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“Attraverso i nostri occhi”, al Salone del Libro di Torino la fotografia è un gioco da ragazzi

Raccontare dall’interno il campo profughi costruito sull’isola di Samos, in Grecia: questo è l’intento del progetto fotografico “Attraverso i nostri occhi”, che sarà presentato il 12 maggio alle 16.30 a Torino, in occasione del Salone Internazionale del Libro.

Prenderanno parte all’evento Nicolò Govoni, co-fondatore dell’ONG Still I Rise e autore del libro Bianco Come Dio, e Nicoletta Novara, insegnante di fotografia ideatrice del progetto. Introducono Bruno Mellano, Garante delle Persone sottoposte a Misure Restrittive della Libertà Personale, e Rita Turino, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Piemonte.

Dietro l’obiettivo della macchina fotografica, forse per la prima volta, non ci sono giornalisti o fotoreporter, ma i ragazzi e le ragazze che nell’hotspot vivono da mesi. I giovani fotografi sono studenti e studentesse di Mazí, la scuola aperta dalla ONG Still I Rise per offrire ai minori rifugiati un’occasione unica di educazione alla resilienza, attraverso l’attività didattica e la formazione psicosociale.

A partire dal mese di dicembre 2018, gli studenti hanno partecipato al laboratorio di Fotografia di Mazí, condotto da Nicoletta Novara e articolato in 7 moduli: storia della Fotografia, ritratto, movimento, utilizzo della luce, bianco e nero, street photography ed editing.

Al termine dei moduli formativi, ogni studente ha ricevuto una Kodak usa e getta a colori, con il compito di raccontare la propria vita al di fuori della scuola. Il risultato finale è una mostra di circa 200 scatti a colori, stampati in formato 10×15, frutto della personale rielaborazione degli studenti dei concetti di fotografia appresi durante il corso.

“Attraverso i nostri occhi” svela così, in modo intimo e disarmante, le difficoltà che i ragazzi e le ragazze dagli 11 ai 18 anni si trovano a dover fronteggiare ogni giorno nel campo profughi di Samos. Le immagini mostrano la spazzatura che si erge a cumuli, attorno a container allagati dalle piogge. Imprimono sulla carta stanze squallide, danneggiate e sporche, che i ragazzi cercano di abbellire anche solo con qualche luce colorata.

Courtesy of Press Office
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Portano alla luce la popolazione felina del campo e la speranza che possa contrastare i ratti, che affollano l’area in cui vivono – ammassate – migliaia di persone.

Mostrano i bagni comuni e la loro indecenza. Raccontano le proteste della popolazione rifugiata nei confronti della gestione del campo. Fotografano il cibo che viene servito nel campo e le interminabili ore di coda necessarie per ritirarlo. Mostrano le donne in paziente attesa d’una visita medica, talvolta anche per quattordici ore.

Eppure, gli studenti hanno consegnato anche fotografie di speranza. Scatti che narrano di un mare bellissimo, delle colline e degli alberi sull’isola di Samos e che raccontano l’entusiasmo nella scoperta dell’Europa e della nostra cultura.

Courtesy of Press Office
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«L’hotspot di Samos sembra lavorare sul filo sottile dell’annientamento umano, piuttosto che sul fronte dell’accoglienza. I nostri studenti combattono ogni giorno una battaglia personale di resistenza contro un sistema che non li percepisce come esseri umani in una condizione di fragilità quanto piuttosto come una entità scomoda e non degna di far parte della società civile», spiega Nicoletta Novara.

«A Mazí abbiamo usato la fotografia per restituire loro la prima persona singolare. Non volevamo che qualcun altro parlasse per loro, ma abbiamo cercato di comprendere meglio – attraverso i loro occhi – la condizione di rifugiato. I nostri studenti ci hanno sorpreso e stupito con le fotografie realizzate facendoci capire quanto sia dura la loro quotidianità, ma anche il fatto che non abbiano perso la capacità di riconoscere la bellezza».

Courtesy of Press Office
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“Attraverso i nostri occhi” è una raccolta di istantanee di vita vera, di giornate, di code, di tramonti, di sogni, di lotte e di incontri, di scontri e di speranze. Una mostra che diventa il modo più concreto e tangibile per posare lo sguardo su una realtà, che deve per forza – quanto prima – uscire dall’oscurità.

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