Oltre il cerchio del circo

…And the Circus Leaves Town

The magical mystery tour is coming to take you away,
coming to take you away.
The magical mystery tour is dying to take you away,
dying to take you away, take you today.

The Beatles, Magical Mystery Tour (1967)

“Vi domando scusa, dolcissime creature: non avevo capito,
non sapevo. Come è giusto accettarvi, amarvi, e come è semplice.
Luisa, mi sento come liberato. Tutto mi sembra buono, tutto ha un
Senso, tutto è vero… Ah, come vorrei sapermi spiegare!
Ma non so dire.”

Guido in 8½ (Federico Fellini, 1963)


È un circo differente, quello di Dino Frittoli. Lontano dai cliché tra carnascialesco e amarcord, dal facile sentimentalismo e dall’intimismo kitsch. Discende dritto filato, invece, dall’ultima scena di 8½, quella in cui il bambino suonando il flauto porta via con sé tutti i personaggi veri-finzionali del film, che poi sono tutti i ricordi del protagonista-regista, tutte le sfumature della sua vita.

Anche in Oltre il cerchio del circo, la vita è al centro degli scatti, dei movimenti, dei pedinamenti. Dino Frittoli ha passato dieci giorni insieme alla compagnia (un’enorme famiglia, in realtà) del Circo Embell Riva. Sono i personaggi che hanno popolato tutti i nostri sogni e i nostri incubi di bambini, quando il tendone arrivava in paese durante l’inverno, e It di Stephen King era appena uscito. Solo che mentre noi ci facevamo accompagnare da papà a stordirci con i clown e i saltimbanchi e gli animali, il bambino-che-avrebbe-fatto-il-fotografo attraversava a piedi tutta Putignano fino ai confini estremi del paese (non avevamo forse ancora sentito, in quegli anni, il termine ‘periferia’: ma era la periferia), lontano dalle vie conosciute e familiari, per scoprire come funzionasse la magia del circo.

La medesima curiosità lo ha guidato anche nell’aprile di quest’anno, spingendolo ad attraversare lo spettro che collega la produzione di immagini spettacolari e commerciali alla produzione artistica. Dino infatti – come molti fotografi – proviene dal mondo della moda. Ha a che fare cioè abitualmente, per il suo lavoro, con modelle, parrucchieri, truccatori. Con il mondo della riproduzione. Niente di strano, dunque, che in piena crisi economica del secolo abbia deciso di ricercare la realtà: nella fattispecie, la vita che sta dietro lo spettacolo e che lo fa muovere. Il “dietro le quinte”.

In due giorni, dopo aver contattato il circo, era già lì che fotografava. Dalle 7 di mattina alle 3 di notte. Condividendo i pranzi, le conversazioni, la preoccupazione del tempo che farà il giovedì, giorno fisso di debutto. Pioverà? Sarà bello? La preparazione, il mestiere, la serietà, la fatica. Uno pensa che il circo sia per definizione il posto della gente che vuole sbarcare il lunario. Niente di più sbagliato. È uno degli ambienti più professionali (e più elitari, più chiusi) in assoluto: i clown, per esempio, vengono dalla scuola russa, una delle più rinomate al mondo. È gente che non s’improvvisa.

Questo microcosmo ha un fulcro: è il bambino ritratto nel cerchio-hula hoop, il figlio del proprietario del circo. Effettivamente, mentre scattava Dino ha cominciato a considerare con preoccupazione questo piccolino che correva tutti i rischi a cui un bambino del mondo “fuori” non verrebbe con ogni probabilità mai esposto. E lui che cosa risponde al fotografo impiccione? “Io non vado mai oltre il cerchio”. Il circo è un universo autosufficiente, con le sue regole e la sua umanità. Eppure, non sembra scollegata dalla società circostante. Guardando queste fotografie, viene in mente quanto effettivamente ci stiano raccontando, in una maniera segreta e misteriosa, della vita esterna, della realtà lì fuori. È come uno specchio che cattura le trasformazioni collettive e le rifrazioni dell’immaginario.

Osservando con Dino Frittoli il backstage dello spettacolo per noi più antico, stiamo di fatto osservando, molto probabilmente, ciò che avviene dietro il velo dello Spettacolo più grande che regola le nostre esistenze e la nostra posizione nel mondo. Il clown concentrato che suona contemporaneamente due trombe davanti all’obiettivo, mentre nella tenda si svolge lo show vero e proprio, si sta allenando per la sua performance. È fuori dalla tenda degli applausi e della tensione, ma presto ci entrerà. E la giovanissima trapezista (anche lei, in bilico all’interno di un cerchio), nell’unica immagine catturata durante la rappresentazione, si prepara a quello che avverrà nella foto successiva della sequenza: il salto terribile ed epico di un’ombra nel buio. Dallo spazio della tenda a quello di una realtà nebulosa. E quando di domenica tutti – dal proprietario ai grandi artisti – avranno smontato ogni singolo pezzo della scena, e il circo avrà lasciato la cittadina, rimarrà solo uno spiazzo di erba nuda e cemento, orlato di crude palazzine anni Sessanta.

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