Diaz. Quel sangue mai pulito


SOUNDTRACK – Angel – Massive Attack

Ci sono film di cui si conosce già il finale e in cui di suspense e di effetti speciali se ne può fare anche a meno. Così come ci sono film che, pur basandosi su fatti passati, riescono a tirare fuori sentimenti sempre più attuali, a riaprire ferite mai del tutto rimarginate e a far pensare ad un mondo che, tecnologie a parte, in undici anni non sembra essersi evoluto poi tanto.

Era il 21 luglio del 2001. Genova congedava finalmente il suo G8, tra cittadini esausti, manifestanti e giornalisti pronti alla partenza, treni sovraffollati e zero posti letto per chi ancora non aveva potuto timbrare il biglietto di ritorno. Una città che viveva le sue ultime ore di tumulto, dopo tre infinite giornate fatte di urla, cori, sirene, ambiguità e sangue, quello di Carlo Giuliani, morto il giorno prima nei pressi della stazione Brignole.

Destini incrociati, anime diverse con un unico sconosciuto appuntamento. Luca, giornalista della Gazzetta di Bologna, Alma, anarchica tedesca collaboratrice del Social Forum, Nick, manager giunto a Genova per seguire un seminario sull’economia sociale, e Anselmo, anziano militante della CGIL, sono solo alcuni dei nomi che Daniele Vicari, regista da sempre vicino al genere socio-politico, ha inventato per non cancellare dalla memoria nazionale scomode realtà, organizzate per giustificare le decisioni dei potenti.

Alle ore 22, il IV Reparto Mobile della Polizia di Stato faceva irruzione all’interno dell’Armando Diaz. Una bottiglia di birra, lanciata
su una delle camionette qualche ora prima, innescava di fatto quella bomba di violenza che avrebbe fatto tremare le pareti della scuola occupata, adibita a dormitorio. Novantatre arresti, 61 feriti di cui 3 in prognosi riservata e uno in coma. Centoventicinque esponenti delle forze dell’ordine imputati e un’unica definizione da parte di Amnesty International, “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale”.

Colpi che non chiedono chi sei, quale mestiere tu faccia o quanti anni tu abbia. Uomini contro uomini, comandati da ordini superiori e da credenze soggettive. “È lì che si rifugiano i black bloc”.

Immagini di regia e immagini d’archivio che fanno di Diaz – Don’t clean up this blood l’ennesimo film tra il documentario e il romanzo corale, l’ennesima pellicola per riflettere e indignarsi, l’ennesimo pretesto per accendere inutili bagarre di routine tra destra e sinistra. Ma anche l’ennesima prova che l’informazione non è mai fine a se stessa, che i fatti devono aspettare anni per essere raccontati nella loro, seppur parziale, verità e che la democrazia è un concetto ancora troppo difficile da comprendere per l’essere umano.

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