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Etica ed Ecologia: binomio vincente del nuovo fashion system

Negli ultimi anni il sistema moda, anche se con un maggior ritardo rispetto agli altri settori dell’industria e del commercio, ha manifestato un interesse crescente per i valori etici nelle loro varie accezioni a partire dalla sostenibilità ambientale, dalla valorizzazione e rintracciabilità del contenuto biografico di un oggetto o capo di abbigliamento, dal tipo di lavorazione o tintura da applicare all’articolo, dal made di provenienza, dalla cura per il trattamento dei tessuti e dall’uso di fibre naturali.

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Cos’è dunque la moda eco-sostenibile? Si può parlare davvero di etica della moda? Sono questi gli interrogativi che sempre più frequentemente richiamano l’attenzione dei media, puntando il dito sopratutto verso i produttori della moda e le loro filiere, nonché prestando ascolto ai consumatori e all’ambiente. Innanzitutto un prodotto può definirsi ecologico quando è ottenuto da fibre naturali ed è lavorato rispettando i criteri ambientali. Per meritarsi l’appellativo di “ecologico” un prodotto dovrebbe essere anche “etico”. Nella manifattura dei prodotti tessili biologici, quindi oltre a rispettare i diritti dei lavoratori lungo tutta la filiera produttiva si dovranno usare pratiche, tecniche e tecnologie, che consentono una riduzione dell’uso di prodotti chimici, acqua ed energia.

Del segmento eco-fashion non fanno parte solo i marchi con un’offerta di prodotto interamente dedicata alla moda eco-sostenibile, ma anche quelle realtà che offrono una singola linea o solo alcuni capi eco. I modelli di business presenti sul mercato oggi sono differenti. Si passa dalle conglomerate del lusso ai marchi designer, dallo specialista di categoria del bridge al mass market retailer. Davanti a questa eterogeneità la domanda da porsi è quali sono i requisiti minimi per poter parlare di moda eco-sostenibile? Ad oggi sembra che l’unico mezzo a disposizione delle aziende per dichiarare la propria sostenibilità è la certificazione volontaria.

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Dati forniti dall’ICEA ( Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale) dimostrano come la certificazione biologica di un prodotto tessile si basa principalmente sulla verifica di alcuni aspetti, quali la composizione del materiale, ovvero ogni prodotto deve essere conforme ad almeno una definizione quale biologico, ossia fatto con più del 95% di fibre naturali certificate da agricoltura biologica. Il restante 5% può essere rappresentato da altre fibre naturali o sintetiche/artificiali. Oppure fatto con x % di fibre biologiche, dove il 70% devono essere naturali e certificate da agricoltura biologica, e il restante 30% può essere composto da altre fibre naturali non certificate, o da fibre sintetiche.  Altro aspetto è la tracciabilità, si deve cioè garantire l’applicazione di procedure operative per la gestione della reperibilità lungo tutte le fasi del processo produttivo delle materie prime da agricoltura biologica, dei semi lavorati e dei prodotti finiti. La sicurezza dei prodotti tessili Bio riguarda invece il fatto che essi non devono contenere o rilasciare sostanze pericolose come i metalli pesanti o altre sostanze cancerogene o tossiche per la produzione. Inoltre riduzione dell’impatto ambientale e rispetto dei diritti dei lavoratori lungo tutta la filiera produttiva sono altri aspetti fondamentali.

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La moda oggi non è solo una moda estetica è anche una moda etica, che si pone questioni valoriali profonde relative alla tutela del consumatore pur essendo innovativa ed aperta all’uso delle tecnologie di ultima generazione. L’uso di queste nuove tecnologie induce spesso le leadership aziendali del sistema moda a riflettere su questioni etiche rilevanti che hanno a che fare con la sostenibilità ambientale e la tutela del consumatore. La moda etica, che oramai da tempo si è fatta strada nelle filiere produttive delle aziende, che aderiscono ad una produzione sempre più eco-sostenibile dell’abbigliamento, pone continuamente questioni cruciali per le aziende, sulla valutazione e il controllo della filiera produttiva, nonché sulla rintracciabilità dei percorsi compiuti da un prodotto o da un capo di abbigliamento, che richiama inevitabilmente la responsabilità sociale dell’impresa.

Fra etica, estetica e innovazione possiamo dire di non essere più in un’epoca di cambiamenti ma nel cambiamento di un’epoca. Oggi il nuovo paradigma è la sostenibilità portata nella moda, dove il pubblico diventa sempre più un consum-attore informato e attento alle proprie scelte sempre alla ricerca di nuove aziende trasparenti e di abiti che raccontino storie sul rispetto per l’ambiente e per le persone. Lontano da ideologismi ecologici ed operazioni di greenwashing si può e di deve trovare un nuovo equilibrio tra etica ed estetica come ha sottolineato lo stesso Elio Fiorucci, icona creativa del made in Italy. “La moda è bellezza, è estetica – commenta lo stilista – e per guidare la creatività verso ciò che è più giusto la strategia che funziona meglio è guardarsi dentro, ascoltare il cuore e la passione. Attingere all’etica che è dentro ognuno di noi”.

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Sulla scia della passione per il connubio fra moda ed ecologia percorre questa strada anche Livia Giuggioli Firth, fondatrice insieme alla giornalista britannica Lucy Siegle di Green Carpet Challenge, che unisce glamour ed etica facendo indossare alle celebrities del cinema abiti sostenibili creati da importanti firme come Giorgio Armani, Chanel, Alberta Ferretti, Tom Ford, Gucci, Stella McCartney, Lanvin, Valentino, Roger Vivier, Yves Saint Laurent ed Ermenegildo Zegna. “La moda sostenibile è già una realtà – sottolinea la Firth – ho indossato sul red carpet dei Golden Globes un bellissimo abito creato da Giorgio Armani con un tessuto ricavato da bottiglie riciclate. […] Per i designer avere a che fare con nuovi materiali come i tessuti ecologici, è come per un bambino trovarsi in un negozio di giocattoli e avere nuove, inaspettate possibilità creative. E a volte insieme ai designer e ai produttori di moda, è stata una piacevole scoperta verificare che le filiere erano già sostenibili, mancava solo la consapevolezza”.

Livia Firth indossa un abito ecologico Giorgio Armani, realizzato secondo i criteri della sostenibilità.
Livia Firth indossa un abito ecologico Giorgio Armani, realizzato secondo i criteri della sostenibilità.mancava solo la consapevolezza”.  

Nell’affrontare i criteri di sostenibilità del fashion system la Camera Nazionale della Moda Italiana ha promosso l’iniziativa del Manifesto della sostenibilità per la moda italiana con l’obiettivo di tracciare una via italiana alla moda responsabile e sostenibile, oltre a favorire l’adozione di modelli di gestione responsabile lungo tutta la catena del valore. L’iniziativa approvata dalla CNMI è rivolta alle imprese associate, ma anche alle altre realtà partecipanti con il loro know-how all’eccellenza dei prodotti italiani nel mondo. Il Manifesto interpreta le sfide globali della sostenibilità definendo azioni concrete e distintive per le imprese italiane. Esso si propone come strumento in grado di guidare le imprese italiane a cogliere le opportunità offerte da una maggiore attenzione posta agli aspetti ambientali e al contempo assistere le imprese a gestire al meglio i rischi di reputazione e quelli operativi.

Il Manifesto, che si sviluppa in 10 punti parte dalle prime fasi della catena del valore e giunge a principi orizzontali. Si parte dal design, con il principio di realizzare prodotti di qualità che possano durare a lungo e minimizzino gli impatti sugli ecosistemi, poi vi è la scelta delle materie prime, dei materiali e tessuti che siano ad alto valore ambientale e sociale. La lavorazione delle materie prime e la loro produzione deve invece ridurre gli impatti ambientali e sociali delle attività riconoscendo il contributo di ognuno al valore del prodotto. Nella distribuzione, marketing e vendita sono inclusi i criteri di sostenibilità lungo tutto il percorso del proprio prodotto verso il cliente. I sistemi di gestione devono impegnarsi verso il miglioramento continuo delle prestazioni aziendali. Altro punto del Manifesto è la moda e sistema paese dove la prerogativa è quella di sostenere il territorio e il Made in Italy. L’etica d’impresa integra invece i valori universali nel proprio marchio, e la trasparenza comunica agli stakeholder in modo trasparente il proprio impegno per la sostenibilità. L’educazione promuove l’etica e la sostenibilità presso i consumatori e gli altri interlocutori. L’ultimo punto del Manifesto della moda riguarda l’applicazione del programma e quindi l’adozione di tutte i principi insiti in esso.

It's Ethical Fashion Show "Bring Africa to Rome" catwalk collection S/S 2014 fashion show as part of AltaRoma
It’s Ethical Fashion Show “Bring Africa to Rome” catwalk collection S/S 2014 fashion show as part of AltaRoma

La CNMI si impegna a sviluppare tale programma attraverso sfilate, fiere, eventi di settore e piattaforme web. “Senza una visione non può esserci la concretezza del fare ogni giorno” – afferma Anna Zegnavicepresidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, che sottolinea l’importanza dei fattori ambientali e sociali per immaginare un futuro migliore e un ulteriore sviluppo del Made in Italy. Dunque  moda etica significa realizzare collezioni utilizzando materiali riciclati, sostenere campagne pubblicitarie, che incitano il riutilizzo degli abiti o accessori non più di moda, verificare se il prodotto è stato realizzato evitando lo sfruttamento minorile e verificare la reperibilità del contenuto biografico attraverso l’etichetta.

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A Tivoli “Riciclare è un’arte” con il progetto targato Road to green 2020

Ad ottobre la sostenibilità ambientale entra tra i banchi di scuola a Tivoli grazie ai laboratori ludico-didattici di Riciclare è un’arte. Il progetto, realizzato da Road to green 2020 in collaborazione con il Comune di Tivoli, e ASA Tivoli SpA, e finanziato nell’ambito dell’avviso pubblico della Regione Lazio “Comunità Solidali 2020”, vuole spiegare a bambini e ragazzi in modo semplice e divertente concetti come riciclo, recupero ed economia circolare. Sono in molti a ritenere che l’economia circolare debba essere il modello di sviluppo del futuro, per ridurre il consumo e l’impatto ambientale degli agglomerati urbani e salvaguardare le risorse naturali. Avvicinare le generazioni più giovani a questi concetti, fare in modo che si sentano confidenti con questi paradigmi, è il modo migliore per garantire una transizione ecologica in grado di rivoluzionare il sistema economico in ottica green.

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Molte le attività in programma, con lezioni tenute da esperti di vari aspetti del ciclo della sostenibilità, come Barbara Molinario, presidente Road to green 2020, che spiegherà come comunicare la sostenibilità, evitando di incappare in fake news, Francesco Girardi, Amministratore Unico di ASA Tivoli SpA, che parlerà di smaltimento dei RAEE, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, Irene Timperi, storica dell’arte specializzata nel riuso creativo, che terrà i laboratori artistici, Veronica Timperi, giornalista professionista e da sempre sensibile alle tematiche connesse alla sostenibilità, Roberto Cavallo, noto divulgatore ambientale e ideatore delle “maratone di plogging per sensibilizzare contro il littering, Francesco Sicilia, Direttore Generale di Unirima, esperto nel riciclo della carta che spiegherà il valore del recupero di questa materia prima, e Irene Timperi, storica dell’arte e artigiana green, che mostrerà come far diventare belli e utili oggetti che avremmo gettato via. Al progetto è associato anche un libretto interattivo multimediale ed inclusivo, nel quale sono raccolti gli interventi degli esperti. Tra le pagine ci sono anche dei QR code che, inquadrati con smartphone e tablet, danno accesso a dei video di approfondimenti tenuti dai vari relatori coinvolti. E, poiché la sostenibilità deve essere accessibile a tutti, al di là delle disabilità, sono stati realizzati anche dei video nella lingua dei segni, pensati per le persone non udenti.

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Ringraziamo il Comune di Tivoli, che ancora una volta ha accolto con entusiasmo i nostri progetti di promozione della sostenibilità. – commenta  Molinario – Ridurre i rifiuti, imparare a dare nuova vita a quelli che pensavamo fossero materie di scarto può davvero cambiare il volto delle nostre città e garantire un domani migliore. I bambini ed i ragazzi imparano con estrema facilità se vengono loro forniti i giusti strumenti e informazioni adeguate. Vogliono essere inclusi in questo processo di cambiamento che determinerà il loro futuro. Con Riciclare è un’arte noi stiamo cercando di costruire per loro una cassetta degli attrezzi green, consegnandogliela insieme ad un dettagliato libretto di istruzioni”.

Fracomina presenta la collezione eco-friendly Seed The Future

Basta poco per fare la differenza nel mondo e un brand come Fracomina lo sa bene, dato che per la sua nuova collezione Primavera/Estate 2015 ha scelto di lanciare un progetto eco-friendly a portata di tutti.
“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento è adesso”. È con questa citazione di Confucio che il marchio italiano scende in campo presentando Seed The Future, una capsule collection molto particolare in cui saranno inclusi ben sette mila capi d’abbigliamento recanti un cartellino pieno di semi piantabili. Un gesto semplice che arriva direttamente al cuore dei clienti che potranno in questo modo fare la loro parte per rendere il mondo più verde. Seed The Future, dunque, non è una semplice linea d’abbigliamento ma un modo diverso di guardare al futuro, un modo diverso di fare azienda e di pensare perché solo così si potrà rendere la terra più vivibile per tutti trasformandola attraverso piccole azioni.

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Collezione P/E 2015 © Fracomina

Risolvere l’impatto ambientale non è una cosa facile e Fracomina lo sa bene ma allo stesso tempo sa che come azienda può fare la vera differenza dagli altri scenari di mercato che, senza scrupoli, si ostinano ad inquinare e rendere meno pulito il mondo in cui viviamo. Il brand, essendo un’azienda industriale conscia del proprio ruolo in questo delicato sistema, ha perciò deciso di coinvolgere fin da subito le consumatrici. I sette mila capi della collezione Seed The Future hanno “un cartellino che si semina” realizzato in carta naturale e ogni cliente, dopo averlo acquistato, potrà scegliere liberamente se contribuire a contrastare l’effetto serra e il cambiamento climatico andando a piantare il proprio seme. Ogni albero che verrà piantato sarà poi immediatamente registrato tramite la geo-referenziazione, fotografato e ricreato su una mappa all’interno della pagina ufficiale del marchio.

Fracomina Seed The Future PE 2015 Brand
Collezione P/E 2015 © Fracomina

In questo modo Fracomina spera di poter così incrementare l’assorbimento di CO2 e partecipare alla tutela della biodiversità nonché alla lotta alla desertificazione e all’erosione. Ma non solo: le popolazioni locali e le cooperative di agricoltori riceveranno un bonus per ogni albero piantato andando dunque effettivamente a guadagnarci dal punto di vista economico, senza dimenticare le clienti stesse del brand che potranno fare la loro parte in questo progetto green godendo allo stesso tempo dello stile dei capi d’abbigliamento firmati Fracomina, caratterizzati però purtroppo da un impatto ambientale non indifferente per via dei loro processi di lavorazione e produzione. La collezione Primavera/Estate 2015 Seed The Future risulta, poi, ancora più concreta se si considera che una pianta in un anno può assorbire 10 kg di anidride carbonica e migliorare in questo modo l’attuale compensazione ecologica, perché come spiega il brand: “un mondo più verde è un mondo più pulito”.

Bio Couture: la collezione Eco Fast Dress di Igam Ussaro

Ecology is the new black dress da quando la moda eco-sostenibile è diventata il nuovo volto nelle passerelle. E questo è anche il pensiero di Igam Ussaro, giovane stilista da sempre promotore di una moda sostenibile, che ha messo in gioco la propria creatività per realizzare una collezione di abbigliamento ecologico chiamata Eco Fast Dress.

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Giacca realizzata in fibre biologiche

La nuova collezione biologica di abbigliamento di Igam Ussaro è davvero sorprendente, in quanto realizzata attraverso materiali recuperati e assemblati con la termosaldatura. Questa tecnica, che nasce nel 1995, oltre ad essere originale è molto funzionale perché permette attraverso l’imballaggio dei diversi tessuti termoplastici di non avere cuciture e tagli oltre a ridurre notevolmente i costi di produzione e a velocizzare il processo di confezionamento.

Tutto ciò è reso possibile dal riciclo di articoli termoplastici post consumo, e ora anche da biopolimeri vergini biodegradabili al 100%, che attraverso un trattamento termico si trasformano in tulle, tessuti a rete, tessuti non tessuti lavorati e opportunamente nobilitati, ossia con una serie di processi vengono aggiunte stampe, decorazioni, vellutazioni o altro per renderli adeguatamente fashion, dando così nuova vita ad oggetti che si trasformano in indumenti del tutto nuovi grazie ad estro e fantasia stilistica.

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Il sistema brevettato con cui realizza i capi prevede la termoformatura per modellare gli abiti, così da non richiedere neanche il taglio, per poi procedere con la termosaldatura che esclude l’uso di ago e filo. I vantaggi nell’uso di questa tecnica sono molteplici come quello di apportare un’ondata di freschezza nell’industria dell’abbigliamento migliorando le qualità funzionali degli abiti insieme ad un loro sviluppo più fantasioso, a ciò si aggiunge la velocità nel realizzare questo tipo di abbigliamento e la notevole riduzione dei costi lasciando così grande spazio alla progettazione stilistica.

La collezione Eco Fast Dress di Igam Ussaro è davvero completa da ogni punto di vista, per soddisfare tutte le esigenze. Abiti e accessori per il tempo libero come cappelli, sciarpe, borse e cinture e gli immancabili abiti da grand soirée e da sposa. Infatti ogni occasione può essere speciale se resa unica da ciò che indossiamo se si tratta di capi ed accessori realizzati ad hoc e rispettosi dell’ambiente. Come lo sgargiante impermeabile per le stagioni uggiose dalle ottime proprietà anti-pioggia e anti vento resistenti agli agenti inquinanti e tossici.

Bikini "Legami" realizzato in film di polimero riciclato termosadato
Bikini “Legami” realizzato in film di polimero riciclato termosadato

In occasione dell’estate sarà facile lasciarsi tentare dall’indossare l’innovativo eco bikini “Legami”, un eco-trendy fashion friendly costume due pezzi tascabile, taglia unica, realizzato in film di polimero riciclato e saldato tra i due strati igienici con certificazione alimentare. Peculiarità? Asciugatura lampo una volta usciti dall’acqua. Il bikini è in vendita a solo 10 euro su Mina Boutique, dove è possibile trovare anche gli altri capi e gli accessori firmati Ussaro.

Come spiega lo stesso stilista “il metodo è pertanto particolarmente adatto per produrre abbigliamento ecologico ed economico su vasta scala e per largo e generale consumo. Questi aspetti danno valore aggiunto al progetto nel suo insieme e conferiscono al prodotto finale un’entità eco amica e democratica, anticipando le tendenze emergenti di un mercato globale, sempre più sensibile alle tematiche ambientali”.  

Capi realizzati in pelle vegetale
Capi realizzati in pelle vegetale

Grande attenzione viene data non solo al prodotto ma anche al packaging. Tutto infatti viene realizzato con cura ed attenzione dall’inizio della produzione sino alla confezione finale. Ogni capo viene confezionato inserendolo in tascabili buste sottovuoto in grado di esaltarne le qualità del prodotto e la performance d’utilizzo da parte del consumatore. Questa procedura infatti rispetta perfettamente la filosofia del marchio andando a completare l’immagine di questo nuovo modo di vestire creato per soddisfare le istanze di un consumo sempre più consapevole. Il fashion ecofriendly è dunque entrato a pieni voti nel sistema moda ed è sempre di più, oltre che richiesto, all’insegna del bio e delle nanotecnologie.

Burberry goes green: sarà toxic free entro il 2020

titlepic_story_fullL’educazione a una coscienza green e al rispetto e alla salvaguardia dell’ambiente passa anche e soprattutto attraverso l’esempio. Per questo, la scelta di Burberry, brand britannico del lusso, di eliminare le sostanze chimiche pericolose dai suoi prodotti è emblematica del percorso intrapreso dall’azienda di moda e del periodo che stiamo vivendo, in cui è importante dare segnali forti ai consumatori e ai propri fan.

Un impegno serio, preso con Greenpeace, ma soprattutto dopo due settimane di pressione sui social media da parte dei consumatori. Ora Burberry si è pubblicamente impegnata ad eliminare tutte le sostanze chimiche pericolose, prima dall’abbigliamento e poi dal resto dei propri prodotti, entro il primo gennaio 2020. Ma già a tra qualche mese l’azienda inizierà a rendere note le informazioni sulle sostanze chimiche contenute negli scarichi in acqua dei suoi fornitori nel mondo ed entro il primo luglio 2016 eliminerà tutti composti perflorurati e polifluorurati dalla sua filiera, sostanze usate per impermeabilizzare i tessuti.

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Una mossa giusta e consapevole, sulla scia dell‘esempio dato da Valentino già un anno fa, che non può fare altro che aumentare la reputazione di questo marchio.

“L’impegno di Burberry dovrebbe dare la sveglia a tutti marchi dell’alta moda – commenta provocatoriamente Chiara Campione, responsabile del progetto “The Fashion Duel” di Greenpeace Italia – Con la Settimana della Moda di Milano ormai alle porte ci chiediamo cosa aspettano marchi come Gucci, Versace e Louis Vuitton a passare dalla parte di coloro che stanno lavorando per garantire a noi e ai nostri figli un futuro libero da sostanze tossiche”.

Ecco le scarpe a km 0!

scarpeverdi2--400x300Le scarpe sono per antonomasia il simbolo del mettersi in moto, del camminare, del fare tanti chilometri a piedi… ma se vi dicessimo che da oggi esistono quelle a km 0? No, non nel senso che non diventano vissute man mano che le si usa, ma proprio che vengono prodotte utilizzando solo materie prime provenienti dall’Italia, con tecniche che rispettano l’ambiente e un unico obiettivo: ridare nuovo impulso all’occupazione locale.

Un progetto ambizioso, lanciato da Carrera Footwear in collaborazione con Coop, da sempre attenta a queste tematiche green: proporre sul mercato calzature totalmente Made in Italy, dall’impiego della materie prime alla produzione in loco a basso impatto ambientale e con un prezzo – nonostante tutto – competitivo: diversi modelli, dalle polacchine alle scarpe da ginnastica, dai 39 ai 54 euro. Si punta tutto sui piccoli laboratori artigiani della Campania e della Puglia, gli unici rimasti nel comparto calzaturificio dopo il tracollo dei distretti del Nord-Est e delle Marche, per rilanciare anche l’occupazione nel Mezzogiorno, ma non solo: per ogni paio di scarpe vendute, verrà devoluto a Legambiente il 2% sul prezzo di vendita che Carrera fa a Coop in occasione della Festa dell’Albero in programma il 21 novembre, che prevede la partecipazione di 2.500 classi e 50mila alunni in tutta Italia per la piantumazione di nuovi alberi.

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“Si parla molto di km 0 in agricoltura, ma oggi con questa bella iniziativa promossa da Carrera e Coop, insieme a CittadinanzAttiva, Adoc e Legambiente, il ‘modello kmzero’ arriva anche nel settore calzaturiero – commenta Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera – Un progetto importante, che mette in campo un’alleanza tra aziende, distribuzione, associazioni, cittadini e consumatori per un Made in Italy rafforzato, per un’Italia che affronta la crisi scommettendo su qualità, bellezza, ambiente, legame con i territori, coesione sociale e green economy. Un progetto, insomma, di un’Italia che fa l’Italia e che punta sulle cose che la rendono unica per rilanciare la nostra economia e guardare con più fiducia al futuro”.

The Vegetable fibres: il sughero diventa tessuto

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Nel settore dell’eco-sostenibilità non solo la plastica è il materiale più riciclato ed utilizzato per la realizzazione di abiti. Una fibra vegetale, che ultimamente ha avuto molto successo nel campo della moda, è il sughero. Che esso, grazie alle sue caratteristiche avesse un elevata elasticità ed impermeabilità a liquidi e gas lo sanno tutti, ma non tutti forse sanno che ciò avviene in quanto le cellule del tessuto del sughero sono piene d’aria e quindi scarsamente permeabili all’acqua.

La storia del sughero, che diventa materiale per la realizzazione dei capi, ha inizio come una fiaba nel 1998.

“Suberis”, appellativo con cui è stato ribattezzato il materiale, dal nome latino della quercia da sughero, non è nato nel centro ricerche di una grande azienda, ma in cucina, frutto dell’intelligenza e dell’intuizione tutta al femminile di Anna Grindi. Amante sin da piccola di aghi, stoffe e fili, questi strumenti sono diventati col tempo i suoi principali mezzi di lavoro per cucire nel suo atelier a Tempio Pausania abiti da sposa. La quercia da sughero, che è una pianta caratteristica delle regioni Mediterranee, cresce proprio in quelle zone ed ha sempre attratto la sua attenzione tanto da riuscire ad utilizzare nei suoi lavori di sartoria il materiale ecologico, dopo aver trasformato la fibra vegetale da fogli rigidi delle cortecce in tessuto da sogno. Il risultato della lavorazione del sughero è infatti “una nuova pelle”, chiamata “the vegetable skin”

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Dopo anni di collaborazioni con le più grandi maison di moda, Anna Grindi, è riuscita a brevettare sempre meglio il modo di lavorare questo antico materiale della tradizione sarda, rendendolo elemento attivo delle sue idee di moda. Dai preziosi capi di abbigliamento, impreziositi da pregiati ricami, agli  accessori come scarpe e borse, fino ad arrivare ad elaborazioni di complementi d’arredo eleganti e di pratico utilizzo in casa.

Tessuto non tessuto, Suberis trasforma in realtà il sogno di creare attraverso ciò, che Madre Natura ha già creato, senza inquinare l’ambiente e danneggiarlo. Leggero e vellutato, sprigiona voluttuose sensazioni tattili risvegliando profonde emozioni, che riconducono alla terra. Materiale cento per cento naturale, è antibatterico e antiallergico, nonché pratico, lavabile in lavatrice e a prova di ferro da stiro.

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Composto da un foglio di sughero dello spessore di qualche millimetro, Suberis è incollato su supporti naturali come cotone, seta, canapa, pelle ed altro. Per produrlo non occorre abbattere le querce da cui deriva, che possono vivere per più di 300 anni, ma gli alberi vengono decorticati e la corteccia può essere di nuovo colta nove anni più tardi.

In tutte le varie fasi della lavorazione vengono usati materiali e procedimenti del tutto naturali. Della parte nobile della corteccia la signora del sughero estrae foglie di morbido e pregiato materiale, che attraverso la sua tecnica innovativa e segreta nei suoi laboratori di Tempio Pausania, nel cuore della Gallura, lavora fino a realizzare rulli di tessuto, che si presentano in rotoli di 140 centimetri d’altezza, disponibili anche come “filati”, ideali per la realizzazione di tappeti su telaio, considerata questa una soluzione eccellente per ogni tipo di produzione di capi di vestiario, che va dalla lavorazione industriale a quella a mano.

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Leggero come la seta e morbido come il suede, questo prezioso tessuto dalle mille proprietà, come quella di essere antimacchia, antigraffio, impermeabile, termoisolante e praticamente indistruttibile, lo rende oggetto di culto e creatività per molti stilisti, che possono realizzarci una miriade di oggetti.

Vestiti, borse e accessori, ma non solo. Questo innovativo materiale viene usato anche nell’arredamento d’interni per abitazioni, nel rivestimento di sedie, poltrone, tendaggi e lampade; nelle automobili per i rivestimenti interni e la selleria, ed è immancabile nel settore nautico. Queste sono solo alcune delle principali applicazioni di Suberis, che ha caratteristiche spesso superiori ad altre materie, naturali e sintetiche.

Per quanto riguarda i colori il sughero mantiene i toni naturali del giallo ocra e dell’écru con sfumature date proprio dall’imballaggio dei differenti lembi di corteccia, o viene tinto con toni caldi e colori naturali per ottenere nuances di grigio antracite e nero. Il rosso mattone, dal tono unico, richiama alla mente i mortai fenici nei quali i murici pestati davano vita al color porpora, trasferendo a questi capi un effetto cromatico naturale e vissuto.

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Suberis, oltre a rispondere al desiderio di ecologia, risulta anche molto più resistente ed elastico delle pelli animali, coniugando insieme l’utilizzo di materiali alternativi con un design di spiccata tendenza e praticità nella vita quotidiana. Il connubio tra creatività, virtù e glamour dei prodotti, che si realizzano con questo tessuto così versatile ha un alto valore aggiunto, facendo del sughero l’essenza principale della nuova moda. Grazie anche ai numerosi vantaggi derivanti dai brevetti, che Anna Grindi ha presentato in ogni parte del globo, si è potuto dare maggiore credibilità al prodotto da parte dei clienti, offrendo anche una maggiore considerazione alla società nel contesto di richiesta di finanziamenti statali, europei o regionali.

Moda organica per Gucci: le borse diventano ecologiche

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L’ambiente in primo piano sulle passerelle. Dopo la Climate Revolution di Vivienne Westwood, il messaggio contro la caccia agli orsi polari di Stella McCartney e la Fashion Duel di Greenpeace, anche Gucci ha lanciato sfida per una moda più ecologica. La maison fiorentina ha ben compreso, che l’eco-sostenibilità non è una tendenza moda, ma un vero e proprio impegno sociale che richiama l’attenzione di molti consumatori responsabili. Dal 2010 il brand ha avviato un programma per ridurre progressivamente l’impatto ambientale delle proprie produzioni ottenendo la certificazione ambientale Iso 14001. Da allora il suo impegno come “sostenitore di lusso dell’ambiente” non si è mai fermato.

Dopo la collaborazione con il Green Carpet Challenge, fondato da Livia Firth e la National Wildlife Federation, in cui si è data vita alla prima linea di 3 borse a deforestazione zero, chiamata “Gucci Green Carpet Challenge” certificate dalla Rainforest Alliance, dove sono stati applicati nuovi standard di certificazione nel campo dell’ecologia e della tracciabilità dei pellami, monitorando così tutta la filiera produttiva, che va dall’allevamento dell’animale sino alla concia della pelle assicurando con un passaporto, che accompagna ciascuna borsa, che non venga intaccato in nessun modo l’ecosistema della foresta Amazzonica, Gucci ha intrapreso la strada dell’organico.

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La maison fiorentina, grazie al grande successo dei suoi prodotti di pelletteria, ha infatti annunciato di aver sviluppato una nuova metodologia la quale consente di ridurre al minimo l’impatto ambientale della conciatura. L’innovativo processo a cui si è giunti dopo vari mesi di studio si basa sull’uso di un agente conciante di origine organica, il quale permette alle pelli conciate e alle acque di scarico delle concerie di essere prive, alla fine del processo, di materiali pesanti. Il primo prodotto firmato Gucci ad essere realizzato con questo processo sarà la borsa Bamboo, disponibile in versione metal free nei negozi della celebre maison a partire dal prossimo novembre 2013. In corso ci sono altre sperimentazioni affinché il processo venga esteso anche ad altri pellami storici del brand da poterli così inserire nelle prossime collezioni.

Questa nuova tecnologia va oltre il concetto di conciatura priva di cromo, in quanto permette di eliminare i materiali pesanti  e allo stesso tempo di mantenere alti i livelli di qualità. Molti sono i benefici a livello ambientale che questa metodologia apporta. Innanzitutto l’assenza di metalli nell’agente conciante consente anche di migliorare la qualità delle acque reflue prodotte dalla conciatura, nonché un considerevole risparmio di acqua nel processo stesso.

Gucci risulta essere il primo marchio nel settore del lusso ad aver intrapreso, coerentemente con l’approccio sostenibile al business,  la strada della concia metal free. Questa importante innovazione entrata in casa Gucci e sviluppata in stretta collaborazione con una conceria della filiera della maison, testimonia la forza del brand e l’efficacia di un’integrazione verticale. Innovazione e sostenibilità coniugate con termini come qualità, rispetto della tradizione ed ecologia offrono nuove opportunità, che il settore del lusso dovrebbe far proprie affinché si realizzi una produzione più ecosostenibile in tutto il campo della moda. I nuovi metodi di produzione ecologica sono stati sviluppati in collaborazione con Blutonic, una conceria toscana controllata da Gucci al 51% e già suo fornitore storico di pelli, già certificata secondo lo standard internazionale ambientale Iso 14001. Questa nuova metodologa è perfettamente in linea con gli obiettivi di sostenibilità fissati dal gruppo Kering, di cui lo stesso Gucci fa parte, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità fissati dal gruppo stesso per il 2016 per i propri marchi appartenenti sia al settore del lusso sia a quelli dello sport e del lifestyle.

“Oggi più che mai i consumatori preferiscono essere associati a marchi attenti e responsabili. Attraverso le nostre attività umanitarie, filantropiche ed ecosostenibili vogliamo che Gucci non sia solo sinonimo del Made in Italy, ma anche del Made with Integrity”.

E’ così che Frida Giannini, direttore creativo di Gucci, spiega la causa ambientalista sposata dal marchio italiano. Una dedizione per l’ambiente diventata una vera e propria sfida, che ha introdotto nel suo portfolio di iniziative un vasto programma eco-friendly raggiungendo risultati importanti. Uno dei vari progetti in cui la maison Gucci si è impegnata è stato quello del sostegno della campagna internazionale contro il sandblasting, ovvero la tecnica usata per dare ai jeans l’effetto di scoloritura attraverso un trattamento chimico altamente nocivo, che provoca la morte per silicosi per migliaia di operai.

Occhiali Gucci in Liquid Wood
Occhiali Gucci in Liquid Wood

Tra gli altri prodotti eco-friendly, che sono stati sviluppati, troviamo una linea di occhiali ecologici realizzati con materiale acetato, che contiene elementi naturali, un sandalo biodegradabile e un ultimo modello di occhiali da sole realizzati in Liquid Wood, materiale anch’esso biodegradabile.

Oltre ai prodotti a basso impatto il brand in collaborazione con Safilo ha realizzato un nuovo packaging eco-friendly creato con carta certificata FSC ( Forest Stewardship Council ) e riciclabile al 100% utilizzato anche per tutte le collezioni eyewear. Per questa stagione l’impegno di Gucci prosegue anche con una linea di innovative sneakers a basso impatto ambientale, caratterizzate da una suola in bio-plastica, composto degradabile utilizzato al posto della plastica tradizionale, rispetto alla quale subisce un processo di decomposizione più breve senza rilascio di rifiuti.

Convinto sostenitore della necessità di una efficace compenetrazione tra moda e sostenibilità, il marchio della doppia G ha abbracciato l’importanza del valore della sostenibilità nella strategia d’azienda, evidenziando ciò anche attraverso il nuovo logo dedicato alle attività volte al sostentamento sociale e ambientale, dove una delle due G, la prima, è di colore verde. La parola Responsability ai piedi del logo testimonia un’identità e i valori, che fanno parte del DNA dell’azienda, che da sempre si distingue per la forza con cui porta avanti le proprie politiche sociali.

 

 

 

 

 

 

Earthkeepers on the water: i guardiani della Terra scovati da Timberland

72b2Earthkeepers suona un po’ come guardiani della Terra, quelle persone che amano il pianeta, le meraviglie che offre e con il loro stile di vita cercano di salvaguardare le risorse in via d’esaurimento che ha. Gli earthkeepers sono dovunque e sulle loro tracce si è messa Timberland, il brand di abbigliamento sportivo, che per quest’anno lancia la seconda edizione di ‘Earthkeepers on the water. Storie di gente fuori.’, una campagna che prevede un uso massiccio dei social network per coinvolgere gli italiani in fantastiche storie di natura, ambiente e amore per la vita.

Per tutto il mese di maggio, infatti, i due reporter on the road già protagonisti della prima edizione Martina Giammaria e Federico Ciamei, percorreranno lo Stivale alla ricerca di uomini e donne Earthkeepers, ovvero persone dall’animo green, che hanno fatto del rispetto per l’ambiente e la natura il loro principio di vita. Sedici storie, quattro a settimana, racconteranno di esistenze ‘fuori': dal comune, ma anche che amano vivere fuori, all’aperto, riciclando, rispettando il verde e scegliendo fonti di energia alternative. Saranno poi pubblicate sui principali social network tramite una gallery fotografica, accompagnata da una descrizione che tratterà di tematiche diverse tra loro, ma tutte accomunate dall’acqua, bene prezioso in esaurimento, e dal fil rouge del verde, in tutte le sue sfumature.

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Le prime quattro storie del mese sono già state pubblicate e condivise sul sito www.earthkeepers.it: non perdete l’occasione di leggerle e viverle e di partecipare ai concorsi ‘Un mare di foto’, sul social Instagram, che consiste alle foto migliori di entrare a far parte di una mostra fotografica nei Timberland Store, e ‘Metti un piede in Timberland’, che invita tutti i clienti del brand a entrare in un negozio, provare un paio di scarpe della linea Earthkeepers e postarla sui social network per provare a vincere un weekend all’Isola d’Elba.

Nasce il jeans in plastica riciclata: la rivoluzione si chiama Levi’s

I jeans da oltre un secolo rappresentano il capo basic dell’abbigliamento informale tanto da essere diventato l’elemento principale di un vero e proprio “stile jeans”, che si è progressivamente esteso ai principali capi d’abbigliamento. Un indumento universale e socialmente indifferenziato, un classico del vestire contemporaneo, che si oppone con la sua stabilità alle continue variazioni della moda.

Il jeans per antonomasia è il mitico Levi’s, la cui nascita risale convenzionalmente al 14 Marzo 1853 precisamente quando Morris Levi Strauss arrivò a San Francisco dove decise di produrre in serie pantaloni molto resistenti per i cercatori d’oro. Il boom del mercato dei jeans da quel momento in poi, tanto da diventare un fashion brand che ha fatto la storia della moda internazionale, ha avuto ben tre fasi di espansione, da abbigliamento resistente e funzionale per i cercatori d’oro si è poi esteso a tutte le categorie di lavoratori manuali del West, poi a partire dal 1930 si è allargato a tutti gli statunitensi come divisa per il tempo libero, e infine si è diffuso in Europa e nel resto del mondo. E’ proprio in questi anni, che la Levi’s ha cominciato a fare pubblicità sulla rivista di moda già famosa all’epoca, Vogue, e a distribuire i suoi prodotti nei negozi più importanti di New York.

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L’innovazione introdotta da Morris Levi Strauss apportò non poche novità nel mondo della moda negli anni ’60/’70, a partire dai valori democratici che jeans esprimeva, da abbigliamento prettamente maschile come era alle origini, sono diventati uno strumento in grado di favorire l’eguaglianza tra i sessi. Dopo tanti anni di successi l’azienda, la quale aveva prodotto i suoi primi pantaloni chiamati overall con della semplice tela da tenda color cachi, rivoluziona la produzione dell’amato jeans lanciando una collezione eco sostenibile nel rispetto dell’ambiente, ma pur sempre fashion. Come altri fashion brand attenti all’ambiente e che sposano la causa di Greenpeace per una moda, che sostiene il nostro ecosistema, e non lo distrugge disboscando intere foreste o inquinando le acque del pianeta con i rifiuti tossici della filiera produttiva, Levi’s ha inserito nella sua produzione pantaloni e giacche eco friendly, ovvero realizzate con materiale di riciclo. Grazie alla plastica riciclata delle bottiglie recuperate la Levi’s ha creato per la primavera-estate 2013 la sua prima collezione di jeans a impatto zero chiamati “Waste<Less” che significa meno spreco. Ogni paio di jeans viene prodotto utilizzando materiale plastico derivante da impianti di riciclaggio con una percentuale del 20%.  

I nuovi jeans nati dalla plastica
I nuovi jeans nati dalla plastica

Le bottiglie di plastica, colorate, trasparenti arrivano dagli Stati Uniti, e sono state raccolte attraverso i programmi di riciclaggio comunali previsti negli USA. Le bottiglie e le vaschette sono state ordinate in base al colore, schiacciate e trasformate in plastica riciclata, il Pet, che viene poi lavorata e convertita, grazie ad un apposito processo in fibra di poliestere, più precisamente polietilene tereftalato, che successivamente viene tessuta insieme al cotone nelle trame dei jeans dando così vita ad un prodotto ecologico. La plastica riciclata concorre quindi a produrre i famosi classici Levi’s 501 fino ai modelli slim e straight leg.

Per ogni paio di jeans realizzati sono necessarie almeno 8 bottiglie da mezzo litro per un totale complessivo di ben oltre 3 milioni e mezzo di bottiglie riciclate che danno vita all’intera linea spring/summer. I denim sono disponibili sia per uomo che per donna, e rappresentano il prossimo capitolo nel costante impegno della società  per una progettazione più sostenibile. A caratterizzare il colore dei diversi capi, dalle giacche ai denim, sono proprio le bottiglie stesse. “Con l’aggiunta di valore ai rifiuti, speriamo di cambiare il modo di guardare al riciclaggio, e in ultima analisi di incentivare a praticarlo di più”. Questo è quello che ha dichiarato James Curleigh, presidente globale del marchio Levi’s aggiungendo che “questa collezione dimostra che non c’è bisogno di sacrificare la qualità, la comodità o lo stile per dare luogo ad un nuovo inizio […] “. Il presidente del marchio afferma anche “con questa collezione stiamo facendo la nostra piccola parte, prendendo rifiuti e facendo qualcosa di nuovo con essi […]  Questo non vuole solo ridurre il nostro impatto sull’ambiente, vogliamo lasciare il mondo meglio di come l’abbiamo trovato” .

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L’azienda Levi’s non è neofita a questo genere di iniziative. Già nel 2008 aveva deciso di vietare l’utilizzo di cotone proveniente dall’Uzbekistan in ognuna delle proprie filiere produttive, evitando in questo modo di attingere per l’uso delle materie prime, alla zona del mondo maggiormente sfruttata per quanto riguarda la produzione del cotone. Nel 2009 ha introdotto “A Care Tag for you Planet”, un’iniziativa per educare i consumatori a lavare i vestiti con un minor impatto ambientale, incoraggiando anche a donare i propri jeans una volta utilizzati piuttosto che gettarli. A questa grande iniziativa ha avuto seguito una nuova tecnica chiamata WaterLess, per ridurre l’uso dell’acqua fino al 96% nella produzione dei jeans.

La collezione WastLess è già in vendita nei migliori negozi e sicuramente riscuoterà un grande successo, anche perché negli ultimi anni i consumatori sono molto più attenti a quello che indossano, e sono più sensibili sui temi che riguardano la salvaguardia dell’ambiente, questo grazie anche ai diversi movimenti di attivisti ecologici, che mettono il cittadino di fronte ai gravi danni che subisce il pianeta ogni giorno. E’ grazie anche alla raccolta differenziata, alle campagne di sensibilizzazione sull’ambiente, sul riciclo e sull’ecologia, che la persona è sempre più consapevole delle sua azioni, scoprendo quale può essere il suo piccolo intervento per aiutare il pianeta a non spegnersi.

 

 

 

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