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Prada e la sua nuova culla dell’arte. Tra tradizione e modernità

La fondazione ha scelto l’arte come principale strumento di lavoro e apprendimento: un territorio di pensiero libero che accoglie sia figure consolidate e imprescindibili sia approcci emergenti. La collezione Prada che include perlopiù opere del ventesimo e ventunesimo secolo, è un altro dei nostri strumenti. Vediamo la nostra collezione come repertorio di prospettive e di energie potenziali“. Sono queste le parole dei  presidenti Miuccia Prada e Patrizio Bertelli in merito al loro nuovo progetto.

 

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Una location affascinante, quella offerta da  Lago Isarno, e una cena esclusiva per un evento speciale, ovvero l’inaugurazione della nuova Fondazione Prada,  ora sede della memoria e raccolta di arte contemporanea della maison. Il 9 maggio, nell’ex distilleria di Milano, reinventata dallo studio OMA, sono state esposte in 12 mila mq opere di una vasta gamma di artisti presentate al pubblico con esposizioni a tema.

A partecipare all’evento,  diverse personalità: dal presidente del Consiglio , Matteo Renzi al sindaco di Milano Giuliano Pisapia, dal vicesindaco Ada Lucia De Cesaris, al prefetto della città di Milano,  Francesco Paolo Tronca, amministratore delegato Expo 2015, fino a Giuseppe Sala, il curatore della mostra “Serial Classic”. Presenti anche Salvatore Settis, Rem Koolhas, Germano Celant, i direttori e curatori dei principali musei internazionali. Interessante  la collaborazione con Roman Polanski che esplorerà in un documentario le suggestioni cinematografiche del suo lavoro.

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Ad incuriosire  anche  gli  interventi site specific di Robert Gober e Thomas Demand, nonché uno spazio dedicato ai bambini e ideato dagli studenti dell’Ecole nationale supérieure d’architecture de Versailles e naturalmente la parte di contemporaneo organizzata per percorsi tematici. Approderà a Milano anche Wes Anderson – regista premiato di fresco ai Golden Globes  – che realizzerà un’installazione bar tipo vecchia Milano.

Un’iniziativa, quindi, che fa da collante tra il passato con le sue suggestioni e lezioni di arte, il presente su cui si riversa l’influenza benefica di questa corrente ispiratrice e il futuro che farà tesoro di questo repertorio creativo affiancandolo alla sua carica innovativa e contemporanea. È l’arte che si reinventa lasciando immutata la sua bellezza. E se c’è lo zampino della moda, il gioco è fatto.

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A Roma il MAXXI celebra con una grande retrospettiva il fiammingo Jan Fabre.

FABRE_SANGUISMANTIS_01Il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, in collaborazione con Fondazione Romaeuropa, rende tributo a Jan Fabre, artista visuale oltre che autore e regista teatrale. E lo fa con la mostra Stigmata. Actions & Performances 1976 – 2013, aperta al pubblico fino al prossimo 16 febbraio.

Un viaggio nella memoria dell’artista fiammingo attraverso disegni, fotografie e video, un ricchissimo corpus artistico che documenta le performance realizzate dalla seconda metà degli anni Settanta fino ad oggi.

800 lavori, “thinking models”, posti su 92 tavoli trasparenti attraverso un percorso fluido permettono al visitatore di rivivere le azioni radicali e totalizzanti dell’artista.  Germano Celant, curatore della mostra, nel corso della giornata di inaugurazione del 15 ottobre, ha accostato Stigmata all’immagine di una valanga, un’esperienza travolgente che avvolge gli spettatori all’interno degli spazi progettati da Zaha Hadid.

Con un linguaggio artistico personale e a volte molto intimo [in mostra feci e sangue dell’artista stesso, ndr], Fabre si autorappresenta fin da ragazzo con le sue radicalità, sacrificandosi sulla scena. Per Fabre la performance va infatti intesa come esplorazione dei limiti, delle azioni e delle reazioni del corpo: “Per – for – mance significa una persona che per –fo- ra se stessa e il suo ambiente, è nello stesso tempo un’analisi, una distruzione, un concedersi”.

Dai primi disegni della serie My Body, My Blood, My Landscape si passa alle azioni come Money Performance e Llad of the Bic- Art Room, proseguendo per Sanguis/Mantis presentato al Festival Polysonnieres di Lione del 2001, fino alle ultime prove come Virgin/Warrior, perfomance realizzata con Marina Abramović al Palais de Tokyo di Parigi nel 2004.

FABRE_THEBICARTROOM_01La ricerca sperimentale di Fabre in questi decenni lo ha spinto a ogni genere di performance: ha utilizzato il sangue per i propri disegni, ha inventato la ball pen art, beffandosi dell’arte dei grandi maestri, ha percorso da Nord a Sud la linea tranviaria di Anversa con il naso sulle rotaie, ha bruciato i soldi degli spettatori, ha invitato critici d’arte alla Franklin Furnace di New York a sparargli, è stato arrestato per aver preso in ostaggio il filosofo Lars Aagaard – Mogensen, si è messo alla gogna nel Museo di Arte Contemporanea di Tokyo, esponendosi al lancio di pomodori da parte del pubblico.

E guardando a questo campionario artistico viene naturale chiedersi quale sarà la prossima azione di quello che è considerato come uno degli artisti più innovativi e versatili della scena contemporanea.

Venezia rivive la Berna del ’69 grazie alla Fondazione Prada.

A cura di Germano Celant in dialogo con Thomas Demand e Rem Koolhaas la mostra When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013 rappresenta l’ultima innovativa esposizione concepita dalla Fondazione Prada. La mostra aperta fino al 3 novembre a Ca’ Corner della Regina a Venezia ricostruisce, in un sorprendente rifacimento, “Live in Your Head. When Attitudes Become Form”, una mostra curata da Harald Szeemann alla Kunsthalle di Berna nel 1969 e passata alla storia per l’approccio radicale del curatore alla pratica espositiva, concepita come medium linguistico.

Con uno sforzo notevole per conservare la complessa identità, la mostra si innesta – nella sua totalità di muri, pavimenti e relative installazioni – nella storica struttura architettonica e negli ambienti di Ca’ Corner della Regina, arrivando a inserire in scala 1:1 le stanze moderne della Kunsthalle, delimitate da superfici parietali bianche, negli antichi saloni affrescati del settecentesco palazzo veneziano.

In un gioco di connessioni nuove e inaspettate si genera una sovrapposizione tra le opere e lo spazio.  Così come la Kunsthalle fu occupata da una giovane generazione di artisti rivoluzionari nel 1969, con lo stesso spirito gli ambienti riccamente decorati di Ca’ Corner della Regina sono a loro volta invasi dalle sale novecentesche della Kunsthalle.

Alighiero Boetti con Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969, “When Attitudes Become Form” Kunsthalle Bern, 1969 Photo: Shunk Kender  © Roy Lichtenstein Foundation
Alighiero Boetti con Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969, Shunk Kender© Roy Lichtenstein Foundation

L’intento della Fondazione Prada è stato quello di ridare vita al processo espositivo con cui “When Attitudes Become Form” venne realizzata, così da superare la mediazione dei documenti fotografici e filmici, e poterlo esperire e analizzare “dal vero”, esattamente come era, seppur trasportato dall’ieri all’oggi.

Nel percorso espositivo vengono riproposte con nuova energia le ricerche post-pop e post-minimaliste sviluppatesi a livello internazionale alla metà degli anni Sessanta, evidenziando al tempo stesso il contributo di Szeemann che seppe superare i vincoli teorici del suo tempo. Szeemann lasciò infatti che la sua esposizione diventasse un campo d’incontro dialettico tra artista e curatore, tra eventi e architettura: un luogo dove le opere realizzate s’intrecciavano tra loro, come in una sorta di trama organica in continua evoluzione.

A tal proposito Miuccia Prada ha dichiarato: “Il tema dell’impossibilità – argomento che mi interessa profondamente – si è rivelato centrale. La protezione delle opere d’arte spesso richiede barriere e distanze di sicurezza. Ma queste misure, per quanto necessarie, tolgono spontaneità e umanità alla percezione delle opere. Molti degli elementi di provocazione e delle forme di libertà esistenti nel 1969 oggi sono impraticabili: materiali organici, elettricità ad alto voltaggio, fuoco, esalazioni di gas e opere installate in posizioni precarie. Le provocazioni fisiche oggi sono molto più difficili da realizzare. Perciò la scelta di un gesto architettonico quasi violento – ambientare l’allestimento e il percorso di Berna nell’involucro settecentesco di Ca’ Corner della Regina a Venezia – è stata una decisione fondamentale per il progetto, come anche la ricostruzione della Kunsthalle in ogni dettaglio”.

“When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013” è l’occasione per ricucire il filo con un passato che diventa presente dando la possibilità a tutti di rivivere un momento di svolta nel percorso artistico del Novecento.

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