La Borsa Valori: fashion statement o moda passeggera?

To list or not to list : questo sembra essere l’amletico dubbio che affligge ultimamente le grandi griffe. La quotazione rappresenta, infatti, l’ultimo trend condiviso da grandi e piccoli marchi di moda, croce e delizia per i big del lusso che, in prospettiva delle nuove e variegate possibilità offerte dai mercati emergenti, quali Cina, Brasile, India e Russia, cercano uno strumento per rafforzare la propria struttura patrimoniale.

Ultimo in ordine di tempo Graff, brand inglese di gioielli, detentore di un patrimonio societario stimato intorno ai 5 miliardi di dollari, che secondo il Women’s Wear Dialy, avrebbe presentato la documentazione necessaria per il listing presso la Borsa di Hong Kong, la stessa strategia adottata da Prada nell’estate del 2011, che assieme al gruppo Ferragamo a Piazza Affari, aveva infiammato il panorama azionario internazionale, registrando entrambi un incremento del 10% dopo pochi giorni dalla quotazione. La situazione non si è affatto congelata durante la rigida stagione invernale, dato l’esordio a Wall Street durante il mese di Dicembre di Michael Kors , che aveva chiuso la prima giornata di trattative a 944 milioni di dollari (circa 20 dollari ad azione), attestandosi poi su una media di 27 dollari, in crescita, quindi, rispetto al prezzo di presentazione. Altri possibili inseguitori in questa corsa al listing, i piumini di Moncler (la cui quotazione è stata già più volte  rinviata), il cashmere di Cucinelli e il denim di Diesel: il patron Renzo Rosso ha infatti manifestato pubblicamente la possibilità di un eventuale esordio in Borsa.

E a ragion veduta, visti i risultati dei primi nove mesi del 2011 delle aziende italiane che hanno scelto la strada della quotazione, secondo un analisi Pambianco, società di consulenza e analisi del sistema moda ( disponibile il resoconto per intero su www.pambianconews.com ). Svetta al primo posto, per ricavi e redditività, Bottega Veneta, con un +31,7%, seguita da Ferragamo (+27,6%) e Prada (24,9%): nel complesso, il campione delle dodici aziende prese in analisi per il periodo gennaio-settembre 2011,  ha attestato i ricavi a 14,183 miliardi, con un incremento dell’ 11,1% rispetto al 2010. Riassumendo: i grandi marchi italiani accumulano utili, vendendo soprattutto nei paesi emergenti, caratterizzati da una crescita stimata del 7,4%  rispetto ad un più modesto 1,6% per i paesi dell’Ocse.

Per chi fa il suo ingresso con il botto, c’è chi lascia senza troppi rimpianti: è il caso del Gruppo Benetton, che ha annunciato per i prossimi mesi di marzo e aprile, un offerta pubblica d’acquisto totalitaria, passo necessario per ritirare tutte le azioni presenti sul mercato e salutare così Piazza Affari dopo 25 anni di attività. Un duro colpo per la famiglia Benetton, che per prima, assieme a Della Valle aveva scommesso sulla quotazione come strumento di liquidità, e che si è ritrovata nel giro degli ultimi anni con calo degli utili netti di circa 70 milioni di euro solo nel 2010: il delisting risulta, così, una scelta obbligata per contenere i danni, semplificare la gestione dell’azienda e concentrare le operazioni in settori molto più redditizi, quali autostrade, autogrill e stazioni.

L’esperienza negativa dei fratelli di Ponzano Veneto, non sembra però impensierire gli analisti che credono fermamente nel

Le dieci aziende più quotabili secondo Pambianco

potenziale della Borsa valori: ne è un esempio un’indagine sulla quotabilità condotta sempre da Pambianco, che mostra quali siano le aziende italiane che, per caratteristiche tecniche e oggettive, avrebbero i numeri per tentare questa strategia nell’arco dei prossimi 3-5 anni. Ironia del caso, tra il marchio Dolce&Gabbana (al primo posto) ed il gruppo Calzedonia e Diesel (rispettivamente terzo e quarto posto) spicca Emporio Armani: di certo non sembra possa essere una strategia perseguibile da Re Giorgio, vista la sua dura critica nei confronti dei gruppi che avevano scelto la strada della quotazione (uno su tutti: Prada), rea di sottrarre potere decisionale allo stilista, lasciando una maison alla mercè delle banche.

Nel bene o nel male, la quotazione in Borsa resta uno strumento valido, al pari di altre strategie di espansione: agli imprenditori il compito di saperlo utilizzare al meglio.

Che la corsa al listing abbia inizio.

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