Tutti gli articoli di Jessica M. R. Franchi

Carré, bob, wavy effect: ecco gli hair trends per il prossimo inverno

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Niente più meches, beach waves, le teste baciate dal sole saranno soltanto un ricordo in questa fredda stagione. Le tendenze per l’inverno  sono all’insegna dell’architettura, quindi via libera a carré, meglio se micro, bob con frangia o senza shag, il nuovo taglio medio che impone le due ciocche laterali. Il taglio medio torna ad imporsi anche quest’anno e molte sono le star che lo scelgono proprio per la sua versatilità. Da portare in versione wavy, ondulata, o effetto bagnato raccolti in un elegante chignon in gran voga questo inverno. È il taglio del momento, potremmo dire ma in realtà il taglio medio non è proprio al suo esordio, sono ormai diverse stagioni che lo vediamo tornare e riproporsi riscuotendo sempre un enorme successo. Inoltre è un taglio che ben si adatta a tutte le forme del viso, che abbiate il faccino tondo o più allungato saprà di certo valorizzarvi.
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Tornano trionfanti sotto le luci della ribalta i capelli lunghi. Sexy, eleganti e che offrono la possibilità di realizzare innumerevoli acconciature, la moda questo inverno vuole capelli lunghissimi. Dal mezzo chignon alle trecce, al complesso hair do, architettura è la parola d’ordine per le nuove tendenze in fatto di capelli. Tante novità non solo per quanto riguarda le lunghezze, anche il colore vuole la sua parte! Da tenere a mente la regola per una scelta accurata del colore dei propri capelli: nuances calde sulle carnagioni chiare mentre per le bellezze mediterranee le sfumature aiuteranno a valorizzare l’aspetto, a dispetto del monocolore; e perché non osare con un rosso rame scuro?! Gli eccessi sono concessi! Via libera a colori forti e stravaganti soprattutto per le più giovani, arancio, rosa, viola, la scelta è ampia e personalizzabile. Gettonatissime le punte colorate, che richiedono pochi passaggi dal parrucchiere ed il successo è assicurato.

Dal salone per eccellenza giungono importanti novità. Chi meglio di Tony&Guy può dettare leggi in fatto di hairstylist. Dieci tecniche di taglio e colore avanzate è Socialized la nuova Educational Collection presentata a Rimini in occasione di Your Hair and Beauty Show. In collaborazione con L’Oréal Professionel e Wella Professionals, Socialized trae ispirazione dalle passerelle, dalla genialità di stilisti quali Marc Jacobs, Alexander Wang e molti altri ai quali il salone per eccellenza si è ispirato. Tagli corti, frange, colorazioni che toccano le nuances più disparate, dal viola elettrico al lilla, dal rosso rétro al bianco che tende al grigio. Ogni colorazione e taglio sono stati scelti in base al make up e agli outfit scelti dagli stilisti, imponendosi come veri e propri trend del momento. Corti o lunghissimi, dai colori vibranti o pacati il solo problema, per scegliere quale sarà il proprio trend in fatto di capelli, è avere l’imbarazzo della scelta. E se siete davvero così indecise un ottimo consiglio è quello di seguire quelli delle star.

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La moda aiuta il Duomo di Milano con l’iniziativa “Adotta una guglia”

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Non è per una sfilata, ma per charity che i più grandi nomi della moda hanno messo a disposizione le proprie creazioni. Si tratta di Adotta una guglia, l’iniziativa sostenuta dalla Veneranda Fabrica del Duomo di Milano, stavolta appoggiata dai più celebri stilisti. Lo scopo: valorizzare e tutelare la grande Cattedrale, una delle più grandi in stile gotiche in Italia e in Europa, patrimonio non solo italiano ma internazionale. Per poter fronteggiare gli annosi costi relativi ai restauri delle 135 guglie del Duomo, oltre che agli interventi strutturali più urgenti sul Monumento, dall’ottobre 2012 la Veneranda Fabbrica ha lanciato la campagna di raccolta fondi Adotta una Guglia. Scolpisci il tuo nome nella storia. A tale progetto ne è seguito un altro, stavolta affiancato da quel settore che distingue l’Italia a livello internazionale, da un settore che ci rende fieri di essere portatori di stile in tutto il mondo, quel settore che spesso non riceve il rispetto che merita, la moda.

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È così che la Veneranda Fabbrica, con il patrocinio della Camera Nazionale della Moda Italiana, il sostegno di Tiffany & Co. e la collaborazione di Christie’s, ha dato vita a La Moda aiuta il Duomo, un’iniziativa la cui esistenza è stata possibile grazie alla collaborazione di alcuni brand della moda italiana che generosamente hanno deciso di donare alcuni capi delle proprie collezioni. Giorgio Armani, Brunello Cucinelli, Cividini, Corneliani, Costume National, Diesel, Etro, Salvatore Ferragamo, Genny, Gucci, Isaia, Krizia, Loriblu, Martino Midali, Missoni, Moncler, Moreschi, Prada, Emilio Pucci, Roberto Cavalli, Tod’s, Trussardi, Vicini, Vivienne Westwood, Tiffany & Co., questi i marchi che hanno aderito all’iniziativa donando abiti ed accessori. La serata dedicata all’asta, tenutasi martedì 19 aprile, presso la Sala delle Colonne del Grande Museo del Duomo, nel cuore di Palazzo reale, ha avuto 200 partecipanti, coinvolgendo 39 lotti, almeno uno per ogni brand e dato l’alto numero di adesioni raccolte da La moda aiuta il Duomo, l’obiettivo è proseguito sulla piattaforma di aste online CharityStars, sulla quale è possibile acquistare abiti ed accessori, disponibili al pubblico solo attraverso la rete.

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L’impegno della moda si fa sempre più costante nel mondo dell’arte, l’arte che come la moda è estro creativo, è artigianalità, è amore per il bello e per tutto ciò che l’estetica concerne. Non è un caso che le collezioni di moda di diversi stilisti si siano ispirate nel corso degli anni alle più celebri creazioni di artisti lontani nel tempo. Eppure stagione dopo stagione il ritorno all’ispirazione artistica sembra essere il leitmotiv di svariate collezioni. Mi torna in mente la collezione Mondrian di un giovane Yves Saint Laurent, ma per non andare troppo lontano basterebbe pensare alle fusion tra Impressionismo ed arti giapponesi che spesso si riscontrano nel minimalismo di Re Giorgio. Per Rodarte, nel recente 2013, la Notte stellata di Van Gogh diviene la stampa perfetta per un elegante abito da sera, mentre Raf Simons, per gli accessori della collezione Dior, decise di stampare dei vecchi disegni di Andy Warhol, delle scarpette stilizzate multicolore dal sapore raffinato e romantico. Dunque quello di arte e moda è da sempre un binomio che funziona alla perfezione, stavolta il connubio ha un’ulteriore ragione d’esistere ancor più perché garantisce la preservazione di un monumento storico di fama internazionale, patrimonio della cultura italiana.

Un film e un paio di occhiali, per omaggiare Peggy Guggenheim

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Carismatica, eccentrica, dalla bellezza non convenzionale, stiamo parlando della donna dell’arte, parliamo di Peggy Guggenheim!

Una vita dedicata alla sua più grande passione, quella che le ha dato l’opportunità di venire a contatto con le personalità artistiche di spicco del suo tempo e che le ha fatto vivere appassionanti storie d’amore. Dopo quasi quarant’anni dalla sua morte è giunto nelle sale il docu-film che racconta la sua vita, Peggy Guggeheim:Art Addict. A dirigere tale progetto è Lisa Immordino Vreeland, moglie del nipote del mitico direttore di Vogue America, Diana Vreeland. La Immordino è l’autrice dello stesso film Diana Vreeland: The Eye has to travel, e ancora una volta sceglie una personalità di grande spessore, un’appassionata collezionista e mecenate. Punto di partenza del regista sono quegli occhiali un po’ bizzarri creati per Peggy dallo stesso Edward Melcarth, quegli occhiali ad ali di farfalla che diventeranno la sua firma e l’espressione della sua filosofia. Incipit non solo del docu-film a lei dedicato, ma anche per Safilo che vent’anni dopo aver reso omaggio all’iconico occhiale, proponendone un remake nel 1984, oggi per festeggiare l’80esimo anniversario dell’azienda, produce una nuova limited edition in acetato blu, con lenti specchiate, in tono e profili a contrasto brown.

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 «Con il docu-film Peggy Guggenheim: Art Addict raccontiamo in modo divertente la sua storia celebrando il suo talento. Indossando questo modello, rivisitato da Safilo, dei suoi iconici occhiali a farfalla, chiunque potrà entrare nel mondo di Peggy Guggenheim e nella sua storia condividendo la sua visione», afferma Lisa Immordino Vreeland, regista del film distribuito da Feltrinelli Real Cinema e Wanted. Un ritratto dell’ereditiera e collezionista d’arte è quello che il film propone, un salto nella vita caleidoscopica di una donna straordinaria che ha fatto della propria passione uno stile di vita.

«Delle varie foto della Guggenheim quelle in cui indossa gli occhiali di Melcarth sono le mie predilette perché enfatizzano la sua forza di carattere», aggiunge ancora la regista. Respirava, mangiava e viveva arte Peggy Guggenheim, che nel 1938, a soli quarant’anni apre una propria galleria d’arte, la Guggenheim Jeune. La sua carriera influenzerà profondamente l’arte dell’ultimo dopoguerra e grazie alla conoscenza di illustri artisti del tempo che la giovane Peggy avrà modo di aprirsi alle straordinarie forme artistiche che impregnavano il contesto culturale del quale faceva parte. Fu Samuel Beckett a spronarla affinché nascesse in lei un interesse per l’arte contemporanea, mentre Marcel Duchamp le insegnerà, quello che la stessa Peggy definirà “la differenza tra l’arte astratta e surrealista”.

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Per prima espose a Londra Vasily Kandinsky, mentre la sua prima mostra fu dedicata a Jean Cocteau. Colleziona opere, determinata ad “acquistarne una al giorno”, poiché il suo più grande sogno era quello di aprire un museo che includesse tutta la sua collezione. Quel sogno si avvera e nell’ottobre del 1942 inaugura la sua galleria/museo Art of This Century. «Indossai un orecchino di Tanguy e uno di Calder, per dimostrare la mia imparzialità tra l’arte surrealista e quella astratta», ricorda la Guggenheim di quella sera. Ma il carisma di Peggy non si fa attendere in Europa, dove nel ’48 acquista Palazzo Venier dei Leoni a Venezia. Qui espone le sue collezioni e dà sostegno ad artisti europei, grazie alla quale riescono a farsi strada nell’intricato mondo dell’arte. In questo splendido museo, ancora oggi è possibile ammirare la più straordinaria collezione d’arte europea ed americana del XX secolo.

Serpentiform. Bulgari omaggia il serpente con una mostra a Roma

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Tentatore che indusse Eva al peccato originale, detentore dei più alti segreti presso i Sumeri, simbolo di rinascita e rigenerazione nell’Antica Grecia e ai nostri tempi prezioso gioiello che orna il corpo; da sempre il serpente, per la sua aura di mistero ispira la creatività di artisti e designer. Serpentiform è la mostra che Bulgari ha voluto presentare, a partire dal 10 marzo, presso le antiche sale di Palazzo Braschi. Promossa da Roma Capitale Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, la rassegna, realizzata da Bulgari con il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura, è stata curata da Lucia Boscaini, Bulgari heritage curator e dal dipartimento Brand Heritage della maison.

Arte, cinema e moda mostrano 140 mutazioni di abiti, gioielli, fotografie, dipinti e molto altro. Il percorso di 450 metri disposto in sette piani offre una vera e propria esperienza sensoriale, emozioni olfattive, musica di sottofondo e pareti animate da un videomapping. «Volevamo aprirci a un pubblico più ampio, ben al di là dell’universo della gioielleria, ecco perché abbiamo inserito le nostre creazioni  in un contesto artistico più vasto», spiega l’ad della maison Jean-Christophe Babin. Figura dominante di diverse epoche, il serpente è stato spesso il leit motiv delle collezioni Bulgari, non sono nella gioielleria ma anche nelle borse e negli occhiali. Gioielli preziosi, talvolta dal valore inestimabile, desiderio di ogni donna. L’aspetto principale che la mostra ha voluto sottolineare è appunto quello sensoriale ed estetico. E così si intersecano opere antiche provenienti da Pompei o dal museo archeologico di Napoli con artisti contemporanei quali l’astrattista Paul Klee, lo scultore Alexander Calder e l’ironico Keith Haring.

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Non solo arte ma anche fotografia, non mancano gli scatti di celebri fotografi come Helmut Netwon, Richard Avedon e Robert Mappelthorpe. Un intero spazio è dedicato ai costumi di scena indossati da Elizabeth Taylor nel celebre film Cleopatra, del 1963, a sottolineare il legame che da sempre vede legato il serpente con la figura femminile, sensuale, ammaliante, tentatrice, avvolgente. Proprio per questa sua caratteristica che gli consente, dunque, di essere a pieno contatto con la terra, attraverso il ventre, la coda, i genitali e la testa, che le tribù africane lo venerano in quanto conoscitore di tutti segreti e pertanto degno di essere adorato. Nell’intero spazio espositivo, non mancano ovviamente i capolavori della collezione Bulgari Serpenti, 40 pezzi unici di alta gioielleria prodotti dal 1960 ad oggi, indossati dalle più famose celebrities e star di Hollywood. «La guerra era finita da poco e invece dell’opulenza si cercava qualcosa di sobrio e moderno. È degli anni Quaranta l’orologio Tubogas da cui tutto ha inizio, poco animalier e molto geometrico, la maglia flessibile che girava due o tre volte intorno al polso fu subito un successo, perché decorava ed era anche utile» afferma Luisa Boscaini, Bulgari heritage curator. Ha così inizio una nuova fase del lussuoso brand di gioielli che a partire da quel momento realizzerà creazioni estremamente preziose, come il collier in oro e smalti policromi o l’orologio-bracciale in oro, giada, rubini e diamanti, pezzi degli anni passati ma dal sapore moderno. Fino alle creazioni più attuali che vedono l’utilizzo di un legno durissimo e la realizzazione di un serpente-gioiello “con più testa che corpo”. Gli anni ’70 hanno visto il serpente divenire il protagonista delle creazioni del brand, l’oro è il materiale prediletto in questo periodo e l’utilizzo di pietre ovali incastonate, di cabochon circondati d’oro e di diamanti diventa il marchio di fabbrica di un brand che dalla fine dell’800 ad oggi ha fatto la storia dell’alta gioielleria.

Alexander McQueen, al cinema la storia dell’hooligan della moda

 

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Geniale, creativo, visionario, eccessivo, estroso, in due parole Alexander McQueen. L’hooligan britannico della moda, come il Fashion System ama definirlo, arriverà presto sul grande schermo con un film a lui dedicato. Una personalità eccentrica quella di McQueen che ha saputo farsi largo con le sue proposte sempre innovative, all’avanguardia, un vero e proprio occhio sul futuro del mondo della moda. Il biopic metterà in scena la vita dello stilista, la sue umili origini, i suoi studi, la sua carriera e la tragica scelta di porre fine alla propria vita. Un vero contributo ad un artista che ha lasciato il segno nel patinato mondo delle passerelle. Nato nel 1969, da padre tassista e madre insegnante, cresce nell’East End londinese; la sua creatività dirompente non tarda ad emergere, a 16 anni lascia la scuola per iniziare a lavorare presso la nota sartoria di Savile Row: Anderson & Sheppard, nota fornitrice del principe Carlo d’Inghilterra e siamo solo all’inizio. In Italia lavora presso Romeo Gigli e tornato in Inghilterra conclude la sua formazione presso la St. Martin School, scuola di moda delle più prestigiose che ha dato il via alle carriere di alcuni dei più celebri stilisti tra cui John Galliano. Lo stile del giovane designer è presto noto, una commistione tra gotico e romantico, vittoriano e dark. La prima collezione di McQueen, quella creata nel 1992 per la fine del corso alla St. Martin fu un vero successo tanto che, la nota stylist e scopritrice di talenti, Isabella Blow la acquistò tutta. Davvero un buon auspicio se si pensa alla sua rapida scalata al successo. Nel 1995 inaugura una linea col suo nome dalla quale si evince il suo stile eclettico e visionario. Direttore artistico di Givenchy fino al 2001, succede alla direzione creativa al già citato Galliano, inglese come lui e come lui uscito dalla St. Martin.

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Poliedrico, rivoluzionario e grande provocatore, impossibile non ricordare la collezione dedicata alle sue origini scozzesi Highland Rape, un vero e proprio grido provocatorio. Stupro delle Highland sta ad indicare il nome della collezione, autunno/inverno 1995-1996, che lo stilista ha portato sulle passerelle. Uno stupro appunto, uno stravolgimento al quale McQueen sottopose uno dei più classici tessuti britannici, il tartan. Abiti di pizzo stracciati, gonne ridotte a brandelli, scollature volutamente ampie a scoprire interamente i seni di modelle dagli occhi alieni. La stampa gridò allo scandalo ma McQueen seppe motivare tutto ciò. Tacciato di misoginia infatti lo stilista rispose che il suo intento non era quello di portare sulla passerella la tematica dello stupro femminile quanto invece quello stesso stupro che l’Inghilterra aveva fatto alla Scozia. Un enfant terrible, un artista maledetto, una genialità spiccata e precoce la sua che lo vide creare costumi per lo stesso David Bowie, negli anni ’90; allo stesso tempo sensibile, introverso ed estremamente fragile, a tal punto da compiere un gesto estremo, quello che c’ha privato delle sue straordinarie creazioni. Il progetto che porterà la vita del designer sul grande schermo è affidato al regista Andrew Haigh e al drammaturgo Chris Urch, che si occuperà della sceneggiatura. Sono trascorsi circa sei anni dalla sua scomparsa, eppure di artisti così non si finisce mai di sentirne la mancanza; in attesa dell’uscita del film vogliamo ricordare l’eclettico artista, interprete visionario del romanticismo, con una sua frase che più di tutte racchiude il suo concetto di moda:« Non voglio fare un cocktail party, preferisco che la gente vomiti e abbandoni il mio show. Preferisco le reazioni estreme».

Novità in casa Burberry, si sfila due volte l’anno

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«Ogni nuova moda è rifiuto di ereditare, è sovvertimento contro l’oppressione della vecchia moda; la moda si vive come un diritto, il diritto naturale del presente sul passato» così parlava il noto critico letterario Roland Barthes e che cos’è la moda se non sovvertimento di se stessa, rifiuto e riaffermazione, eredità e progresso. Il tempo scorre inesorabile, la società si evolve, i tempi cambiano tanto per essere retorici e nulla esprime al meglio il cambiamento come la moda. Perifrasi troppo lunga, soltanto per introdurre una novità. L’autore di questa è il noto brand britannico Burberry, che ha ufficializzato la propria decisione riguardo alle prossime sfilate. Una vera e propria rivoluzione! Il calendario di Burberry d’ora in avanti prevedrà soltanto due appuntamenti annuali, uno a febbraio ed uno a settembre. Ma le novità non terminano qui, infatti sulla passerella vedremo sfilare simultaneamente la collezione uomo e la collezione donna, inoltre i capi saranno immediatamente disponibili sul sito del brand al termine dello show. «Questi cambiamenti ci serviranno per creare una connessione tra l’esperienza della sfilata e il momento in cui le persone possono esplorare personalmente i capi», afferma Christopher Bailey, Chief Creative e Chief Executive Officer del brand, che aggiunge «I nostri show vanno in questa direzione già da qualche tempo. Dagli streaming live, alla possibilità di ordinare i capi direttamente dalla passerella, alle campagne social. Questo è solo un ulteriore passo in un processo creativo che è in continua evoluzione». Casa Burberry non si arresta ed introduce un’ulteriore news, stiamo parlando dell’unificazione delle linee Brit, London e Prorsum in una sola nuova etichetta Burberry.

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Evoluzione è dunque la parola chiave. Si ci chiede sempre di più quale sarà il futuro delle sfilate, una cosa è certa, la volontà degli stilisti di oggi è quella di ridurre le distanze tra il prodotto della passarella e il potenziale cliente. La stessa Diane Von Furstenberg, Presidente della Camera della Moda americana aveva reso noto il proposito di cambiare la modalità delle sfilate newyorkesi. In un mondo sempre più social, il cliente che ha la possibilità di assistere virtualmente all’evento e di osservare i pezzi della collezione è portato, inevitabilmente, ad avere l’immediata esigenza di richiedere l’articolo, oggetto di desiderio, nello store del brand, articolo che però non sarà disponibile prima di sei mesi. Un tempo troppo lungo che non soddisfa più l’esigenza dei potenziali clienti. A seguire l’esempio di Burberry, sono anche altri noti brand di moda, come Michael Kors che permette di acquistare una selezione di capi subito dopo la sua sfilata seguito da Proenza Schouler che ha messo in vendita una limited edition di borse e capi d’abbigliamento, la Proenza Schouler Early Edition, subito dopo lo show. Questa notevole aria di cambiamento ha intanto smosso qualcosa e la proposta del CFDA sembra piuttosto allettante, questa infatti per risolvere la situazione avrebbe proposto di presentare le collezioni dapprima agli addetti ai lavori con delle presentazioni semestrali presso gli showroom dei brand, consentendo così alle sfilate di divenire sempre più social, e dare una rapida visibilità ai capi proposti, i quali sarebbero già presenti negli store.

Barbie Curvy: la nuova era di Mattel

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Addio vitino da vespa, gambe chilometriche e seno prosperoso: Mattel dopo quasi sessant’anni cambia volto alle sue barbie e le rende più vicine a noi donne comune mortali. Una vera e propria rivoluzione è quella che sta avvenendo nell’azienda più adorata da tutte le bambine ormai da più di mezzo secolo. Da sempre icona inconfondibile, modello d’ispirazione di grandi e piccine, Barbie è ormai considerata un prototipo di bellezza al quale rifarsi. Che sia stata un’abile mossa di mercato o una presa di coscienza che oggi i tempi stanno cambiando e ora più che mai le nuove generazioni sono maggiormente attratte da brand che hanno dei valori sociali, il cambiamento è stato attuato. Anni ed anni di polemiche hanno travolto la Mattel, incolpata di proporre a generazioni e generazioni un modello inarrivabile di donna, in perfetto stile pin-up, dai caratteri artificiosi. Da oggi Barbie non sarà più “taglia unica”.

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Niente più capelli biondi, carnagione perfetta, labbra rosa e occhi azzurri, il nuovo pacchetto comprenderà tre nuove versioni, più vicine alle donne reali: Curvy, Petite e Tall. La nuova collezione comprende 33 nuove Barbie: oltre ai tre nuovi body shape si potrà scegliere tra 7 tonalità di pelle, 22 colori degli occhi e 24 acconciature, il tutto ovviamente corredato da innumerevoli outfit sempre al passo con la moda. Non sarà più lì a rappresentare quel sogno che tutte le donne, o quasi tutte, vorrebbero realizzare ma la realtà, così milioni di bambine non avranno più la sensazione che sia la loro mamma ad essere “diversa”, quanto i prototipi che ogni giorno ci vengono proposti da riviste, pubblicità, cinema e quant’altro. La nuova Barbie è un inno alle donne normali, quelle che hanno appena vissuto una gravidanza e hanno su qualche chilo di troppo, quelle che non intendono rinunciare ad una fetta di torta al cioccolato per paura che i jeans non salgano più, quelle donne che non temono che la loro femminilità venga meno soltanto perché non entrano in una taglia 38. Finalmente anche Barbie sarà una rappresentazione della donna comune, quella che abitualmente vediamo in fila al supermercato o ad accompagnare i propri bambini a scuola. Un’esigenza quella che l’azienda ha avvertito di essere al passo con i tempi, come ha spiegato Evelyn Mazzocco, manager del brand Barbie e inoltre madre di tre figlie, al Time, affermando quanto sia stato necessario guardare al futuro per mettere sul mercato questa considerevole rivoluzione di plastica. La stessa Mazzocco ha inoltre toccato, lo scottante tema delle milleniam mom «che oggi sono una piccolissima parte dei consumatori, ma che presto saranno il nostro futuro». Le nuove Barbie sono già disponibili sul sito del colosso dei giocattoli, ma per le affezionate della Barbie versione targata 1959, non c’è nulla da temere perché continuerà a coesistere instancabilmente accanto alle sue nuove varianti.

Dunque le rivoluzioni in casa Mattel non sembrano proprio arrestarsi ed indiscutibilmente Barbie sta rivivendo una vera e propria stagione gloriosa.

 

Farfetch, il colosso dell’e-commerce debutta nell’editoria

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Farfecht Curates è il nuovo progetto   del colosso dell’ e-commerce Farfetch. La piattaforma entra nel mondo dell’editoria stingendo una collaborazione con la casa editrice Assouline, realizzando tre volumi monotematici dedicati rispettivamente al food, al design e all’arte. Il sito di moda in questione è uno dei più famosi e la sua creazione risale al 2008, quando l’ imprenditore portoghese José Neves decise di dar vita a quello che si è rivelato un colosso nell’ambito degli e-commerce. Un’intuizione geniale la sua che, presente già nel mondo della moda a partire dalla metà degli anni ’90 con la sua linea di scarpe, partorisce nel 2007 l’idea di un market-place nel quale ogni boutique potesse vendere i propri prodotti mantenendo la propria indipendenza. Un vero e proprio successo è quello che ne è seguito e che ha tracciato la strada per molti altri nomi che ora brillano nell’universo del commercio online. In un articolo dell’Economist, Neves dichiara, in riferimento alle boutique appartenenti alla sua piattaforma, «Mantengono la loro identità, mentre migliora la loro posizione sul mercato». Dal 2008 ad oggi l’azienda è notevolmente cresciuta e vanta tra i suoi investitori lo stesso Conde Nast. Capo dell’azienda è attualmente il suo fondatore José Neves, che ricopre il ruolo di Chief Executive Officer. Attualmente Farfetch è attivo in 170 paesi, con ben 300 boutique presenti sul suo sito web. Inoltre il sito dispone di due categorie di brand, quella di lusso che include prodotti di fascia alta e quella che invece propone brand emergenti e sperimentali.

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Attualmente sono circa 600 le persone che lavorano per Farfetch, nel regno Unito, dove è inoltre presente la sede centrale, Portogallo, Brasile e Tokio. Grazie agli ingenti investimenti di Conde Nast ha poi lanciato un programma di espansione che ha visto il sito web includere anche gli Stati Uniti, la Russia, l’est Europa, la Cina e il Giappone. Attualmente Farfetch gestisce cinque siti in lingua locale, oltre a quello iniziale in lingua inglese. Inoltre è possibile fare acquisti direttamente dal proprio smartphone grazie all’App Farfetch Discover, un’applicazione che non solo consente di acquistare tutto ciò che si desidera ma propone anche contenuti editoriali ed esperienze digitali nelle più importanti capitali della moda a livello mondiale. Il successo di Farfetch non sembra dunque arrestarsi e da poco, come abbiamo già accennato, ha fatto il suo ingresso anche nel mondo dell’editoria al fianco della famosa casa editrice Assouline. I volumi saranno tre e nonostante sembra siano molto lontane dalla moda le tematiche che verranno trattate, food, design e arte, sono in realtà molto vicine ad essa in quanto concepiti secondo una struttura globale. Per la creazione di tali libri Farfetch ha inoltre richiesto la collaborazione di importanti personalità appartenenti al mondo del fashion come il designer di calzature Nicholas Kirkwood, la stilista di abbigliamento femminile Roksanda Ilincic e lo stilista britannico Jonathan Saunders.

Crazy Krizia. Addio alla Signora dello stile “pop”

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«Ha sdoganato il vestire borghese, interpretando in anticipo i mutamenti del costume e dando una ventata di libertà alla donna, libertà che sentiva profondamente anche per sé e che l’ha guidata per tutta la vita», con queste parole Beppe Modenese, Presidente onorario della Camera della Moda, uno dei più grandi estimatori di Mariuccia Mandelli, ricorda la stilista appena scomparsa all’età di 90 anni. Coraggiosa, eclettica, avventurosa, anticonformista e profondamente innamorata dell’arte, in una sola parola Krizia. È con questo pseudonimo preso da uno dei Dialoghi di Platone sulla Vanità che è divenuta famosa in tutto il mondo per le sue creazioni impregnate di avanguardia. Nasce a Bergamo Mariuccia Mandelli, nel 1932, esercita per un breve periodo la professione di insegnante ma è subito evidente che non sarà quello il lavoro della sua vita. Insieme alla sua amica Flora Dolci dà vita ad un’azienda di abbigliamento ed inizia così la sua storia nel mondo della moda. Il 1957 è l’anno della presentazione della sua prima collezione ufficiale presso il Samia di Torino, ma il debutto che l’ha consacrata ad astro nascente del fashion system risale al 1964. Nella gremita Sala Bianca di Palazzo Pitti Krizia fa il suo debutto davanti a migliaia di buyers nazionali e d’oltreoceano, apprezzatissime sin da subito le sue creazioni in bianco e nero che in quella stessa occasione le valsero il premio Critica della Moda. Kriziamaglia nasce nel 1967, una linea interamente dedicata alla maglieria che da sempre è considerata il pezzo forte della griffe. Gli anni a venire hanno visto la nascita di numerose linee: Krizia, Krizia Top, Krizia Poi, Kriziamaglia, Poi by Krizia, Per Te by Krizia, Krizia Jeans, Krizia Uomo ecc. realizzate in licenza, ed inoltre in quegli stessi anni la stilista collabora con nomi illustri della moda quali Walter Albini e Karl Lagerfeld.

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Amante dei volumi e delle geometrie strutturate, spesso rende la natura e gli animali protagonisti delle sue creazioni. Tratto distintivo delle sue collezioni che ad ogni stagione portano sulla passerella un nuovo elemento, il 1974 è l’anno del gatto, l’anno successivo della volpe, nel 1976 il serpente e poi ancora scimmie, cammelli ecc. A questo proposito nel 1983, Camilla Cederna scrisse su Vogue Italia «Crazy Krizia la chiama la stampa americana per i suoi modelli spregiudicati e spesso ironicamente provocanti, mentre un altro soprannome è “regina della giungla”, tale è l’amore per gli animali domestici o feroci che s’incontrano dappertutto, nelle collezioni di casa sua e nei suoi morbidissimi golf». Non solo animali ma tanta arte a caratterizzare le sue collezioni, dense di ispirazioni orientali e architettoniche. Architettonico è la parola adatta per definire l’uso che la sapiente Krizia ne faceva del plissé, utilizzato per la prima volta nel 1978 con un impermeabile al quale seguirono tute-bruco, tute-farfalla e chiocciole che tanto rimandavano alla struttura del Guggenheim. Arte e natura, un connubio perfetto che hanno reso le sue collezioni uniche e senza tempo.

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Ogni singola creazione, ogni sfilata hanno raccontato un pezzo di storia di quella donna avventurosa, dalla forte presenza, con il suo caschetto nero e gli enormi gioielli che amava indossare. Un genio il suo che certamente mancherà alle passerelle, che ha fatto la storia e che ha contribuito a dare un’immagine diversa della donna, un’immagine nuova e libera dagli schemi. Ma la storia di Krizia continuerà nel tempo e a portarla avanti è ora Shenzen Marisfrolg Fashion di Zhu Chong Yuo, imprenditrice e stilista cinese che ha acquistato la maison nel 2014, la quale non intende rinunciare al patrimonio artistico che la stilista le ha lasciato in eredità «Ho un archivio immenso da rivisitare» ha commentato e i suoi capi in effetti sembrano davvero riportare sulla scena i segni iconici della maison.

Lush Prize 2015. Una ricercatrice italiana nella rosa dei vincitori

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Giunto alla sua quarta edizione il Lush Prize, il più importante premio nel campo della sperimentazione non animale, vanta nella rosa dei vincitori una giovane ricercatrice italiana. Elena Kummer si è aggiudicata £10.000 per un progetto di ricerca sugli allergeni sviluppato nell’ambito dell’Università degli Studi di Milano. «Sono davvero molto orgogliosa di questo riconoscimento che potrà rappresentare un passo avanti nell’abolizione della sperimentazione sugli animali in ambito cosmetico. Lo scopo del mio progetto è proprio quello di fornire un metodo basato sull’uso di una linea cellulare, per la valutazione del potenziale sensibilizzante di composti chimici e per la valutazione della loro potenza» ha commentato la giovane ricercatrice. Il marchio cosmetico ha devoluto una somma di £450.000 a supporto delle eccellenze scientifiche il cui obiettivo è quello di abolire la sperimentazione animale promuovendo alternative più sicure. Il fondo in questione è stato suddiviso tra progetti di ricerca e scienziati che hanno saputo distinguersi per la loro eccellenza. Il compito di selezionare i vincitori è stato assegnato ad una giuria di esperti provenienti da 51 team scientifici, organizzazioni e ricercatori individuali.

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Il Lush Prize assegna annualmente un fondo di £250.000, destinato a progetti il cui obiettivo è quello di eliminare la sperimentazione animale nella tossicologia, ovvero i test chimici. Quest’anno, però, vi è stata una novità infatti data l’eccellente portata dei progetti presentati, la filiale Nord America di Lush ha deciso di aggiungere una somma ulteriore di £200.000 al premio iniziale. Il fondo ha premiato i lavori di cinque aree diverse: Scienza, Formazione, Giovani Ricercatori, Sensibilizzazione, Pubblica e Lobbyng. Inoltre questa edizione ha assegnato per la prima volta anche il premio Black Box, che è stato assegnato a cinque scienziati per il lavoro svolto nella prima mappatura dei passaggi chiave della tossicità umana. «L’obiettivo ultimo è quello di cercare di rimpiazzare l’attuale Test del Linfonodo Locale (LLNA), che prevede l’utilizzo del topo, e che è ad oggi utilizzato come riferimento per l’identificazione dell’allergenicità dei nuovi composti chimici immessi sul mercato» riferisce Elena Kummer a tal proposito. Gli scienziati impegnati nel progetto hanno dato vita ad un nuovo test tossicologico totalmente cruelty-free che rivela in che modo le reazioni si evolvono nell’organismo umano. Tale test riveste fondamentale importanza, in quanto è il primo nel suo genere a dimostrare in che modo gli agenti chimici costruiscono nell’organismo umano un percorso metabolico completo, denominato “Adverse Outcome Pathway”. La rilevanza del test è tale da aver meritato il riconoscimento ufficiale dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Hilary Jones, Ethical Director Lush commenta il ruolo del Lush Prize « Abbiamo dato vita al Prize per dare un forte incentivo ai legislatori e agli scienziati a velocizzare il processo di sviluppo, approvazione, autorizzazione e implementazione di test sicuri che non prevedano l’uso di animali. Abbiamo notato che  in questo ambito mancava un riconoscimento al progresso scientifico in questo senso e anche un premio quando venivano effettuati importanti traguardi. Abbiamo deciso allora di dare visibilità e premiare chi si dà da fare per la salvezza degli animali» e aggiunge «L’unico fattore che può portare al cambiamento è la passione delle persone comuni che vogliono vedere un mondo migliore e non accettano un no come risposta».

 

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