Hacktivisti: eroi in versione 2.0

Ogni epoca ha il suo eroe. Nel 1200 vi era un noto arciere, tale Robin Hood, che si aggirava per la foresta di Sherwood, gabbando le forze dell’ordine (lo sceriffo di Nottingham) e gli uomini al potere (il Principe Giovanni), per rubare ai ricchi quel che spettava ai poveri. Nel 1400 in Francia, una giovane donna, tale Giovanna D’Arco, guidò vittoriosamente le armate francesi contro quelle inglesi, per risollevare le sorti del Paese. In soldoni, tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci difenda dai malvagi e dagli usurpatori e ci faccia sentire protetti.

E oggi, che tutto corre così veloce? Che il cattivo è ovunque, anche più vicino di quel che si pensi? Che tutto si svolge in questo grande e infinito spazio chiamato Internet, senza confini, forma e misura? Chi ci difenderà?

Li chiamano hacktivisti e sono gli eroi di questa realtà 2.0. Una definizione che deriva da hacker e attivisti, ovvero coloro che portano avanti cause sociali e non, a colpi di click. Niente calzamaglia o arco per loro, dategli un computer e un mouse e vi salveranno il mondo. A metà tra il nerd e lo smanettone, gli hacktivisti sono dei veri e propri tecnoribelli che contando sulla forza e sull’onda d’urto del web, danno il via a rivolte online e ad azioni di disobbedienza civile, tutto in nome della giustizia. Organizzano netstrike (scioperi), violano barriere e codici informatici, introducendosi nei file delle aziende (cybersquatting) e fanno volantinaggio attraverso le mailing list (mailbombing). Questo è l’attivismo del Terzo Millennio.

I loro obiettivi? Attaccare le multinazionali monopoliste, far cadere i governi corrotti, denunciare qualsiasi forma di censura e di abuso dei diritti civili. Tutto, prendendo le distanze dai cracker, che invece non sono altro che coloro che eludono i sistemi di sicurezza per guadagnarci, rivendendo password e software dopo averli craccati.

Il motto del collettivo Anonymous, la congregazione degli hacktivisti.

In principio fu George Hotz, noto come GeoHot o Million75. A soli 22 anni, è riuscito a violare i sistemi di sicurezza di Apple e della Playstation 3, rilasciando in Rete i codici segreti. Tutto questo perché i vertici della Sony avevano promesso di rendere open-source il sistema operativo, supportando Linux, cosa che non hanno mai fatto. Il risultato di questa (all’apparenza) malefatta, è valso a Hotz – nell’ordine – una convocazione in tribunale, la nomea di eroe e un supercontratto con Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook. Dici niente.

George Hotz, il primo hacktivista della Storia.

Dopo di lui, Ryan Cleary, arrestato da Scotland Yard, in quanto ritenuto il capo della società segreta LulzSec, il cui principale obiettivo è hackerare le multinazionali dell’entertainment; Reda Cherqaoui, colpevole di aver trovato una falla in Facebook; e anche un italiano, Raoul Chiesa, che oggi è finito a occuparsi di cybercrime per l’Onu. E questi sono solo alcuni degli hacktivisti nel mondo, una congregazione di hacker buoni che si nascondono dietro l’anonimato per poter proseguire il loro lavoro.

Ovviamente, ai grandi della Terra questi giochini non piacciono. E si sono già attivati per neutralizzare questa banda di ‘criminali del Web’. Dalla Nato fino ai magazine più conservatori, si sono dati un gran daffare per organizzare convegni e conferenze sulla Code War, ovvero la guerra digitale. Obiettivo: unire le forze per combattere l’eccesso di trasparenza, soprattutto dei dati sensibili (Wikileaks vi dice nulla?). C’è chi addirittura dipinge i nostri Robin Hood 2.0 come pericolosi terroristi che possono provocare stragi solo stando dall’altra parte dello schermo del pc. Scenari apocalittici che non spaventano i nostri hacktivisti, che anzi replicano: “La cosa che vi spaventa di più è aver realizzato la vostra debolezza. Ciò che vi terrorizza non è un collettivo di hacktivisti, ma il fatto che i progressi tecnologici abbiano reso superflui voi e tutto quello che rappresentate”.

Coraggiosi, strafottenti e sprezzanti del pericolo. Come si addice ai veri eroi.

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