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Glamorous conversation with Cristina Lucchini

I capelli raccolti, lo sguardo attento ma impenetrabile, la sigaretta tra le dita. Una vita speziata, condita con  il sale del talento e il pepe della curiosità. Una lavoro fatto di bellezza, come lei stessa ci racconta. È Cristina Lucchini, Direttore di Glamour Italia, la testata glamorous del gruppo Condé Nast. Il debutto nel giornalismo, la passione per la scrittura (non solo fashion), l’attenzione alla cultura e alla professionalità. Ingredienti vincenti per una ricetta di successo che nella moda, per diventare appetibile, deve essere assolutamente personalizzata. Perché per cucinare un giornale e presentarlo a tavola bisogna essere bravi chef. Quell’aspetto rilassato da fare invidia a Stachanov, nonostante i numerosi impegni professionali, e quel “Piacere, Cristina!”, che ti spiazza e schiaffeggia con eleganza il “presunzion-giornalismo”. E ti fa capire che l’umiltà è dei grandi.

Cristina Lucchini. Photo Glamour.it
Cristina Lucchini. Photo Glamour.it

Come è iniziata la sua carriera nel giornalismo di moda?

«È iniziata per caso, mi ero appena laureata in Filosofia, specializzazione in Psicologia. Il mio sogno era fare la psicologa adolescenziale o ancor meglio la criminologa. Avevo fatto degli stage in situazioni borderline tra cui il Carcere minorile di Milano e una comunità di recupero per tossicodipendenti. Mi ero molto appassionata. La verità però è che avevo 23 anni e volevo lavorare ed essere indipendente. Mi avevano offerto una cattedra all’Università come ricercatrice ma non sarei stata autonoma dalla mia famiglia. L’altra grande passione era la scrittura. Ho inviato il curriculum a tre o quattro case editrici ma non avevo come focus la moda. Per me giornalismo significava scrivere. La fortuna è stata quella di essere stata chiamata in Condé Nast e in quel periodo la specializzazione moda era più diffusa, quindi ho iniziato sia scrivere che a seguire i servizi fotografici (che per chi debutta e fa l’assistente moda vuol dire stirare, stirare, stirare, fare il borsone e alzarsi all’alba). Ho iniziato a “L’Uomo Vogue” nel 1987 pensando a cosa fare da grande. Sono passati ventotto anni»(sorride)

Crimini stilistici e giornalistici. Barocco e Rococò, ampollosità. Come si è evoluta la comunicazione di moda ai tempi di Instagram?

«Credo che il discorso fondamentale nella comunicazione di moda, e che non va mai perso di vista, sia la competenza. E la cosa vale per il giornalismo, il blog, lo stesso stilista su Instagram, il cliente finale che ha milioni di followers, l’icona, la hit girl. Prima di parlare di moda devi conoscerla, devi studiare, devi conoscere i tessuti, devi sapere tutto ciò di cui parli. La comunicazione di moda, sia su carta stampata che digitale, senza competenza si riduce ad aria fritta. E questo mi ha sempre dato molto fastidio. Perchè la moda è un settore serio, è una realtà che dà lavoro a tantissime persone e solo chi ci vive dentro conosce la fatica, l’impegno, l’entusiasmo, lo sforzo di tutti i professionisti. Oggi sembra che il giornalismo di moda non sia più di moda, che ci siano altre forme. Quello che penso è che le forme possono anche mutare ma non deve cambiare la sostanza che è fatta di cultura, competenza e anche un po’ di umiltà. Perché da parte di chi racconta la moda c’è sempre un po’ la presunzione di saperne di più di chi l’ha fatta. Ecco, inviterei tutti prima a studiare e poi a commentare».

Cristina Lucchini. Photo Glamour.it
Cristina Lucchini. Photo Glamour.it

Il ritorno di Valentino a Roma. Per alcuni influenti giornalisti di moda si è trattato di una “toccata e fuga” per altri di un esempio di civiltà. Cosa ne pensa?

«La sfilata Valentino Couture è stata meravigliosa e ancora più entusiasmante, forse, è stata la mostra diffusa che hanno creato attorno in ambienti solitamente chiusi al pubblico. Una sorta di caccia al tesoro. Toccata e fuga? Si tratta di un omaggio alla città di Roma, poi torneranno a sfilare a Parigi dalla prossima stagione. C’è ancora per fortuna la libertà di scegliere e non sta ai giornalisti criticare. E’ una dichiarazione d’amore da parte di Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, due persone molto preparate e molto colte, per una città in cui vivono, lavorano e creano. E’ stato un esempio, non so se definirlo di civilità, ma un’operazione molto intelligente e utile per l’immagine italiana nei confronti degli stranieri presenti perché si tratta di far conoscere le eccellenze nostrane agli ospiti internazionali. Quindi ringraziamo».

Valentino, come altri marchi simbolo del made in Italy nel mondo, è stato acquistato da proprietà estere. Il fenomeno è molto diffuso e in crescita. Cosa resta di italiano?

«Il talento. Oggi non è più possibile parlare di autarchia considerando il mercato globale e il modo di pensare internazionale. Quello che resta di italiano, in questo caso parliamo di Valentino, sono la creatività e la sensibilità. Un certo tipo di moda e di vestiti sarebbero diversi se a crearli fosse uno stilista di un’altra nazionalità. Il fatto che la proprietà non sia più italiana e che Maria Grazia e Pierpaolo siano messi nelle migliori condizioni di lavoro lo vediamo dai risultati. L’intelligenza della proprietà è quella di dare tutte le possibilità e il sostegno allo sviluppo di un talento e ad una capacità di savoir faire italiani. Così come per le maestranze che, in particolare dell’alta moda, sono tutte italiane. Un po’ come in passato quando c’era la grande guerra ai tessuti stranieri. In un mondo globale se lo stilista per creare e dare forma alla sua idea, al suo sogno, utilizza un tessuto fatto in Francia, in India, in Cina, non vedo perché non debba essere possibile. Il made in Italy è sicuramente sinonimo di qualità ma non può essere l’unico parametro con cui giudicare la qualità di una collezione».

Che poi deve essere vendibile…

«In tutto il mondo, in questo momento,il mercato italiano è forse quello che dà meno soddisfazioni. Però, sempre parlando di Valentino, il fatturato è in crescita costante. E ciò dà la misura di quanto il percorso intrapreso sia positivo».

Grazie per aver condiviso con con noi il suo punto di vista. Un’ultima domanda. Chi è Cristina Lucchini quando non è il Direttore di Glamour Italia?

«Una persona assolutamente normale, anche quando è Direttore di Glamour Italia. Appassionata della vita e molto grata alla vita di aver avuto per caso la possibilità di entrare in un mondo pieno di bellezza e anche molto faticoso. Che molti giudicano come futile. Ma c’è tanto, tanto lavoro dietro. Certo, non stiamo salvando l’umanità, non siamo la Croce Rossa, non facciamo operazioni a cuore aperto. E di questo sono consapevole ed è il motivo per cui dico sempre che bisogna lavorare molto professionalmente ma non prendersi troppo sul serio. E pensare che siamo comunque dei privilegiati. Di sicuro (sorride) sono quella che in assoluto lavora di più fra tutte le mie amiche e fa meno vacanze. Non ci sono orari. Non divido Cristina Lucchini fuori dal ruolo di Direttore e dentro il giornale anche perché l’80% del mio tempo lo passo in redazione. La cosa che lega idealmente la mia vita privata al lavoro è la passione per la cucina. Il mio passatempo è cucinare e invitare amici a cena. Così come per fare un giornale: gli ingredienti sono gli stessi per tutti, cambia come li scegli e come li presenti»