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¡Átame! Luigi Borbone e il bondage tricotico

Erotismo, tricotonie, bondage. Lo stilista romano Luigi Borbone strappa il velo che ammanta la divinità della donna svelandone il lato perturbante. Rivelazione dell’eidolon femminile.
Armoniche metamorfosi. Le installazioni tricotiche ricalcano i miti greci delle trasformazioni divine. Dafne diviene alloro, Cisso edera. Il pertubante è costruito sul verticalismo. L’haute couture degli abiti in velluto broccato oro, raso e chiffon cede il passo a creazioni che imprigionano mannequin voluttuose, Pandore contemporanee.
Luigi Borbone e il bondage tricotico

 

“Se non ti lego scapperai? Non lo so. E’ meglio che mi leghi. Legami!”. Le modelle sembrano reinterpretare il genio di Pedro Almodovar. Estasi del bondage. Le legature creano morsi e collari, fino a generare bustini come quello indossato dall’attrice Valeria Flore. Costante armonia. Il latex viene sostituito da elementi naturali. Le corde sono realizzate attraverso veri capelli, proprio a voler ribadire l’ambiguità e l’emancipazione della donna. Nessuna violenza. Totale libertà di espressione.

La sfilata di Luigi Borbone esplicita una verità folgorante quanto inquietante. Il turbamento colpisce il pubblico. Gli abiti si fanno portavoce di messaggi, inducono a pensare. Lo spettacolo è diventato troppo pericoloso.Clicca qui per vedere le foto del backstage della sfilata

Raggiungiamo lo stilista ed il suo staff nel backstage, prima che lo spirito della censura invada l’Hotel Westin Excelsior di Roma, location dell’evento Heart & Fashion. Antonio Ciaramella, curatore dell’immagine della sfilata di Luigi Borbone è intento a liberare Valeria Flore dalle tricotiche legature. Riusciamo a scambiare due chiacchiere con lui.

Haute Couture e Bondage. Come mai questa contaminazione?
E’ una contaminazione che si sposa benissimo. Il bondage è giocato sulle linee architettoniche, in quanto la costrizione del corpo è studiata e costruita. La moda, a sua volta, è strettamente influenzata dall’architettura. Luigi Borbone ne è l’esempio. Nasce come architetto e trasporta il metodo, l’attitudine progettuale, la volontà di analisi nelle proprie creazioni.
Quella del bondage è un’arte orientale ed in quanto tale nasce con armonie perfetti. Si ha una sublimazione del corpo nelle forme.
Il bondage viene praticato sopratutto negli ambienti borghesi, quelli stessi ambiente dove è più facile trovare vestiti di alta moda. Non è un giochetto erotico per tutti, ma una vera è propria arte sofisticata nella quale assume un’importanza fondamentale il gusto erotico dell’immobilizzazione della persona. Soffri, ma allo stesso tempo godi e chi ti è davanti gode nel sapere questo. Si opera a livello mentale, molte volte l’atto sessuale in senso stretto è assente.

  C’è una tecnica particolare per realizzare queste installazioni tricotiche?
Dipende se il bondage viene fatto direttamente sul corpo o sui vestiti.
In queste installazione abbiamo dato molto importanza al gusto ornamentale. L’obiettivo era quello di  non sovrastare il vestito, che rimane il protagonista della sfilata, piuttosto di esaltarlo attraverso un valore aggiunto. La maschera è uno degli elementi che riesce in maggior modo a coesistere con l’abito, senza intaccarlo, a differenza del bustino che in questa sfilata appare sotto alcuni capispalla.

Il bustino è un elemento molto forte che spesso crea disagio alla modella. Si lavora direttamente sul corpo attraverso l’assemblaggio di ciocche di capelli. Il corpo viene avvolto e stretto dallo stomaco in su. La respirazione è alterata. La costruzione delinea una nuova silhouette caratterizzata dall’enfatizzazione del punto vita e del seno schiacciato.
Si entra nel mondo del mistero, del fascino. Le ciocche vere danno la sensazione di essere avvolti e stretti da un materiale vivo.

Quanto è stata fondamentale la ricerca per lo sviluppo di questo progetto?
La ricerca c’è sempre. Prendi suggestioni e contaminazione dalla realtà, da fatti che producono in te meccanismi e pensieri.
L’idea è nata a seguito del gioco erotico mortale avvenuto a Roma nel periodo di settembre. Dopo una prima fase di ricerca e sperimentazione su manichini abbiamo realizzato, insieme a Romina Toscano e Marco D’Amico, The Crying Game, un servizio nel quale l’elemento bondage è predominante. Non c’è nulla di dissacrante o che manchi di rispetto alle persone che hanno vissuto quella esperienza.

E’ stato un avvenimento che mi ha fatto pensare moltissimo. Da qui l’idea di trasportare il bondage in un contesto beauty. Ho contattato il presidente italiano di bondage con l’intento di ricevere alcune lezioni private di nodistica. Alla fine della conversazione, purtroppo, ho dovuto svelare la mia identità causando paradossalmente entusiasmo nel presidente, desideroso di collaborare.
Avevo appena capito che l’idea piaceva e l’argomento poteva stuzzicare i più. Ho deciso di agire da autodidatta, utilizzando tutorial online e le conoscenze di mio padre, marinaio.

Qual è stata la reazione del pubblico?
Chi è abituato all’estro creativo, chi sa leggere i messaggi apprezza sempre le sperimentazioni. The Crying Game, ad esempio, è un servizio che nasce a Roma, ma che ha avuto molto successo all’estero.

Il bondage è molto più presente nella vita reale di quanto si pensa: c’è chi fa auto-bondage con il botulino e chi, come me, che lo fa con i capelli sul corpo. Quando un’opera ti toglie la fantasia e aliena le sinestesie dei sensi non è più opera d’arte.