturiera della città, capofila di un distretto del tessile in grado di coinvolgere circa 2.600 aziende, con un fatturato annuo stimato attorno ai 3 miliardi di euro.

«La mostra nasce sul tema specifico del bianco, colore che non è di per sé espressione di una tendenza bensì è una costante – spiega Manuela Rossicon alti e bassi spesso legati a momenti socio-politici particolari. La scelta che abbiamo attuato è quella non tanto di fare una mostra di evoluzione dello stile, ma sostanzialmente su come il bianco sia stato interpretato in questi 50 anni».

L’allestimento riproduce lungo le suggestive logge di Palazzo dei Pio una passerella di abiti, cioè una sorta di time-line sulla quale passano in rassegna alcuni modelli presi in prestito dagli Archivi di Ricerca Mazzini di Massalombarda (RA), che con i suoi oltre 250 mila abiti e accessori è una delle più complete raccolte italiane dedicate alla storia della moda.

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Il percorso si snoda così lungo una parentesi cronologica che va dal 1960, in coincidenza del Boom Economico che ha significato per Carpi l’affermazione dell’industria tessile e della Hollywood sul Tevere, fino al 2010, anno simbolo delle nuove sfide che l’industria della moda è chiamata ad affrontare.

La mostra si apre con una sezione che, grazie a riviste d’epoca e a strumenti multimediali, introduce il pubblico al vocabolario tipico della moda, ai concetti base che regolano l’attività creativa dei fashion designer, offrendo quindi gli strumenti necessari ad avvicinarsi agli abiti esposti in modo critico.

Il primo periodo affrontato riguarda gli Anni Sessanta e i Settanta, interpretati come momento di forte contestazione delle regole e delle tradizioni: sono qui esposti i modelli no logo tipici della Swinging London, con la volontà di mostrare la scelta degli stilisti di non “brandizzare” le proprie creazioni in polemica con il sistema consumistico. Non mancano, però, gli ormai leggendari corsetti punk di Vivienne Westwood (in versione rigorosamente white) o le fantasiose sperimentazioni della giapponese Rei Kawakubo che, ideando sul finire degli Anni Settanta il marchio Comme des Garçons, getta un inedito ponte tra Oriente ed Occidente.

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La sezione dedicata agli Anni Ottanta e Novanta presenta il meglio del Made in Italy, con il tipico mix di artigianalità e imprenditorialità che lo contraddistingue: Armani, Versace e soprattutto Gianfranco Ferré, che trasformò un capo apparentemente semplice come la camicia bianca in vero e proprio feticcio, candida tela sulla quale trasferire le proprie straordinarie intuizioni. Accanto a modelli di grande successo, trovano spazio anche progetti più arditi e sperimentali, forse poco incisivi in termini di fortuna commerciale ma a loro modo storici come le sartoriali creazioni surrealiste di Bobo Kaminsky, firma collettiva del gruppo di stilisti da cui sarebbe emerso Renzo Rosso.

Per concludere questo viaggio nella moda tinta di bianco, l’ultima sezione guarda al Nuovo Millennio, alle evoluzioni dello stile e all’introduzione di materiali inediti permettendo un’analisi dei tessuti, dai più immediati a quelli sperimentali, che è poi uno dei fili conduttori dell’intera mostra, grazie ad alcune creazioni di John Galliano, Martin Margiela o ai più recenti prodotti griffati Miuccia Prada, sempre più sperimentali, raffinati e tecnologici.

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Prada e la sua nuova culla dell’arte. Tra tradizione e modernità

La fondazione ha scelto l’arte come principale strumento di lavoro e apprendimento: un territorio di pensiero libero che accoglie sia figure consolidate e imprescindibili sia approcci emergenti. La collezione Prada che include perlopiù opere del ventesimo e ventunesimo secolo, è un altro dei nostri strumenti. Vediamo la nostra collezione come repertorio di prospettive e di energie potenziali“. Sono queste le parole dei  presidenti Miuccia Prada e Patrizio Bertelli in merito al loro nuovo progetto.

 

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Una location affascinante, quella offerta da  Lago Isarno, e una cena esclusiva per un evento speciale, ovvero l’inaugurazione della nuova Fondazione Prada,  ora sede della memoria e raccolta di arte contemporanea della maison. Il 9 maggio, nell’ex distilleria di Milano, reinventata dallo studio OMA, sono state esposte in 12 mila mq opere di una vasta gamma di artisti presentate al pubblico con esposizioni a tema.

A partecipare all’evento,  diverse personalità: dal presidente del Consiglio , Matteo Renzi al sindaco di Milano Giuliano Pisapia, dal vicesindaco Ada Lucia De Cesaris, al prefetto della città di Milano,  Francesco Paolo Tronca, amministratore delegato Expo 2015, fino a Giuseppe Sala, il curatore della mostra “Serial Classic”. Presenti anche Salvatore Settis, Rem Koolhas, Germano Celant, i direttori e curatori dei principali musei internazionali. Interessante  la collaborazione con Roman Polanski che esplorerà in un documentario le suggestioni cinematografiche del suo lavoro.

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Ad incuriosire  anche  gli  interventi site specific di Robert Gober e Thomas Demand, nonché uno spazio dedicato ai bambini e ideato dagli studenti dell’Ecole nationale supérieure d’architecture de Versailles e naturalmente la parte di contemporaneo organizzata per percorsi tematici. Approderà a Milano anche Wes Anderson – regista premiato di fresco ai Golden Globes  – che realizzerà un’installazione bar tipo vecchia Milano.

Un’iniziativa, quindi, che fa da collante tra il passato con le sue suggestioni e lezioni di arte, il presente su cui si riversa l’influenza benefica di questa corrente ispiratrice e il futuro che farà tesoro di questo repertorio creativo affiancandolo alla sua carica innovativa e contemporanea. È l’arte che si reinventa lasciando immutata la sua bellezza. E se c’è lo zampino della moda, il gioco è fatto.

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Miuccia Prada trionfa ai British fashion awards 2013 aggiudicandosi l’International Designer of the year

British Fashion Awards 2013

Lo scorso 2 dicembre 2013 al Coliseum di Londra si sono svolti i British Fashion Awards 2013, gli Oscar della moda inglese assegnati ogni anno dal Bfc-British Fashion Council, che hanno premiato il talento e la creatività di molte firme del mondo della moda. Tra i 16 awards assegnati spicca il nome dell’italianissima Miuccia Prada, protagonista assoluta della serata, che si è aggiudicata l’International Designer of the Year award, il nuovo premio introdotto proprio con l’edizione di quest’ anno.

Nato per celebrare i designer più considerevoli nel panorama internazionale, l’importante riconoscimento è stato assegnato alla stilista italiana più in voga del momento, recentemente inserita dalla rivista “Time” nell’elenco delle 100 personalità più influenti del ventesimo secolo, conosciuta per le sue capacità di innovare continuamente e fissare ad ogni collezione l’agenda di tutto il settore moda: ennesima testimonianza della grande influenza che il suo stile esercita nel mondo della moda.

Stile che nasce agli inizi degli anni ’80 grazie all’incontro tra lei, sofisticata signorina milanese, sempre in tacchi e vestiti mai banali ai cortei studenteschi, erede di un negozio di borse e valigie, e lui il toscano-aretino Patrizio Bertelli, imprenditore di pelletteria, personaggio dantesco e vulcano di idee. Il connubio degli opposti che si attraggono, ha posto le basi di quello che ora è il così detto “Fenomeno Prada”. Il marchio di moda non è più solo considerato un gruppo, ma un brand dai grandi numeri, simbolo di uno stile concettuale che ha saputo ribaltare i canoni estetici, creare voghe, diventando un fatto di costume tanto da dettare le tendenze sulla scena mondiale.

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Miuccia Prada riceve l’International Designer of the year award da Gweyneth Paltrow

La consegna del premio a Miuccia Prada è avvenuta da una madrina d’eccezione: l’attrice Gwyneth Paltrow. La giuria composta da oltre 300 esperti del settore, chiamata a votare la British fashion industry, ha premiato altrettanti cospicui designer come Christopher Kane con il titolo più prestigioso di Womenswear designer of the  year consegnato da Donatella Versace, una tra le prime a credere nel suo talento. Il doppio titolo di Menswear designer of the year e Designer brand of the year è stato invece consegnato a Christopher Bailey, direttore creativo di Burberry e recentemente nominato anche CEO del marchio, da Sienna Miller. Per la terza volta nella sua carriera riceve l’Accessory designer of the year award Nicholas Kirkwood, consegnatogli da Emmanuelle Seigner. A Sophia Webster è stato riconosciuto invece l’Emerging accessories designer del 2013.

Al neo direttore creativo del marchio Loewe, J.W. Anderson, è stata assegnata la statuetta di New establishment designer. Erdem Moralioglu è stato premiato invece con il Red carpet award, premio assegnato allo stilista che durante tutto l’anno ha vestito moltissime celebrities sul tappeto rosso annoverando tra le sue clienti nomi come la Duchessa di Cambridge, Gwyneth Paltrow e Keira Knightly.

Per quanto riguarda la categoria dei talenti emergenti i riconoscimenti sono andati a Simone Rocha con l’Emerging womenswear designer award e alla coppia Agi & Sam con il premio Emerging menswear designer. Mentre Edie Campbell è stata nominata modella dell’anno, lo Special Recognition award è stato consegnato da Marc Jacobs alla super top model Kate Moss. Stesso riconoscimento è stato assegnato a Suzy Menkes per il suo lavoro nel giornalismo di moda, per la sua  venticinquennale carriera presso l’International New York Times.

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Il premio speciale dedicato a una delle figure più prominenti del panorama britannico il premio Isabella Blow award for fashion creator è stato consegnato alla musa e collaboratrice di Karl Lagerfeld, Lady Amanda Harlech, per il suo ruolo ispiratore nella moda. Per finire ad Harry Styles, membro della boy band One Direction, ha ricevuto la statuetta di British Style brought to you by Vodafone, per aver portato nel mondo lo spirito dello stile londinese.

L’italia come sempre si è distinta grazie ad una donna, Miuccia, che come sempre grazie al suo estro creativo porta una ventata di originalità e ricchezza alla moda made in Italy. Un fenomeno quello Prada, che si è autoamplificato attraverso il design futuribile dei negozi-epicentri, portando l’italianità anche d’oltralpe, grazie anche all’avvincente esperienza velica di Luna Rossa in Coppa America e alla provocatoria arte d’avanguardia dell’omonima Fondazione.

Venezia rivive la Berna del ’69 grazie alla Fondazione Prada.

A cura di Germano Celant in dialogo con Thomas Demand e Rem Koolhaas la mostra When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013 rappresenta l’ultima innovativa esposizione concepita dalla Fondazione Prada. La mostra aperta fino al 3 novembre a Ca’ Corner della Regina a Venezia ricostruisce, in un sorprendente rifacimento, “Live in Your Head. When Attitudes Become Form”, una mostra curata da Harald Szeemann alla Kunsthalle di Berna nel 1969 e passata alla storia per l’approccio radicale del curatore alla pratica espositiva, concepita come medium linguistico.

Con uno sforzo notevole per conservare la complessa identità, la mostra si innesta – nella sua totalità di muri, pavimenti e relative installazioni – nella storica struttura architettonica e negli ambienti di Ca’ Corner della Regina, arrivando a inserire in scala 1:1 le stanze moderne della Kunsthalle, delimitate da superfici parietali bianche, negli antichi saloni affrescati del settecentesco palazzo veneziano.

In un gioco di connessioni nuove e inaspettate si genera una sovrapposizione tra le opere e lo spazio.  Così come la Kunsthalle fu occupata da una giovane generazione di artisti rivoluzionari nel 1969, con lo stesso spirito gli ambienti riccamente decorati di Ca’ Corner della Regina sono a loro volta invasi dalle sale novecentesche della Kunsthalle.

Alighiero Boetti con Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969, “When Attitudes Become Form” Kunsthalle Bern, 1969 Photo: Shunk Kender  © Roy Lichtenstein Foundation
Alighiero Boetti con Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969, Shunk Kender© Roy Lichtenstein Foundation

L’intento della Fondazione Prada è stato quello di ridare vita al processo espositivo con cui “When Attitudes Become Form” venne realizzata, così da superare la mediazione dei documenti fotografici e filmici, e poterlo esperire e analizzare “dal vero”, esattamente come era, seppur trasportato dall’ieri all’oggi.

Nel percorso espositivo vengono riproposte con nuova energia le ricerche post-pop e post-minimaliste sviluppatesi a livello internazionale alla metà degli anni Sessanta, evidenziando al tempo stesso il contributo di Szeemann che seppe superare i vincoli teorici del suo tempo. Szeemann lasciò infatti che la sua esposizione diventasse un campo d’incontro dialettico tra artista e curatore, tra eventi e architettura: un luogo dove le opere realizzate s’intrecciavano tra loro, come in una sorta di trama organica in continua evoluzione.

A tal proposito Miuccia Prada ha dichiarato: “Il tema dell’impossibilità – argomento che mi interessa profondamente – si è rivelato centrale. La protezione delle opere d’arte spesso richiede barriere e distanze di sicurezza. Ma queste misure, per quanto necessarie, tolgono spontaneità e umanità alla percezione delle opere. Molti degli elementi di provocazione e delle forme di libertà esistenti nel 1969 oggi sono impraticabili: materiali organici, elettricità ad alto voltaggio, fuoco, esalazioni di gas e opere installate in posizioni precarie. Le provocazioni fisiche oggi sono molto più difficili da realizzare. Perciò la scelta di un gesto architettonico quasi violento – ambientare l’allestimento e il percorso di Berna nell’involucro settecentesco di Ca’ Corner della Regina a Venezia – è stata una decisione fondamentale per il progetto, come anche la ricostruzione della Kunsthalle in ogni dettaglio”.

“When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013” è l’occasione per ricucire il filo con un passato che diventa presente dando la possibilità a tutti di rivivere un momento di svolta nel percorso artistico del Novecento.

“Il grande Gatsby”: i Roaring Twenties raccontati attraverso i costumi del film

locandina-ufficiale-film-di-caprio_jpg-defaultSe c’è un argomento che di questi tempi è davvero sulla bocca di tutti, non può essere che uno solo. No, non è il governo di Enrico Letta e nemmeno il matrimonio della Marini, ma il film sbanca botteghini acclamato da critica e pubblico, in programmazione in tutte le sale d’Italia: “Il grande Gatsby”. Tratto dal capolavoro di Francis Scott Fitzgerald, vivido ritratto di un’epoca ignara e illusa, tutta lustrini, paillettes e divertimento, è una trasposizione luhrmanniana del romanzo, con grandi protagonisti, come Leonardo Di Caprio nei panni di Gatsby, Carey Mulligan in quelli di Daisy, la sua amata, e Tobey Maguire, in quelli del giovane agente di borsa Nick Carraway. Una vicenda ambientata negli Anni Venti, che necessita per forza della capacità narrativa della moda, un’arte che riesce a raccontare storie senza le parole.

“Gli anni Venti sono stati, in pratica, la nascita della moda del ventesimo secolo per come la conosciamo noi. Subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, abbiamo assistito all’abbandono delle pesanti sottovesti Vittoriane, abbiamo visto le prime gonne corte e una certa libertà sessuale femminile che permise di vestire un po’ più discinte. Questo ha portato a un esuberante stile decorativo che ha rappresentato la chiave di volta per la moda”, così racconta l’ispirazione per i costumi di scena Catherine Martin, costumista del film nonché moglie del regista Baz Luhrmann. “Per i costumi maschili ci siamo ispirati all’inizio del decennio, perché volevamo una linea più snella. Per i costumi femminili ci siano ispirati alla moda della fine del decennio, un periodo in cui c’era più consapevolezza delle forme”. Ne sono nate creazioni bellissime, luccicanti e leggere, retro ma assolutamente contemporanee, realizzati in brillante lamé metallico iridescente, paillettes, taffetà di seta, pelliccia colorata e velluto, e abbinati a fantastici cappelli, calzature e accessori.

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Abiti capolavoro che gireranno il mondo in una mostra itinerante dal titolo “Catherine Martin and Miuccia Prada Dress Gatsby”, già inaugurata a New York in occasione della prima del film e che ora è a Cannes per la 66° edizione del Festival del cinema. Assieme alla Martin, ha collaborato alla creazione dei costumi la grande Miuccia Prada, da sempre ispirata dagli Anni Venti per le sue collezioni.
Ora, dopo New York e Cannes, la mostra approderà a Tokyo, all’Epicentro Prada, dal14 al 30 giugno e, infine, all’IFC Mall di Shanghai da metà luglio.

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Il palazzo virtuale di Prada, in bilico tra sogno e realtà

A metà strada tra sogno virtuale e realtà, tra immaginario e tangibile ma sempre sulla scia della multimedialità, si situa il nuovo progetto creativo a edizione limitata della designer Miuccia Prada, il “Palazzo Virtuale”: una app e una piattaforma integrata all’interno del sito ufficiale della Maison Prada, ovvero un esclusivo spazio digitale disponibile fino a Gennaio 2013 creato in collaborazione con James Lima, noto visual designer e consulente visivo a Hollywood non nuovo alla partnership con la celebre griffe milanese.

la designer milanese Miuccia Prada

All’ interno del Palazzo, in una galleria d’arte interattiva, sono ospitati i ritratti del noto illustratore inglese Richard Haines, invitato a realizzare vari bozzetti “live” durante l’ultima sfilata di Prada ispirato dal tema delle emozioni suscitate dall’abito in sé, su come siamo in grado di nasconderci indossando un vestito e quindi in che modo proiettiamo all’esterno una certa immagine di noi attraverso di essi.

Proprio su questo filo conduttore nasce il dialogo artistico tra Miuccia e Haines, che si snoda in tre diverse fasi: la prima costituita dall’intervento grafico del disegnatore su cinque volumi antichi scelti in base a determinate consonanze iconografiche, la seconda dall’edizione di un nuovo volume immaginato dall’autore dal titolo indicativo, “Il Palazzo”, del resto titolo omonimo dell’ultimo defilè di Prada. Edito in 500 copie siglate da Haines, la raccolta racchiude ben 150 schizzi realizzati su pagine prestampate, in particolare ritratti e strutture architettoniche.

bozzetto firmato Haines per il project "Palazzo"

La terza parte finale del percorso è data dal Palazzo Virtuale, appunto: un luogo virtuale ma verosimile allo stesso tempo, disegnato da un vero e proprio architetto e dotato di stanze, tappeti, corridoi e luci in cui muoversi e interagire scoprendo, come vivessero in una sorta di corte virtuale, i bozzetti di Haines e nel contempo le ultime collezioni Prada Uomo e Donna, oltre a capsule collection, gioielli e occhiali, il tutto comunicato in “tempo reale” tramite un alert di aggiornamento agli utenti.

Una piattaforma sociale e sperimentale, un ibrido tra community, videogame, sito e mondo parallelo che stabilisce una nuovo “codice” di lettura e di connessione con il mondo del fashion, che infine si tramuta in un prodotto software trasversale tra realtà e universo digitale.

Stiamo vivendo un periodo da fantascienza, in un eccitante mondo di nuovi mezzi di comunicazione, informazione diffusa e possibilità infinite” – come spiega per l’appunto James Lima – “questo è un momento particolare in cui avviene il primo passo per costruire un ponte tra mondo fisico e virtuale.”

Anche se “gli esseri umani saranno sempre attratti dalla compagnia di altre persone e ne cercheranno sempre il calore, la tecnologia può rendere le esperienze migliori. Man mano che Internet diventa ubiquo, la nostra cultura dovrà adattarsi a questa strana intrusione.”

E la moda, da buona messaggera dell’effimero per eccellenza, non resta a guardare ma sta decisamente prendendone atto.

il visual/concept designer americano James Lima

La Schiap ritorna sulle scene

Lei è un pezzo di storia della moda. E anche un orgoglio per l’Italia. A lei si può attribuire l’invenzione della tonalità rosa shocking o la sostituzione della sfilza di bottoncini con la cerniera lampo. Lei disegnò l’abito da sera dipinto da Salvador Dalì, applicando delle aragoste giganti. E sempre lei fu l’artefice di una moda surrealista e geniale, con pezzi come i guanti con le unghie il famoso cappello a forma di scarpa. Un genio racchiuso nella figura di Elsa Schiaparelli, la stilista che negli anni Trenta si contese le scene della moda parigina con un altro mostro sacro come Coco Chanel.
Nata nel 1890 a Roma, si trasferisce nel 1922 nella capitale francese, dove ottiene presto successo come couturier per via delle sue creazioni estrose e fuori dagli schemi. Nel 1954 prende la decisione di chiudere l’atelier e di uscire dalle scene, fino alla morte, avvenuta nel 1973.

Oggi il mito di Elsa Schiaparelli, o Schiap, come il nomignolo con cui la ribattezzarono i francesi, torna a rivivere grazie all’intuizione avuta dall’imprenditore Diego Della Valle, che cinque anni fa ha acquisito sia l’archivio che i diritti. L’idea è quella di rilanciare il marchio che porta il suo nome con una “Collezione molto speciale ma al tempo stesso riconoscibile – si legge in un comunicato – E una grande attenzione agli accessori”, il cui debutto è previsto per febbraio 2013. Si vocifera addirittura di una riedizione del profumo Shocking del 1936, racchiuso in una boccetta fucsia modellata sulla sinuosa silhouette di Mae West. “Nessuna rincorsa ai tempi commerciali del mondo della moda – chiarisce Diego Della Valle – ma un lavoro che punti al meglio, nel gusto e nella qualità, con tutta la calma necessaria per farlo”.

Il primo step previsto, comunque, è la riapertura dello storico atelier di Place Vendôme a Parigi, in programma per quest’estate, durante la settimana della Haute Couture. Intanto, è già toto scommesse sul nome di chi sarà il direttore creativo della maison. Il più quotato finora pare essere John Galliano, rimasto senza incarico, dopo essere stato licenziato da Dior per via dei suoi atteggiamenti antisemiti tenuti fuori da un bar di Parigi un anno e mezzo fa. Ma in lizza c’è anche Rodolfo Paglialunga, ex direttore creativo di Vionnet, con esperienze professionali anche in Prada. Quello che è certo, invece, è il nome dell’ambasciatrice del marchio: si tratta di Farida Khelfa, attrice, regista e modella di origine algerina, già musa di Azzedine Alaïa e di Jean Paul Gaultier, una donna che per molti versi somiglia a Elsa Schiaparelli: di forte temperamento, fuori dagli schemi, passionale e anti-conformista.

Una creazione della stilista

Nell’attesa di rivedere nelle boutique le creazioni a nome di questa grande stilista del ‘900, si può fare un salto a New York da qui al 19 agosto, per visitare la mostra allestita da Harold Koda e Andrew Bolton al Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York, dedicata alla grande Elsa a confronto con un altro grande nome dei nostri tempi, Miuccia Prada. Impossible conversations è il nome della mostra: ma se fosse ancora viva, che scambi di idee con Miuccia!

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