Tutti gli articoli di Cecilia Massimetti

Lo streetwear? E’ neorealista con i fratelli Gvasalia

Demna e Guram Gvasalia
Demna e Guram Gvasalia

Storia sovietica e stile berlinese. Estetica mainstream, streetwear e riferimenti riconoscibili. La dialettica dei fratelli Gvasalia, e di tutto il collettivo dei designer russi, può racchiudersi in queste poche parole. Segni di stile facilmente distinguibili e che hanno, in pochi anni, conquistato il fashion system, riscrivendone le regole.

Era il 2014 quando i Gvasalia decidono di dare vita al collettivo Vetements. Successivamente scelgono Le Depot e Le President, rispettivamente uno storico gay club parigino e un ristorante cinese, per far sfilare amici, conoscenti e gente scovata per la strada. Una sorta di innovazione che spinge Vogue UK a coniare, proprio per loro, il neologismo Nodels, ovvero no-models. Una rapida scalata al successo cementata dal debutto, a marzo di quest’anno, di Demna come direttore creativo di Balenciaga, dove ha saputo combinare lo streetwear tipicamente Vetements all’immagine elitaria della maison di Cristóbal Balenciaga. 

Carine Roitfeld, Demna Gvasalia e Stella Tennant ai Fashio
Carine Roitfeld, Demna Gvasalia e Stella Tennant ai British Fashion Council Awards 2016

Successo confermato durante i British Fashion Council Awards 2016 in cui il collettivo Vetements si è guadagnato il premio come International Urban Luxury Brand e Demna quello di International Ready-to-Wear Designer per il lavoro svolto fino ad ora da Balenciaga. Guram, CEO di Vetements, invece si è aggiudicato la nomination per il premio di International Business Leader, strappatogli da Marco Bizzarri, CEO di Gucci. Amanti o no dei due fratelli, è inutile negare l’influenza che hanno avuto sul settore moda in questo ultimo anno.

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I due sono riusciti a portare una ventata di aria fresca, di novità e cambiamento che negli scorsi anni era esclusiva della cosmopolita e sperimentatrice Londra. Addio a super donne, super uomini e foto ritocco mentre aumentano le imperfezioni e la diversità nella moda onesta e neorealista dei Gvasalia. Hanno unito la moda al mondo che li circonda, passato e presente, raccontandone ogni piccola sfaccettatura: dai ricordi infantili della terra natale, passando per la guerra civile e il soggiorno a Berlino, fino all’arrivo a Parigi e all’incontro con l’underground francese. Una strategia, emotiva e ingegnosa, che sottolinea la capacità di Guram di fare business attraverso la mano creativa del fratello Demna e che sta restituendo alla moda un ruolo sociale, culturale e politico di importanza.

Sarah Mower e Guram Gvasalia al The Royal Institution
Sarah Mower e Guram Gvasalia al The Royal Institution

Una moda anti-moda, quasi a definirla brutta ed estremamente lontana dall’ideale di lusso sfarzoso e patinato a cui siamo abituati. Al contempo, quello che propongono i fratelli Gvasalia, è una moda incentrata esclusivamente sul prodotto: realizzare capi portabili che la gente sente il bisogno di indossare e non finire soltanto sulle pagine di un libro di moda. Capi soprattutto pensati per la generazione dei Millennials, cresciuta a pane e Mtv, ma venduti a prezzi estremamente esagerati, in conflitto con l’aura post sovietica di povertà che pervade le collezioni.

 

Un 2017 tutto al naturale per Peter Lindbergh

Backstage TheCal 2017 -
Backstage The Cal 2017

Rivoluzionario, provocativo e intellettuale. Un oggetto unico, da collezione, regalato soltanto ad un numero limitato di importanti clienti della nota azienda di pneumatici Pirelli e che ogni amante del bello vorrebbe avere nella propria casa. Il lancio del Calendario Pirelli è uno degli eventi più attesi ogni anno nel mondo dell’arte e della moda che, quest’anno, per la terza volta, sceglie il particolare punto di vista del fotografo tedesco Peter Lindbergh per esprimere la bellezza della figura femminile.

TheCal 2017 - Uma Thurman - Photo by Peter Lindbergh
The Cal 2017 – Uma Thurman, photo Peter Lindbergh

Una bellezza naturale, una celebrazione della donna all’insegna del “non c’è bellezza senza verità”, che ha ispirato il Calendario Pirelli 2017 firmato Lindbergh e presentato lo scorso 29 novembre alla stampa presso l’Hotel Salomon de Rothschild, a Parigi. Insieme al fotografo, l’amministratore delegato del gruppo Pirelli Marco Tronchetti Provera e tre delle attrici immortalate negli scatti, Uma Thurman, Nicole Kidman e Helen Mirren.

“Ho scelto delle attrici di talento perché mi interessa raccontare la vera essenza della bellezza, rompendo lo stereotipo della perfezione artefatta e senz’anima” spiega il fotografo.

The Cal 2017 - Robin Wright - Photo by Peter Lindbergh
The Cal 2017 – Robin Wright,  photo Peter Lindbergh

Attrici, immortalate al naturale, in 12 foto realizzate tra Los Angeles, New York, Berlino e Londra, per i mesi dell’anno e un’unica parola, Emotional, scelta dallo stesso Lindbergh, per sottolineare il fine dei suoi scatti: “realizzare un calendario non sui corpi perfetti, ma sulla sensibilità e sull’emozione, spogliando l’anima dei soggetti, che diventano quindi più nudi del nudo”. Così, il fotografo, interpreta la 44esima edizione di The Cal, assumendosi il compito di cambiare i canoni di bellezza finta a cui siamo abituati.

“Oggi la bellezza è quanto mai distante dalla realtà, è costruita, finta, e ha un forte volere commerciale. Io volevo fare tutto il contrario. Volevo che il mio calendario diventasse un urlo contro la bellezza stereotipata, contro il terrore della giovinezza a tutti i costi. Per questo ho chiamato a raccolta attrici che avessero un ruolo importante nella mia vita e che si fidassero di me”.

The Cal 2017 - Julianne Moore, photo Peter Lindbergh
The Cal 2017 – Julianne Moore, photo Peter Lindbergh

La capacità di mettersi a nudo, spogliarsi del tutto, rimanendo pur sempre vestite, raccontare le emozioni e trasmettere la loro intimità, un gesto di coraggio per le attrici che hanno accettato la sfida del fotografo, solitamente abituate a recitare una parte: “interpretare un personaggio al cinema è più facile perchè ti metti nei panni di un altro. Davanti all’obiettivo del fotografo invece devi essere te stessa” dice Penelope Cruz. Da Kate Winslet a Julianne Moore, da Lea Seydoux a Lupita Nyong’o e ancora Robin Wright, Charlotte Rampling, Penelope Cruz e Alicia Vikander, sono in 14 ad aver risposto all’appello del tedesco Lindbergh.

Backstage The Cal 2017 - Jessica Chastain
Backstage The Cal 2017 – Jessica Chastain

In 50 anni di storia, Peter Lindbergh è l’unico fotografo ad essere stato richiamato per la terza volta da Pirelli per la realizzazione del Calendario grazie al giusto mix di classicità e contemporaneità dei suoi scatti. Il primo The Cal risale al 1996 in California, nel deserto di El Mirage e con modelle del calibro di Eva Herzigova, Carré Otis e Nastassja Kinski e successivamente nel 2002 a Los Angeles ritrasse tra le altre Julia Stiles, Brittany Murphy e Keira Chaplin.

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Backstage The Cal 2017 – Kate Winslet

E per la prima volta, il gruppo Pirelli, rende disponibile il video esteso del Making Of di The Cal. Un backstage esclusivo di interviste a Peter Lindbergh e alle sue attrici, per scoprire il ciclo di idee dietro la realizzazione del calendario e non apprezzare soltanto la bellezza del prodotto finale, ma anche quella del processo intrapreso. “Sono stufa di questa bellezza fresca che ci impongono, è più interessante quella di una donna di 40 o 50 anni” racconta Kate Winslet nel dietro le quinte. Un elogio alla donna e all’empowerment femminile, al coraggio  e all’orgoglio di essere se stesse per come si è, senza badare al giudizio della gente.

 

https://www.youtube.com/watch?v=Wlvo7MIVgOE&t=26s

House Style. Cinquecento anni di moda a Chatsworth

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Location di film come The Wolfman con Antony Hopkins, Orgoglio e Pregiudizio e La Duchessa con Keira Knightley e della serie in costume della BBC Death Comes to Pemberley ma anche località turistica, di matrimoni e di eventi. Chatsworth House, nel cuore del Derbyshire in Inghilterra, è da sempre simbolo di lusso ed eleganza e una delle case più spettacolari d’Inghilterra, con i suoi ampi e maestosi saloni barocchi. Casa del Duca e della Duchessa del Devonshire, da 16 generazioni di proprietà della famiglia Cavendish, dal 25 marzo al 22 ottobre 2017, Chatsworth aprirà le sue porte alla mostra House Style: 500 anni di moda a Chatsworth, dedicata alla storia della moda e della decorazione.

“Avere avuto accesso alle stanze del guardaroba, sotto volte dorate, alla stanza degli archivi, gli armadi, le credenze e gli attici di Chatsworth alla ricerca di tesori sartoriali è un sogno divenuto realtà. Chatsworth racchiude uno straordinario patrimonio e le personalità di generazioni di membri della famiglia Cavendish che hanno abitato le sue stanze, i suoi giardini e paesaggi sono rivelate attraverso le loro scelte d’abbigliamento e le decorazioni, e raccontati dalle tele e le lenti dei grandi artisti e fotografi che li hanno immortalati nei secoli. Con House Style, ci auguriamo di dare vita a questi irresistibili e affascinanti personaggi e ai diversi mondi in cui essi hanno vissuto attraverso gli abiti e i gioielli che indossavano” ha commentato Hamish Bowles.

Era il XVII secolo quando Georgiana, Duchessa del Devonshire e l’imperatrice della Moda, animava i saloni di Chatsworth e prima di lei, Bess di Hardwick, una tra le più potenti donne del XVI secolo. Molto dopo ritroviamo Adele Astaire, sorella di Fred Astaire; Deborah e Nancy Mitford; “Kick” Kennedy, sorella di John F. Kennedy; fino ad arrivare ai giorni nostri con la modella Stella Tennant. La mostra le ricorderà tutte, facendo rivivere al pubblico questi accattivanti e affascinanti componenti della famiglia Cavendish in una visione inedita e approfondita della loro vita, con lo scopo di evidenziare il potere della moda nel mettere in risalto questi straordinari personaggi.

Deborah Devonshire & Stella Tennant, Chatsworth, 2006. Foto Mario Testino
Deborah Devonshire & Stella Tennant, Chatsworth, 2006. Foto Mario Testino

Storia dell’arte, moda, gioielli, materiali d’archivio, design e tessuti si snoderanno tra l’opulente salone dell’abitazione barocca, la Painted Hall, la Cappella e la Sala della Musica in un percorso a temi quali “l’abito dell’incoronazione”, “la Devonshire House Ball”, “Bess di Hardwick”, “l’influenza dei Tudor”, “l’effetto Georgiana”, “lo stile ducale”, “il country living, “il cerchio della vita”, “l’intrattenimento a Chatsworth”.

Foto Thomas Loof
Foto Thomas Loof

Cinquecento anni di stile esposti a Chatsworth attraverso le straordinarie creazioni couture di Jean Phillipe Worth e Christian Dior, e capi contemporanei di Gucci, Helmut Lang, Margiela, Erdem, Alexander McQueen, Christopher Kane e Vetements. Ad affiancare i grandi designer, le collezioni di famiglia, con pezzi appartenenti agli attuali Duca e Duchessa del Devonshire, tra cui il bolero Givenchy della Duchessa, indossato il giorno del suo matrimonio. Inoltre, in esposizione, divise, uniformi, cappe di incoronazione e preziosi abiti a testimoniare le diverse influenze nella Devonshire collection attraverso le generazioni.

Abito dell'incoronazione, indossato dalla Duchessa Evelyn nel 1937 e dalla Duchessa Mary nel 1953, Painted Hall, Chatsworth, 2016. Foto Thomas Loof
Abito dell’incoronazione, indossato dalla Duchessa Evelyn nel 1937 e dalla Duchessa Mary nel 1953, Painted Hall, Chatsworth, 2016. Foto Thomas Loof

Una mostra resa possibile grazie al sostegno dello sponsor principale Gucci e di CW Sellors Fine Jewellery, Investec, Sotheby’s e Wedgwood e curata da Hamish Bowles, international editor-at-large di Vogue USA, con la direzione artistica di Patrick Kinmonth e Antonio Monfreda, il duo dietro ad alcune tra le più memorabili esibizioni di moda degli ultimi anni (Valentino a Roma: 45 years of style, Anglomania: Tradition and Transgression in British Fashion, Making Dreams: Fendi and the Cinema). La collaborazione tra Gucci e la famosa tenuta storica inglese del XVI secolo, sottolinea ancora una volta l’attitudine british e la passione per la cultura inglese di Alessandro Michele, direttore creativo del brand, presente in tutte le collezioni del marchio italiano: dalla sfilata presso l’Abbazia di Westminster, passando per la collaborazione con Chatsworth fino ad arrivare alla campagna della collezione Cruise 2017 scattata nel castello e nel parco della storica tenuta.

Alessandro Michele ha dichiarato: “Chatsworth è unico al mondo. È un luogo pieno di fascino, storia e tradizione. Un pezzo di Inghilterra, Europa e mondo contemporaneo, allo stesso tempo. La storia emerge in ogni singolo angolo e tutto è pieno di vita. Questa esposizione testimonia quanto gli oggetti storici rappresentino un’incredibile fonte di ispirazione per la creazione del presente. È stata la casa a comunicare finora e, “House Style” ridà oggi vita al guardaroba dei suoi abitanti e ospiti”.

Campagna Gucci Cruise 2017
Campagna Gucci Cruise 2017

In contemporanea con l’esibizione, Rizzoli pubblicherà House Style: 500 anni di moda a Chatsworth, un libro a cura di Hamish Bowles, con prefazione del Duca del Devonshire e introduzione della Contessa di Burlington: uno studio di 200 pagine dedicato alla moda a Chatsworth con fotografie di Cecil Beaton, Bruce Weber, Steven Meisel, Tim Walker, Mario Testino, Ellen von Unwerth, e numerose immagini inedite tratte dagli album privati di Devonshire. Un volume da collezione per Anglofili, appassionati di storia della moda e dello stile aristocratico.

Vetements, lo streetwear conquista Seoul

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Vetements. Il brand più hot del momento, quel brand che soltanto sentirlo nominare fa agitare i cuori dei fanatici di moda, specialmente a Seoul che altrove, dove le felpe con i loghi e i jeans patchwork si adattano perfettamente alla città e alla sua gioventù che è riuscita a monopolizzare e a far sua l’irriverente estetica streetwear del marchio. Una appassionata storia d’amore che non poteva avere altro risvolto se non in una delle garage sale più sfacciate che si siano mai tenute.

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Una storia breve ma intensa che si è svolta nel pomeriggio del 17 ottobre nella città di Namyangju, nella regione del Gyeonggi-do, una lontana periferia a nord ovest di Seoul. Una location talmente tanto lontana che, con le sue rigogliose colline e le centinaia di persone Vetements addicted in coda davanti ad un capannone, è riuscita a far confondere anche i poveri tassisti. Nessuno sapeva di cosa si trattasse. Erano soltanto li, in coda, magari dalla notte precedente ad aspettare. Tre i dettagli certi: che si trattasse della loro ossessione del momento, la destinazione grazie a Matchesfashion e la tag line “Official Fake”. E alla fine della coda, lungo una strada privata, un enorme capannone pieno di abiti, scarpe e cappellini ordinatamente allineati. A fare da sfondo alle file di indumenti soltanto una ritmica e snervante colonna sonora elettronica, in contrasto con la luce naturale proveniente dalle finestre tinte di verde del tetto.

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Una garage sale che si è svolta in collaborazione con l’e-commerce di lusso matchesfashion.com, che già dal 2014 proponeva ai suoi clienti lo stile streetwear del collettivo. Prima che tutti sapessero chi fosse Vetements, Natalie Kingham, Direttore Commerciale di Matchesfashion, fu una delle prime a fare un ordine di otto felpe, diventate poi simbolo del brand e oggetto must have di chi di moda è appassionato. Due anni dopo, ora che Vetements si è creato un nome all’interno del settore moda, lo porta in Corea. 

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Ma perché la scelta è ricaduta su Seul? Perché non New York, Londra, Parigi o la stessa Milano? Perché arrivare dall’altra parte del mondo per una vendita di capi durata poche ore (dalle 14 alle 19)? Non ci sono dubbi: la Corea è il secondo mercato più profittevole, dopo l’America, per Demna, suo fratello Guram e per Matchesfashion, grazie alla massa di giovani eccentrici e ribelli, attenti alle tendenze ed estremamente pop sparsi sul territorio coreano. Non è da tralasciare la natura della popolazione coreana. Risaputo è che i coreani sono un popolo di grandi creativi ma allo stesso tempo abili copiatori. Sono talmente tanto artistici che le copie riprodotte vengono perfino vendute nei centri commerciali di Seoul. Esempio ne è Doota, centro commerciale coreano, dove si possono trovare falsi pezzi Vetements ma reinterpretati, che vengono venduti alla velocità della luce. Quindi quale scenario migliore di Seoul per proporre una Official Fake Collection?

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Capsule collection ufficialmente falsa che vede protagonisti i remix dei pezzi chiave del brand, dalla Primavera-Estate 2015 all’Autunno 2016, appositamente creati per il mercato coreano: un abito a più strati si trasforma in una t-shirt con la stessa stampa; al famoso impermeabile si aggiunge la definizione esatta della parola impermeabile e ai cappellini bianchi e rossi la parola “cap” mentre i jeans patchwork vengono invertiti, l’esterno diventa interno e viceversa.

Vetements riesce a far suo il mercato del falso, abbracciandolo ma alzando i prezzi rispetto a quelli bassi di Doota, perché le cose migliori nella vita non sono gratis. La garage sale diventa anche il momento giusto per il lancio del nuovo e primo paio di sneaker Vetements, in collaborazione con Reebok, e in uscita il prossimo anno.

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Una garage sale nel mezzo del nulla che gioca sul falso e sulla reinterpretazione dei pezzi basici che hanno fatto diventare Vetements quello che è oggi: un collettivo di designer affermato e riconosciuto nel fashion system.

#enjoythefrontrow: lo shopping istantaneo a “La Rinascente”

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Quante volte si è sognato di poter partecipare ad una sfilata? Tante, forse troppe, senza mai averne avuto la possibilità: in fin dei conti soltanto gli addetti ai lavori hanno questo privilegio. La Rinascente di Milano con #enjoythefrontrow, progetto ideato dalla giornalista Paola Bottelli e fortemente voluto da Alberto Baldan, CEO del celebre department store, ha proposto cinque giornate (dall’11 al 15 ottobre) di sfilate ed eventi a porte aperte al pubblico. Un evento unico, per includere e non escludere.

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C’erano la passerella, le luci dei riflettori, le sedute, gli appassionati e i curiosi nello spazio Annex de La Rinascente. Una vera e propria location allestita a dovere per emulare quelle della settimana della moda. In uno scambio di ruoli che vede il cliente finale buyer per se stesso, il department store, segue il trend del “see now, buy now”. Le collezioni presentate, infatti, saranno esposte da Annex fino al 25 ottobre.

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Come una fashion week che si rispetti, non è mancato lo spazio ai nuovi talenti. Sono stati proprio i talenti di Fashion Lab, l’incubatore di UniCredit, Banca della Moda e Camera Nazionale della Moda Italiana, ad inaugurare la manifestazione, mostrando al pubblico le loro creazioni Autunno/Inverno 2016-17 in una sfilata collettiva. 

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Colori, stampe e grafismi di L72, Leitmotiv e Marcobologna hanno dato il via ad #enjoythefrontrow. Calcaterra ci ha stupito con i suoi volumi inediti e sartoriali e San Andrès Milano ci ha portato indietro nel tempo con il suo stile sapientemente retrò. Non è mancato il guardaroba genderless di Cristiano Burani e del brand Edithmarcel. Uno spazio ad hoc è stato riservato agli accessori: dalla tradizione e modernità di L’F Shoes, passando per i gioielli di Voodoo Jewels fino ad arrivare alle calzature dalle tinte inedite di Solovière.

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Al loro fianco si sono susseguiti i veterani dell’ambiente. N°21, Francesco Scognamiglio, Antonio Marras e Diesel sono solo alcuni tra i brand più famosi che hanno presentato le loro collezioni. Ad alternarsi, in queste giornate, anche le presentazioni-evento di Giuseppe Zanotti Design e di Kartell che ha lanciato la nuova collezione in collaborazione con Paula Cademartori.

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Un progetto ben riuscito, dedicato ad un target più ampio e diverso da quello del fashion system, che ha portato un totale di 3 mila persone tra clienti e visitatori. Un’edizione punto zero di #enjoythefrontrow che non si ferma solo sul reparto moda ma che punta al lifestyle, con già in calendario l’evento Love to ride, dall’8 al 13 novembre, in contemporanea con l’Eicma, l’Esposizione internazionale ciclo e motociclo.

Quando la giornalista si infiamma, i blogger rispondono sul web

Terminate le settimane della moda si spengono i riflettori, il sipario cala e si tirano le somme di quello che è stato. Lontano dalle folle e dai front row più celebri, si riflette sui lati positivi e su quelli negativi, su quello che funziona e su ciò che si potrebbe migliorare. E come ogni anno si torna a parlare dei blogger. La scintilla, che ha dato il via al dibattito più accesso del momento, non è la solita e solitaria voce fuori dal coro ma niente di meno che la redazione online di Vogue US, la bibbia del fashion system versione 2.0, diretta dalla impassibile Anna Wintour. Alcune delle più illustri giornaliste, in un articolo pubblicato su vogue.com, si sono scagliate contro blogger e influencer, denunciando l’invasione e non tanto opportuna presenza di quest’ultime. Nessuna novità rispetto gli anni precedenti. Unica piccola differenza in questa lotta tra giornalismo tradizionale e new media? Il modo, non tanto soft, con il quale è stato sferrato l’attacco.

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“Un appunto ai blogger che si cambiano dalla testa ai piedi, pagati per indossare un outfit diverso ogni ora: per favore, smettetela. Trovatevi un altro lavoro. State decretando la morte dello stile” è la prima a scrivere Sally Singer, Creative Digital Director di Vogue. Sembrerebbe voler difendere le influencer Sarah Mower, Chief Critic di Vogue.com: “È vero, le blogger sono irritanti, ma pensate alle aggressioni dei fotografi che le aspettano per la strada…È orribile e soprattutto patetico per queste ragazze: quante volte le disperate si fanno su e giù fuori dalle sfilate, nel traffico, rischiando incidenti nella speranza di essere snappate?” un intervento alquanto ambiguo, no?”. Continua Nicole Phelps, Direttore di Vogue Runway, citando le parole di Tomas Maier, direttore creativo di Bottega Veneta, e ricavando la sua opinione sulla questione: “Non è solo triste per le donne che si pavoneggiano davanti all’obiettivo, indossando abiti in prestito. È angosciante vedere anche tanti brand collaborare e stare al gioco”. Chiude Alessandra Codinha, Fashion News Editor di Vogue.com, usando l’artiglieria pesante per sferrare l’attacco più duro: “È divertente il fatto che continuiamo a chiamarli blogger anche se pochissimi di loro ormai lo sono, troppo impegnati a posare in modo spesso ridicolo e a farsi fotografare solo per aggiornare con gli scatti i propri profili social. È imbarazzante, se si pensa a tutto quello che succede nel mondo». Conclude: «Amare la moda è straordinario, ma cercare stile tra chi viene pagato per essere in prima fila è come andare in uno strip club per innamorarsi”. Anche Neiman Marcus, colosso della distribuzione di lusso, si schiera fianco a fianco con la redazione di Vogue, sottolineando come il blogging sia causa di perdite di fatturato.

Il contrattacco del mondo blogger non ha tardato ad arrivare. Bryanboy, socialite e businessman filippino, e Susanna Lau alias Susie Bubble, fashion blogger inglese, hanno scelto Twitter come campo di battaglia, scatenando un interminabile dibattito sui social. La stessa Susie Bubble ricorda come i magazine siano da sempre legati economicamente ai propri inserzionisti. L’essere pagato per indossare outfit è paragonabile ai crediti sulle riviste. Ora dopo ora, il web si è riempito di commenti in difesa delle starlette digitali, accusando Vogue di abusare della propria potenza ed elogiando il buon lavoro compiuto da blogger e influencer che, sembrerebbe, sarebbero in grado di far aumentare le vendite. Un potere che la pubblicità tradizionale pare aver perso. Un’affermazione con un proprio peso specifico quando si parla di vendite e fatturato. I protagonisti della rete non fanno miracoli e l’aumento di visibilità, commenti, like e cuoricini non porta alla conseguente azione di acquisto. Pur vero è che un post di Bryanboy o della Bubble ha molta più visibilità rispetto all’ultima copertina dell’ultimo numero scattato dal fotografo più famoso di una qualsiasi rivista di moda.

Nell’era del consumismo sfrenato, del see now buy immediately, dell’unisex alienante e del sogno ricorrente, i blogger sono la via più semplice del successo immediato, senza fatica e senza esperienza. Quel privilegio, proprio delle redazioni giornalistiche, di dispensare consigli di moda, di porsi su un piedistallo e benedire i propri fedeli si è perso. Influencer dopo influencer che predicano un sogno, mercificando la Moda, tra la folla in strada c’è e ci sarà sempre qualcuno che ha bisogno di tornare da quelle persone che la moda la sanno raccontare, con intelligenza, e non solo fotografare.

Seoul Effect. La street culture della Corea

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L’Oriente. Quel posto lontano che fin dall’Ottocento ci affascina e incanta grazie alla sua cultura e alle sue contraddizioni. E ci piace per questo: ci fa sognare, emozionare e allo stesso tempo discutere. In strada, negli uffici, nei luoghi pubblici e nei privati ne sentiamo parlare e per molti è diventato sinonimo di Giappone e Cina, tralasciando le altre nazioni che lo compongono. Prima fra tutte la Corea del Sud, quel ponte invisibile tra Oriente ed Occidente.

Quella piccola penisola asiatica che ricordiamo per il gusto pop di Gangnam style di PSY si insinua sempre più nelle mille sfaccettature della cultura globale. Basti pensare al remake, non tanto fortunato come l’originale coreano, del film Oldboy diretto da Spike Lee o all’amore di Terry Richardson e Jeremy Scott per la cantante/rapper CL, membro del gruppo kpop 2NE1 (to anyone o twentyone). O ancora le collaborazioni di AMBUSH e Chrome Hearts con il rapper G-Dragon, che con il suo stile camaleontico, il front row da brand come Lanvin e Saint Laurent per diversi anni e l’amicizia con Karl Lagerfeld si è conquistato un posto nel BoF 500, entrando a far parte della lista di persone che più influenzano e modellano il sistema moda. E anche la New York Fashion Week propone Concept Korea, un’intera passerella dove designer coreani presentano le loro collezioni a buyer internazionali. Dal casual allo sporty, passando per gli accessori e con l’inizio delle “settimane della moda” quali sono i brand che dovremmo conoscere e tenere d’occhio che ci propone la scena coreana?

78MM
87MM

“No concept but good sense” è lo slogan dietro la filosofia dei modelli Kim Won Joong and Park Ji Woon, fondatori del brand 87MM (eighty-seven milli). Attraverso l’avanguardia e le enigmatiche collezioni, i colori conservativi e il taglio sartoriale pulito, i due ci mostrano come la moda non richiede necessariamente un impatto visivo stravagante o ridondante. E pensare che tutto è iniziato da un web store, un web store talmente popolare trasformato poi in pop-up fisico.

BLINDESS
BLINDESS

La pelle è il tessuto che fa da filo conduttore alle collezioni di BLINDNESS, brand fondato dal collettivo di artisti con sede in Seul BLND STUDIO. Un’estetica minimale e alquanto unica che ritroviamo dai pantaloni con l’orlo scucito alla giacca slim in pelle, che riesce a mescolare l’arte contemporanea e la cultura giovanile.

KYE
KYE

Vivace e colorato, un mood street e un retrogusto anni 90 sono gli elementi che caratterizzano KYE (kah-ee). Il brand, fondato da Kathleen Kye, è uno dei più influenti e conosciuti di Seul. Grazie al suo approccio casual, spiritoso e leggero, i capi di Kathleen Kye, hanno trovato fama anche tra gli artisti di tutto il mondo come la cantante Rihanna.

JUUN.J
JUUN.J

Molti avranno già sentito parlare di JUUN.J, brand fondato da Jung Wook Joon, o avranno visto i sui capi indossati da rapper americani. Molti non sanno che anche Karl Lagerfeld è un suo cliente e lo indossa dal 2008. Acquisito dalla Samsung – Chaeil Industries, proprietaria di Bean Pole e licenziataria di Balmain, Thom Browne and Comme des Garçon, il brand vanta anche collaborazioni con Reebok e New Era. Nelle sue collezioni si respira un approccio moderno al design delle silhouette con un occhio sempre rivolto alla cultura street che fa definire lo stesso Jung un “sarto di strada”.

R.Shemiste
R.Shemiste

Stampe grafiche, colori forti e il desiderio di creare un capolavoro dal nulla. Questo è R.Shemiste, brand fondato da Won Ji Yeun e Lee Joo ho. Un brand diviso tra il forte femminismo e il lato delicato della donna, che insieme creano delle linee contemporanee e casual. Abiti collegati tra loro da un unico motivo, il ricordarsi di qualcosa, perché la donna che indossa un capo R.Shemiste in una determinata occasione, si ricorderà sempre di quel momento.

Sukajan, incontro-scontro tra culture

Da sx Valentino, Louis Vuitton, R.Shemiste
Da sx Valentino, Louis Vuitton, R.Shemiste

“Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono” cantava Figaro ne Il Barbiere di Siviglia e se il bomber non fosse soltanto un oggetto inanimato direbbe la stessa cosa. Da Saint Laurent a Louis Vuitton passando per Comme des Garçons e Stella McCartney, l’abbiamo visto ovunque, ci ha tentato, ammaliato e stregato sulle passerelle. Quello argentato proposto da Gucci l’abbiamo talmente tanto desiderato che alla fine ci siamo accontentati della copia trovata da Zara. Ma come nasce quella giacca ricamata in nylon che vogliamo e dobbiamo avere a tutti i costi?

La storia della moda ci insegna l’origine e lo sviluppo di vestiti e accessori, altre volte ci è difficile stabilire e dare un nome a chi abbia inventato un determinato capo d’abbigliamento. Il bomber è uno di questi casi. A distanza da 70 anni dalla sua invenzione sappiamo soltanto che c’entrano un soldato americano e un artigiano giapponese, entrambi anonimi.

Le sue radici sono da ricercare alla fine della Seconda Guerra Mondiale, durante l’occupazione americana di Yokosuka, città del Giappone nella baia di Tokyo. Per commemorare il tempo passato sull’isola, le truppe americane iniziarono a farsi ricamare sul retro delle loro giacche reversibili i tradizionali disegni giapponesi: fiori e alberi di ciliegio, geishe, tigri, dragoni e mappe dei territori conquistati. Le giacche diventarono letteralmente dei souvenir per il militare e un regalo per familiari e amici una volta tornato negli Stati Uniti. Da quel momento in poi vennero chiamate Sukajan: alcuni credono che il nome significhi “felpa del dragone del cielo”, mentre secondo altri deriva dall’unione di Yokosuka e la parola inglese jumper pronunciata con accento giapponese.

Quello che nacque come un souvenir per militari americani, ironicamente negli anni ’60 venne adottato in Giappone dai giovani della classe operaia come simbolo di ribellione. Ma la società per bene non la pensava ugualmente e affibbiò connotazioni negative alla giacca, era simbolo di legami con le gang e delinquenza giovanile. Tutt’ora il Sukajan lo ritroviamo nei film sulla Yakuza, la mafia giapponese, come uno dei capi preferiti dai criminali.

Giubotto ricamato conservato al Met Museum, 1968 ca.

Le guerre in Corea e in Vietnam estendono la popolarità della giacca al di fuori del Giappone. La brutalità della Guerra del Vietnam si rispecchia sui ricami delle giacche: i colori si spengono, i fiori di ciliegio diventano mappe del Vietnam e compaiono frasi politiche o contro la guerra. Una la più ricorrente: “When I die, I’m going to heaven because I served my time in hell”. Negli anni successivi la giacca diventa famosa in tutta America e Europa diventando il simbolo della controcultura grazie anche a rockstar come Mick Jagger, che la indossa in tour con i Rolling Stones.

Da sx Stella McCartney, Jonathan Saunders
Da sx Stella McCartney, Jonathan Saunders

Attraverso le icone della pop culture e le celebrità degli ultimi tempi il bomber è tornato ad essere presente nelle strade, nei negozi e nei nostri armadi. Nell’ultimo anno tutti, da Stussy e Supreme ad Adidas e Undercover, hanno reinterpretato lo stile di questa giacca senza tempo, cambiando materiale, passando dalla seta al nylon, ma sempre ponendo grande attenzione ai ricami. Ricami che devono raccontare di chi lo indossa, onorando e rispettando lo spirito originale del Sukajan.

Quattromani, un amore sulla via della paglia

Collage uscite

Ci sono amori che non finiscono mai, come quello di due amanti ostacolati dai propri familiari. 

La collezione Primavera Estate 2017 del brand Quattromani, il duo composto da Massimo Noli e Nicola Frau, presentata durante l’edizione di luglio 2016 di AltaRoma AltaModa, celebra l’amore passionale, quello travolgente e sentito ma allo stesso tempo doloroso. Una storia d’amore e passione che ha origine dalla loro terra, la Sardegna, il luogo natio dal quale traggono l’ispirazione.

Un campo di grano, il rosso dei papaveri e i toni scuri della notte. Il vento fresco, una strada poco battuta e due giovani amanti. Tra appuntamenti clandestini e ostacoli familiari si insinua la collezione PE 2017 del duo. Una collezione fresca e colorata che evoca la via della paglia, Sa bia de sa palla”, ovvero la strada tra le case di due innamorati. Strada percorsa ripetutamente al crepuscolo dai due amanti per incontrarsi lontano dagli sguardi indiscreti e che veniva disfatta durante il giorno dai familiari della ragazza per dissimulare eventuali legami inappropriati. Ma Sa bia de sa palla, in sardo, è anche il nome della Via Lattea, testimone della strada percorsa dagli amanti e del legame onirico tra il loro amore e l’infinita vastità del cielo stellato.

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Ed è sulla scia della brezza estiva e dei sensuali profumi che prendono vita gli abiti di Quattromani. Long dress e cocktail dress in crêpe de chine e crêpe cady stretti in vita da sottili fiocchetti in organza. Leggeri e delicati gli intrecci dal sapore demi-couture per top in maglia e lurex e per le jumpsuite in popeline di cotone. Impalpabili e vaporose le camicie e le pencil skirt in tulle e organza barrè. Tra organza, cotone e tulle, il focus è anche sugli accessori: mini e maxi bauletto, secchiello e mini clutch nelle tonalità del giallo, rosso, rosa azzurro e nudo con lavorazioni a contrasto e intarsi in pelle e ecopelle fanno da accompagnamento ai capi. L’estate sarda viene omaggiata anche dalla palette cromatica. Dalle infinite sfumature di blu dei panorami notturni, all’arancio dei coralli, al biondo delle spighe di grano fino al rosso dei papaveri.

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Una tensione estetica vibrante che condensa nella tradizione del racconto, una personale e neo-artigianale visione stilistica. Uno stile contemporaneo, lineare e minimalista, concentrato sui dettagli sartoriali e sulla silhouette della donna, dove il colore gioca un ruolo fondamentale e l’accessorio non è solo parte decorativa ma una parte funzionale e strutturale del capo stesso.1

Angelo Litrico, il sarto che taglió la cortina di ferro

Angelo Litrico
Ritratto di Angelo Litrico, 1975 (Archivio Litrico)

Dalla dolce vita al prét-à-porter maschile passando per la Guerra Fredda: un viaggio tra l’Archivio Storico di Angelo Litrico

Un teatro, un attore e un sarto. Era il 1956 quando il famoso attore italiano Rossano Brazzi si innamora del dinner jacket di Angelo Litrico. Ed ecco che inizia la sua storia, quella che si era già insinuata a piccoli passi lungo Via Veneto, la strada della Dolce Vita. Défilé maschili, modelli da uomo abbinati a capi femminili e richieste da tutto il mondo da soddisfare. Nasce la Maison Litrico.

Ma Litrico non è soltanto il sarto italiano dei vestiti su misura, dal gusto tradizionale e raffinato, riservati a una clientela prestigiosa ed internazionale fatta di attori, scrittori, direttori d’orchestra e banchieri. Dagli spezzati indossati da Richard Burton fuori dal set di Cleopatra a quelli dei Presidenti degli Stati Uniti Nixon e John Kennedy, tutti portavano la firma del sarto. Ma Litrico è il protagonista della storia passata, quella del dopo guerra, quando le grandi potenze mondiali si riunivano intorno ad un tavolo per discutere sul futuro prossimo dell’umanità.

12 ottobre 1960: Nikita Khrushchev sbatte la scarpa durante l'Assemblea delle Nazioni Unite
12 ottobre 1960: Nikita Khrushchev sbatte la scarpa durante dl’Assemblea delle Nazioni Unite

Siamo nel 1960. A New York si riuniva l’Assemblea delle Nazioni Unite e Nikita Khrushchev, segretario del partita comunista russo, si toglieva una scarpa, scuotendola e sbattendola ripetutamente sul tavolo in segno di protesta. Ancora non si è capito se Khrushchev si fosse tolto la sua di scarpa, ne abbia presa una in prestito da Gromyko, il Ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica, o se ne avesse una nella borsa. L’unica cosa certa è che quella stringata, di colore chiaro, rimasta poi su quel tavolo per tutta la durata dell’Assemblea, era firmata Maison Litrico. Da quel momento, Angelo Litrico, diventò il sarto dei grandi uomini politici che, con ago e filo, aveva spezzato la cortina di ferro.

Elena Ferro, "Il Foglietto", 16 febbraio 1961 (Sartoria Litrico, Rassegna stampa)
Elena Ferro, “Il Foglietto”, 16 febbraio 1961 (Sartoria Litrico, Rassegna stampa)

É una storia intensa ed emozionante quella di Angelo Litrico che si sviluppa negli anni di quell’Italia fatta di uomini che avevano voglia di fare, di ricostruire e di lasciare un segno dopo la scia di morte e distruzione portata dalla guerra.

Storia che ora è possibile rivivere attraverso il progetto di digitalizzazione della rassegna stampa dell’Archivio Storico della Maison italiana. Digitalizzazione finanziata dall’ICAR – Istituto Centrale per gli Archivi e la Soprintendenza Archivistica del Lazio. 46 album di rassegna stampa e 5.000 articoli in un arco cronologico che va dal 1954 al 1990 dei quali ne sono stati selezionati 700, tutti descritti e resi ricercabili all’interno del Portale degli Archivi della Moda e sul sito della Sartoria Litrico.

Un excursus storico e culturale attraverso i ritagli di giornale, ricco di emozioni, che ci porta a riflettere su come la moda italiana sia cambiata, ma neanche troppo, e sui problemi di ieri che sono gli stessi di oggi.

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