“In-caute trame”, alla galleria SpazioCima la personale romana dell’artista Federica Zianni

La Galleria SpazioCima di Roma  inaugura oggi una nuova stagione espositiva con la mostra IN-CAUTE TRAME, personale di Federica Zianni, vincitrice sezione Scultura MArteLive 2022. Curata da Roberta Tosi, IN-CAUTE TRAME racconta di “intrecci, reticoli astrali, trame dell’essere attonite e inquiete che si aprono come segni e presenze di segni ancestrali”, appartenenti all’anima o trasformatisi in materia che si piega o combatte. Un reale allegorico, dunque, o estremamente veritiero, ossimorico, è ciò che identifica le opere di Federica Zianni, in cui i contrasti di ombre e luci che caratterizzano il suo interrogarsi trovano anche nei materiali e nei colori, sapientemente scelti, la dualità e il contrasto delle possibili risposte; camere e lacci emostatici, dunque, ma anche legno e bronzo, nero e oro. Un’arte totalizzante, che esige un contatto e una pluridimensionalità creatrice di quel collegamento necessario tra spirito e mondo reale.

In-caute trame, la personale di Federica Zianni

“Se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all’uomo come in effetti è, infinito”. William Blake

Dove finisce il nero che aggroviglia i pensieri, l’oro liquefatto che arroventa la forma e la solidifica? Intrecci, reticoli astrali, trame dell’essere attonite e inquiete si aprono come segni e presenze di segni ancestrali, quelli che appartengono all’anima e lì restano a tratti inespressi, altri trovano la via coraggiosa della materia che si piega o combatte. Tra le mani di Federica Zianni si muovono, si ergono raffigurazioni ardite suscitate dall’incontro o scontro con la realtà, colta nell’intimo della sua inespressa essenza. In fondo raffigurare significa “mettere in figura”, ovvero rappresentare nell’allegoria, o simbolicamente, il reale da cui non si fugge e non ci sono sconti, né facili risoluzioni. Da questo incontro sempre generativo dove i contrasti diventano singolarità, teatri d’ombre e di luce che si dibattono e gridano la loro lotta con la vita, nascono opere come paradossi, quasi fossero scherzi del destino che interrogano e disturbano se l’esistenza diviene solo un facile attraversamento dei giorni. Ma l’arte, quella vera non appare mai un mansueto attraversamento: «Nessuna opera regge se dentro di sé non ha tutto il pathos e tutta la sofferenza dell’autore. (…).

In-caute trame, la personale di Federica Zianni_credits Courtesy of Press Office
In-caute trame, la personale di Federica Zianni_credits Courtesy of Press Office

Né video art, né body art, né concettuale art, acephal art, squallida art, fecal art. Nessuna comic art o ethnic art. Solo un eterno punto interrogativo inchiodato al cielo.», ha scritto Claudio Parmiggiani. Quel punto interrogativo è anche ciò che scuote la ricerca di Zianni quando la raggiungono le sue improvvise apparizioni, sul finire del giorno. Scende allora l’artista, scende e risale la scala preziosa dell’esistenza, la sua Scales, quasi fosse la scala biblica di Giacobbe, ne cercasse l’accesso o ne togliesse la pelle, di più, le squame. Come fossimo anche noi creature che si dibattono, tra terra e acqua, anche cielo, e forse è così. Quasi cercasse le «immagini spettrali a strati sovrapposti sino all’infinito, avvolte in membrane infinitesimali» di Balzac, sedimentando tessiture di vita e interrogandosi costantemente sulle sue forme, su ciò che è e, soprattutto, non è. Il percorso è lungo, un parto nel tempo accolto quando ancora Federica muoveva i primi passi nell’arte e dunque nella vita, per giungere a materia e sostanze in continuo affanno tra loro, sospinte da forze centripete che stringono, avvolgono, proteggono. Anche la scelta dei materiali, che non è mai un caso, si scopre a tratti duttile, docile, arrendevole come camere d’aria e lacci emostatici, altri potente e salda, come bronzo o legno. L’intreccio di forze contrastanti, l’insaziabile scelta del controcanto cromatico come il nero, nel profondo che tutto trattiene, e l’oro, icona che spalanca e apre, creano un equilibrio che riassume e ritrova l’istinto al viaggio archetipico. Non potrebbe essere che così quando, faccia a faccia, come di fronte a uno specchio che non riflette ma evoca, si chiede: Who are you? Interrogativo che cela tra le pieghe, ciò che non rivela: “Who am I?”. O ancora, il suo I’m looking for the Man, bronzo teso e aggrovigliato dell’anima che non si arrende e si protende come un Diogene con la sua lanterna, a cercare l’Uomo, l’essere umano stesso e la sua verità. Una ricerca inquieta, perché inquieta è la realtà che viene assoggettata ai propri desideri o bisogni ma rimane lì come quella spada, risoluta a cedere e a risvegliare le coscienze. Appesa quasi per errore, pronta al minimo sussulto, Restless of Democles è questo monito a cui fa quasi da eco In case of emergency. C’è sempre un’emergenza che impone la sua evidenza e ci scopre a volte fragili, sulla soglia, nell’oro e nel nero, tra trame d’aria e di respiro. Trame che si scoprono Reticulum, grandi e piccoli, e tornano, tornano sempre. Linee sovrapposte che imbrigliano il pensiero, lo celano al sentire distratto, pieghe oscure che trattengono la luce per non schiuderla a chi non ne è degno. Il movimento diventa costante, l’inseguimento infinito e bussa alle porte dell’Io e al mistero di ciascuno, anche a costo di svuotarne la custodia per accedere a una semente incapace di generare. Cosa resta di un melograno che non produce più frutto, paradigma di una vita in cui si è donato tutto? S’intrecciano fili, si avvolgono reticoli che chiedono, no esigono, il contatto, pelle a pelle, perché l’arte o è in questa totalità o non è. Federica Zianni lo afferma, senza reticenze: nella bidimensionalità si sente soffocare. Così spodesta la mano dalla sua quiete e oltrepassa il vuoto, quello che resta attorno alle opere, lo spazio necessario perché l’arte avvenga, si compia l’incontro e ci sia il lungo succedersi dei momenti, uno dopo l’altro. Laddove il mondo accelera, l’arte sospende, chiede tregua, trattiene lo sguardo per inabissarsi nello spirito e trovarne l’accesso. Se questo avviene, allora ci sarà la possibilità di cambiare rotta, tagliare i cordoni che imbrigliano, le cravatte al collo che imprigionano ma, al contempo, sciolgono i fili incostanti dei giorni e si appuntano al chiodo come memento. E allora, tutto questo non sarà stato invano”, scrive Roberta Tosi nel testo curatoriale.

Milano Fashion Week, in passerella l’ “Unicità” di Ermanno Scervino

Una lettera d’amore alla sapienza artigiana.
Ermanno Scervino è scultore di bellezza, celebra la femminilità attraverso ricami elaborati, tessuti preziosi e volumi che esaltano il corpo, esprimendo il suo amore per la grazia delle donne e per la maestria artigiana che contraddistingue la maison.
Ritratto di femminilità volitiva e determinata, libera, in cui la moda assolve al suo compito di disegnare ed accarezzare il corpo, esaltare la personalità come un alleato che consente alle donne di abbracciare la propria unicità.

Ermanno Scervino SS 24
Ermanno Scervino SS 24

La moda è slancio creativo, artigianalità, eccellenza, sapienza.
Per la collezione primavera/estate 2024 presentata durante Milano Fashion Week, Ermanno Scervino distilla l’essenza dell’abbigliamento, costruendo un guardaroba di pezzi unici che sono espressione della maestria dell’atelier Scervino e dei suoi artigiani, cultori dell’abilità sartoriale.

Ermanno Scervino SS 24
Ermanno Scervino SS 24

Abiti eterei e impalpabili, sensuali nella loro linearità, si muovono sulla passerella come sospinti dal vento. Abiti bustier che segnano la figura diventano tele disegnate con ricami floreali. Rouche plissettate come petali che ondeggiano fino a toccare il suolo scivolano su abiti a corpetto. Le sottovesti sofisticate bordate in pizzo, gli abiti in maglia a coste beige e in organza nera, sono rivelatori, immacolati e maliziosi.

Ermanno Scervino SS 24
Ermanno Scervino SS 24

Piccoli petali in organza prendono vita ornando la maglieria, tra cui cardigan dai volumi generosi, e parka indossati con lingerie in camoscio. Gli stessi petali anche su trench oversize in gabardina di cotone o camoscio, insistono sul contrasto tra forza e delicatezza, protagonista del vocabolario stilistico di Ermanno Scervino.

Ermanno Scervino SS 24
Ermanno Scervino SS 24

Il tailleur di stagione, una giacca doppiopetto decostruita abbinata a micro-short, è in colori pastello, pieni ma delicati, come l’azzurro luce, colore iconico del marchio. Celebrando la sapienza artigiana, Ermanno Scervino esalta la forza degli abiti come strumento di autodeterminazione, la vera essenza della moda.

Photo credits Courtesy of Press Office

Milano Fashion Week, la moda racconta il cinema nella collezione di Antonio Marras

“Sono solo un narratore, e il cinema sembra essere il mio mezzo.
Mi piace perché ricrea la vita in movimento, la esalta.
Per me è molto più vicino alla creazione miracolosa della vita che, per esempio, un libro, un quadro o la musica.
Non è solo una forma d’arte, in realtà è una nuova forma di vita, con i suoi ritmi, cadenze, prospettive e trasparenze.
È il mio modo di raccontare una storia.”
(Federico Fellini)

Io uso la moda per raccontare e l’ho imparato andando al cinema. Il cinema, fonte inesauribile di storie, di sogni, di mood, di personaggi, di costumi, di set, di racconti di esistenze eccezionali o di straordinaria normalità. Il cinema è indispensabile compagno di vita. E ancora di più per me, per il lavoro che mi sono ritrovato a fare. Io, onnivoro di cinema, ho trascorso la mia adolescenza seduto tra il Selva e il Miramare di Alghero vedendo e rivedendo in loop film che ancora ora fanno parte del mio vissuto. I personaggi sono famiglia, comprimari ai parenti, le loro storie sono le mie storie, le loro vicende le ho provate anch’io e quello che sono è anche il risultato di quello che ho visto al cinema. Intimo e corale, condivisione e momento di interiorità, come nessun’altra forma di spettacolo lo è. Quando si spegne la luce e parte la musica con i titoli di testa è come se ci imbarcassimo in una navicella spaziale che ti porta altrove e niente importa più.
“Credo profondamente in quel linguaggio essenzialmente visuale che è il cinema e arrivo a dire che un film dovrebbe essere compreso dagli spettatori anche se questi non conoscessero la lingua originale. Ritengo che il cinema sia forma d’espressione molto più potente del teatro… e anche della televisione, perché è reazione collettiva. Il grande schermo ricopre un ruolo in questo fenomeno. Quando la gente guarda un film al cinema è più concentrata.”
(J. Losey)

Antonio Marras SS 24
Antonio Marras SS 24

Quando, nel 1967, ad Alghero è sbarcata la troupe di Joseph Losey alla ricerca di un set ideale, io avevo sei anni ma mi ricordo, eccome se mi ricordo. E con il tempo il film, le star, gli avvenimenti, le comparse del luogo, i pettegolezzi, i tentativi di rapimento, il mega yacht Kalizma della coppia stellare con cani, bambini, cuochi, capitani e marinai al seguito, i gioielli di Bulgari della Diva, gli abiti realizzati apposta dall’Atelier Tiziano da un giovane Karl Lagerfeld, copricapi di Alexander da Parigi, il cibo fatto arrivare direttamente da Londra con l’aereo ogni giorno, il tanto alcool, le liti fra i due protagonisti, la falesia di 186 metri di Capo Caccia e la villa bianca stratosferica a picco sul mare che, agitato, continua a sbattere sugli scogli e il vento, hanno assunto un’aurea di mito.

Antonio Marras SS 24
Antonio Marras SS 24

Da poco sono incappato nel docu-film di Sergio Naitza “L’estate di Joe, Liz e Richard”, che ricostruisce la mitica lavorazione di un film destinato a diventare, nel bene e nel male, un grande cult. E allora mi sono immerso in quell’estate calda dove il confine tra realtà e finzione, tra vero e falso, tra ricostruito ed esistente, tra recitato e rivelato, tra immaginario ed effettivo era solo un flebile soffio di vento.


Il film BOOM! in italiano “La Scogliera Dei Desideri” sceneggiato da Tennesee Williams dal suo script teatrale “The milk train doesn’t stop here anymore“ interpretato da divi del calibro stellare di Elizabeth Taylor e Richard Burton ha catapultato Hollywood nel mezzo di un paese incontaminato, vergine e selvatico.

Come per magia, dal Monte Lee, Hollywood atterra vicino a casa mia, ai confini dell’Impero, nella terra più pura e incontaminata del mondo.
Hollywood sulla scogliera di Capocaccia, Alghero, Sardegna.

Come non esserne affascinato?
Ho pensato che prima di tutto ci dovesse essere una Diva, una Diva vera, con la D maiuscola, che non si inventa né improvvisa. Una Diva che potesse bene interpretare un mondo alla Hollywood Babilonia dove tutto è possibile, dove un desiderio è un ordine, dove l’inimmaginabile diventa quotidianità, basta pensarlo, scriverlo e girarlo. Marisa Schiaparelli Berenson si affaccia, girovaga, fluttua. Fascino, talento, interpretazione, Diva tra arte e vita.

Il cinema, né un’arte, né una tecnica, un mistero.
(J. L. Godard)

Nel set di sfilata allestito come vari studi cinematografici si alternano attori, attrici, lavoranti, dive, segretaria di produzione, costumista, segretaria di edizione, assistente personale, sarta, regista, produttore, coordinatore del set, ciakkista, fonico macchinista, comparse e modelle e modelli e aspiranti attrici.

Antonio Marras SS 24
Antonio Marras SS 24


Tra caftani evanescenti e ondivaghi, abiti couture, vestaglie, tailleur sartoriali strizzati in vita, look maschili over, spolverini, pencil skirt, tubini e abiti da grand soirèe drammatici e divini. Abiti croccanti dai colori dei macaron. Pizzi chantilly, valenciennes, macramè, intarsi, ricami, perline, paillettes tutte a ruches, tulle plissè e flocckati, pied de poule, vichy, prince de galles, pois e righe, gessati e damaschi. E cotoni. Mazzi di rose e rose piazzate, onde, stampe acquellate e fanè.

Ecrù, sabbia, nacre, polvere e nero, tanto nero e lilla, giallo, rosa e celeste.
Maglia intarsiata e tridimensionale, pelle, costumi e jersey.
Tutto insieme, un muoversi di camera, taglia e cuci di inquadrature e scene e l’arte dell’improvvisazione.

Il cinema non è un mestiere per deboli di cuore.

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“Il Processo”, con Marianna Montagnino lo storico programma sportivo riparte in bellezza su 7 Gold

È tornato il campionato di calcio e, con il ritorno in campo della serie A, non poteva mancare la ripresa del Processo, il programma sportivo per eccellenza, che vanta la maggiore tradizione e l’audience più ampia nel panorama della TV italiana.

Maurizio Biscardi, figlio dell’indimenticabile Aldo, raccoglie l’eredità del maestro di quel giornalismo sportivo anni 90, capace di inchiodare ai teleschermi milioni di amanti del calcio, appassionati delle diatribe tra opposte fazioni, delle polemiche e dei dibattiti sui rigori negati, sul fuorigioco millimetrico e sui goal non goal della passata domenica calcistica.

Autentico visionario, precursore ante litteram del VAR di oggi con la sua idea della moviola in campo, Aldo Biscardi ha cresciuto a pane e pallone stuoli di giornalisti sportivi, creando la figura degli opinionisti calcistici che affollano oggi le trasmissioni sportive.

Maurizio Biscardi ripropone su 7 Gold la nuova edizione di quel Processo che ogni lunedì accende le passioni calcistiche di tutta Italia e che tutti noi abbiamo sempre attribuito al maestro Biscardi, tanto da farne un autentico marchio di fabbrica.

Una ventata di freschezza viene quest’anno dalla bellissima co-conduttrice, la torinese Marianna Montagnino, originaria di Cinzano Torinese che, nonostante la giovanissima età, vanta già un bagaglio di importanti esperienze maturate nel mondo dello spettacolo e, in particolare, nel giornalismo sportivo, specie in tv, dove si è distinta in programmi cult come La Domenica Sportiva e Tiki Taka.

Splendida modella, brillante presentatrice e capace conduttrice televisiva, Marianna ha iniziato la sua carriera di giornalista sportiva nella città Sabauda, come volto femminile di Toro Channel. Ora, dopo le esperienze in Rai e Mediaset, è pronta al salto con un ruolo da conduttrice del Processo al fianco di Maurizio Biscardi.

Ho accolto con emozione ed entusiasmo l’invito di 7 Gold ad affiancare Maurizio Biscardi alla conduzione dello storico programma TV – afferma Marianna al termine della trasmissione d’esordio – si trattava della mia prima conduzione da protagonista, per giunta in diretta, una motivazione in più per dare il meglio, trasmettendo agli sportivi tutto il mio entusiasmo e la mia passione per il calcio che amo e seguo da sempre. L’esperienza di Maurizio e l’ispirazione del maestro Aldo sono uno stimolo ulteriore per lasciare il segno, contribuendo, con la mia professionalità, alla conferma dei brillanti risultati in termine di audience che appartengono da sempre a questa trasmissione”.

Il sorriso disarmante, la bellezza, il fascino ma, soprattutto, le grandi doti empatiche, l’attenta preparazione e le solide capacità professionali. Queste sono le qualità di Marianna Montagnino, emerse durante la prima puntata andata in onda lunedì 18 settembre, cifre stilistiche caratteristiche di Marianna e che, oltre ad emergere all’attenzione del pubblico, costituiscono il valore aggiunto per un programma sportivo che saprà rinnovare i fasti e i successi delle precedenti edizioni.

Appuntamento quindi ogni lunedì su 7 Gold, per una nuova, imperdibile edizione del Processo, con Marianna Montagnino.

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“Le origini delle buone maniere a tavola”, alla galleria d’arte Casa Vuota di Roma la mostra di Alberto Maggini

Il corpo dell’artista si smembra e si fa cibo, fra seduzione e cosmesi, per apparecchiare un ironico banchetto capace di scardinare la separazione tra natura e cultura, ambientando le trasgressioni rispetto alle regole imposte nel luogo in cui esse sono codificate e tramandate: un appartamento borghese. L’appartamento è Casa Vuota, lo spazio espositivo indipendente in via Maia 12 a Roma, che allestisce dal 21 settembre al 5 novembre 2023 Le origini delle buone maniere a tavola, una personale di Alberto Maggini. La mostra si inaugura giovedì 21 settembre dalle ore 18:30 alle 21 e, dopo l’inaugurazione, è fruibile dai visitatori su appuntamento.

lberto Maggini, Giardiniera, 2023, ceramica smaltata, 45 x 28 x 14 cm
lberto Maggini, Giardiniera, 2023, ceramica smaltata, 45 x 28 x 14 cm

Spiegano Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, ideatori del progetto curatoriale di Casa Vuota: “Costruita su misura con un approccio versatile e multilinguistico, utilizzando la struttura dell’ambiente domestico come traccia per ordinare uno spazio che rievoca i modi propri dell’abitare e le abitudini che si hanno al suo interno, Le origini delle buone maniere a tavola si presenta come una grande installazione che si disloca nei vari ambienti espositivi dell’appartamento e si compone di elementi scultorei in ceramica, di dipinti, di ricami e di un video che documenta una performance. Questi artifici concorrono, tutti insieme, a portare gli spettatori al centro di un sontuoso banchetto cannibale, vegliato da due nasute allegorie arcimboldiane dell’Abbondanza e della Vanità. Alla pienezza della stanza conviviale, si contrappone uno spazio più vuoto e intimo. Qui si viene invitati a spiare nella penombra di una camera da letto, abitata da due enigmatiche figure dotate di elmi e pantofole, intente a loro volta a guardare uno spot pubblicitario sulla cura del corpo, che rende esplicito il discorso su consumismo, capitalismo e merce”.

Alberto Maggini, Tacchino ripieno al forno, 2023, ceramica smaltata, 45 x 31 x 20 cm
Alberto Maggini, Tacchino ripieno al forno, 2023, ceramica smaltata, 45 x 31 x 20 cm

La ricerca artistica di Alberto Maggini riflette la sua formazione in biologia e botanica e il suo interesse per le ecologie queer, per la mitologia e più in generale per la reinterpretazione degli archetipi visivi che definiscono le culture dominanti ed egemoniche del nostro tempo. In questa mostra, nello specifico, l’artista si sofferma sul continuo gioco di rispecchiamento dell’uomo nella natura, sulla sua passione per la classificazione biologica che attribuisce “nomi e cognomi” a piante e animali e sulla separazione tra natura e cultura che giustifica il dominio esercitato dall’uomo sulle altre forme di vita.

Alberto Maggini, Giardiniera, 2023, ceramica smaltata, 45 x 28 x 14 cm
Alberto Maggini, Giardiniera, 2023, ceramica smaltata, 45 x 28 x 14 cm

L’artista parte da una riflessione sull’idea di natura e sui suoi significati culturali. Il principio ordinatore che da essa si fa discendere viene usato, nel mondo occidentale, per separare e distinguere ciò che è considerato innato, selvaggio, spontaneo da quanto è coltivato, civilizzato, artificiale, il crudo dal cotto. Ciò che non è naturale è perciò innaturale, secondo un senso morale che vede l’ordine minato dalla presenza dell’errore, del mostro che trasgredisce i confini delle specie. “Tali aberrazioni di natura – annota Alberto Maggini – sono state meravigliosamente rappresentate nei bestiari medievali, in cui a ogni bestialità veniva associato un traviamento della norma”. Vizi e virtù si ritrovano dunque rispecchiati nelle forme della natura, che diventa una gigantesca camera di risonanza per gli ordini morali che l’uomo crea.

L’esaltazione dell’errore, in chiave queer, ispira nella pratica artistica di Alberto Maggini l’utilizzo del corpo umano come strumento per ridurre la frattura tra natura e cultura: se da una parte infatti, in quanto elemento biologico, esprime la sua naturalezza, dall’altra è un mezzo di espressione della cultura di una società. Rievocando in maniera archetipica fertilità e resurrezione, l’artista prende in prestito i miti sullo smembramento disseminati tra le culture di popoli molto distanti fra loro e smembra il suo stesso corpo per offrirlo allo sguardo di un pubblico antropofago.

Il corpo dell’artista – argomenta – si smembra diventando cibo. Si fa bello per sedurci, come alimento afrodisiaco, ci confonde tra le sue decorazioni e guarnizioni, mascheramenti e trattamenti di bellezza. Attraverso il suo smembramento indago la transitorietà, il cambiamento, la mutevolezza della vita sociale, delle regole che reggono i comportamenti individuali e collettivi, sfidando l’ideologia capitalista patriarcale. Lo smembramento seduttivo che metto in scena asseconda con ironia le regole del capitale, secondo le quali soltanto decorazioni e accessori sono oggetto di una perpetua e superficiale trasformazione”.

Alberto Maggini, Le Virtù - Vanità e Abbondanza, 2023, ceramica smaltata, 48 x 38 x 67 cm (ognuna)
Alberto Maggini, Le Virtù – Vanità e Abbondanza, 2023, ceramica smaltata, 48 x 38 x 67 cm (ognuna)

Scrivono Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo: “Con il suo progetto installativo ipercolorato e saturo di elementi formali, culturali e simbolici, metabolizzati dal ventre-casa nell’itinerario di una fantasmagoria abitabile, Alberto Maggini ci conduce direttamente al cuore delle metamorfosi, dove il già scritto si svela nella possibilità di un errore vivificante, in un cortocircuito tra mito e cibo che fonda il nostro essere mutanti. Per il suo ritorno a Roma dopo una lunga stagione di studio e di ricerca a Londra, Alberto Maggini si confronta con le memorie di una romanità monumentale fatta di marmi, mascheroni e sculture che, incontrandosi con paillettes, resine, acquerelli, ricami e con gli smalti della ceramica lavorata con una minuziosa preziosità, vengono ripensati come cifre di un linguaggio queer, donando leggerezza a quello che sembra inamovibile e immutabile. Il volto dell’artista, le sue dita, il naso, la bocca e persino i glutei vengono riprodotti e, graziosamente, imbanditi come se fossero insalata russa o tacchino, in un’ipotesi di commestibilità non commestibile che, nel titolo della mostra, cita esplicitamente gli studi dell’antropologo Claude Lévi-Strauss. Il corpo è misura dell’esperienza, il cibo è veicolo della trasformazione e la tavola, con il suo affastellarsi di miti, credenze, comportamenti, è il teatro per inscenare le strutture sociali più profonde, gli stereotipi, la nevrosi umana del classificare ed etichettare che si fa pregiudizio, mettendone a nudo l’innaturalezza naturalizzata e la smania cannibale mai si sazia”.

“Nel ricreare l’interno di un appartamento borghese – conclude Alberto Maggini – genero un linguaggio fatto di miti, modi di stare a tavola e ricette per cuocere i cibi. Tali usanze infatti dicono in realtà molto di più: per quanto appaiano casuali, sono il mezzo attraverso cui una società traduce inconsciamente la propria struttura mentale o addirittura rivela, sempre senza saperlo, le proprie contraddizioni”.

About Alberto Maggini

Alberto Maggini (Roma, 1983) ha conseguito una laurea in biologia e un master in botanica ed ecobiologia presso l’Università Sapienza di Roma e un master in arti visuali presso il Chelsea College of Arts di Londra. Tra principali mostre alle quali è stato invitato, si segnalano a Londra nel 2022 A celebration of LGBTQIA+ artists and creative communities alla Tate Late della Tate Modern, They/Them/Their: Naturally Not Binary alla IMT Gallery e Crafting Ourselves all’Ugly Duck and Courtauld Institute of Art, nel 2021 A Lost World al Sotheby’s Institute, Diva’s Boudoiralla Deptford Does Art Gallery, la performance Make Utopia Great Again all’interno di Qw’ere London alla Matchstick Piehouse Gallery e Why do you tear my from myself? alla Cookhouse Gallery e in Austria nel 2018 Animism alla Fortezza di Salisburgo. Ha esposto inoltre in Grecia ad Atene e a Tessalonica e in Italia a Milano e a Roma ed è stato in residenza nei Pesi Bassi, in Belgio e in Portogallo. Nel 2023 è fra gli artisti vincitori del bando Italian Council 12indetto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

Photo credits Courtesy of Casa Vuota

“Aeterni”, a Roma le gerarchie celesti nella personale di Roberto Di Costanzo

Inaugurerà al pubblico il prossimo 20 settembre l’esposizione “Aeterni – Le gerarchie celesti” dell’artista,pittore, ritrattista, Roberto DiCostanzo, a cura di Cornelia Bujin,promossa da ICAS Intergruppo Parlamentare “Cultura, Arte, Sport” di cui l’Onorevole Federico Mollicone è fondatore e coordinatore con gli auspici della Presidenza della Commissione Cultura della Camera dei deputati, e realizzata in collaborazione con Roberto Di Costanzo Home Gallery in Roma.

Aeterni - Le gerarchie celesti
Aeterni – Le gerarchie celesti

“Voi, chi siete? …Voi, opera prima felice, beniamini del creato, profili di vette, crinali di monti all’aurora dell’intera creazione, polline della divinità in fiore, articolazioni di luce, varchi, scale, troni, spazi di essenza, tumulto di sentimento in uragani di entusiasmo, e d’un tratto, ad uno ad uno, specchi, che la bellezza emanata da voi riattingete nei vostri volti”. Rainer Maria Rilke

La mostra sulle gerarchie celesti degli Angeli di Di Costanzo è unica e preziosa. Unica perché ideata e disegnata appositamente per il meraviglioso chiostro di Palazzo Valdina e preziosa perché vivifica l’arte del puro disegno a china di cui Di Costanzo è maestro. La tradizione degli angeli eternizzati nel Paradiso della Commedia si rivelano al visitatore come pure creature veglianti nell’ordine del numero e della simmetria. Una mostra che fa pensare e ci riporta alla nostra condizione di esseri umani in sincronia, inconsapevole ma presente, con le sfere celesti.” Federico Mollicone, Presidente Commissione Cultura  Camera dei deputati.

Aeterni - Le gerarchie celesti
Aeterni – Le gerarchie celesti

Aeterni – Le gerarchie celesti

 A cura di Cornelia Bujin                                                                    

Forse gli angeli sono le nostre idee migliori vaganti nello spazio.
                                                                                                                                                              Kahlil Gibran

Il progetto espositivo “AETERNI – Le Gerarchie Celesti” dell’artista Roberto Di Costanzo, nasce dall’incontro singolare di una narrazione tra elementi di natura spirituale e narrativa del mondo misterioso degli angeli e la loro rappresentazione e scomposizione semantica mediante il segno grafico.

Ci sono sorrisi di santi, angeli e arcangeli sui volti delle statue nelle cattedrali. E noi non sappiamo più guardarli“- Eugène Ionesco – Roberto Di Costanzo infonde in questa narrazione, nuova vita alle figure alate, facendole trasmigrare dal loro contesto originale secondo un racconto che trascende il linguaggio classico, mantenendo altresì il fascino celeste di questi esseri superiori, così come farebbe un insegnante ai suoi allievi.

Il risultato è fortemente empatico e all’osservatore viene richiesto soltanto di acconsentire a mettersi in viaggio, uscendo dal territorio ben noto del senso comune conoscendo o riconoscendo quei luoghi reali e dell’anima, imparando la lingua degli angeli.

Non esiste religione che li ignori, che ci crediamo o no, gli angeli sono i nostri messaggeri. Oggi, poi, ritornano di moda e la loro immagine viene riscoperta, nella cinematografia come nel fashion, nella fotografia, nella scultura, nelle arti più in generale. In realtà gli esseri alati non hanno mai abbandonato la nostra immaginazione e nelle opere di Di Costanzo, ci appaiono ancora più vicini, come compagni di viaggio.

Circa quindici opere presentate in formato variabile, china nera su carta e pastello di cui nove di grande formato pensate come installazioni aeree che introducono e accompagnano il visitatore in questa esplorazione, rappresentando al contempo, il principio più alto della comunicazione libera da condizionamenti, allusiva di un linguaggio universale fatto non soltanto di parole, ma anche di gesti, segni, colori, suoni, odori, materiali e persino silenzi. Una lingua capace di affratellare ogni essere così come pensavano gli umanisti rinascimentali, convinti che ognuna possedesse la facoltà di perfezionarsi, diventando simile agli angeli.

Aeterni - Le gerarchie celesti
Aeterni – Le gerarchie celesti

E’ come se, in un clima di spaesamento e di fissità̀ astratta, venisse investita l’immagine stabilendo così un rapporto diretto con l’osservatore dimenticando le tecniche costruttive che divengono così, fascinazione pura. Questo viaggio interpretativo e iniziatico, Di Costanzo l’ha intrapreso grazie anche allo studio e analisi della simbologia della Dottoressa Mariangela Di Costanzo, studiosa di angeologia e dottrine esoteriche, la cui visione e lettura archetipica, ha contribuito alla interpretazione iconografica indagando proprio il rapporto tra il culto cristiano e le tradizioni angeliche ortodosse delle grandi religioni semantiche.L’esposizione presentata nel Chiostro e nella suggestiva Sagrestia di Palazzo Valdina è la rappresentazione di un cammino artistico di ispirazione ecelebrazione del regno angelico nel suo ordine celeste cogliendo, come ulteriore suggestione,   la  data  del  29  settembre  in cui  si celebrano i tre

Arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele: esseri incorporei, spirituali, perfetti, creati da Dio all’inizio dei tempi con lo scopo di farne i suoi servitori e messaggeri.

Lo stesso Walter Benjamin nel “Geschichtsphilosophische Thessen” nel 1940, scrive: “C’è un quadro di Paul Klee che si intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato…Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro……”. Così, non senza un pizzico di ironia, il maestro Di Costanzo si rivolge a noi in queste lezioni (lui stesso un angelo?) insegnandoci a mettere le ali, finché riusciremo a volare da soli riscoprendo i luoghi più intimi e nascosti della nostra anima esplorando i moltepliciruoli degli angeli e le loromanifestazioni, quali messaggeri, mediatori, guardiani e compagni di vita.

Aeterni - Le gerarchie celesti
Aeterni – Le gerarchie celesti

Durante l’esposizione, all’interno della Sacrestia, verrà proiettato un filmato della Ccedits di Emanuele Pasutto che ripercorre il percorso creativo dell’artista durante questo intenso periodo di disegno e visioni.

Durante l’inaugurazione avrà luogo una performance artistica a cura di due danzatori  della  Mvula Sungani Physical Dance Studios.

L’esposizione sarà visitabile, con ingresso gratuito da giovedì 21 settembre a venerdì 29 settembre dalle ore 11.00 alle 19:30 (ultimo ingresso ore 19:00).

About Roberto Di Costanzo 

Illustratore, ritrattista, pittore, dopo gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia in costume, scenografia e arredamento per il cinema sotto la guida del suo mentore, il Maestro costumista e premio Oscar, Piero Tosi. Seguono numerosi lavori come illustratore per case editrici italiane ed estere tra cui Azimut e Editions Nomades. Molte le mostre collettive e personali in Italia e all’estero, tra cui l’Espace Pierre Cardin.

I suoi lavori vengono poi esposti alla Casa dell’Architettura di Roma, all’Institut Français – Centre Saint-Louis e alla 71esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.

Nel 2019 ha inaugurato il suo atelier in Via Giulia 111, nel cuore di Roma.

A dicembre 2020 ha presentato il suo settimo libro illustrato “Roma. Viaggio segreto con Eros”, edizioni Efesto.

Da Ottobre 2021 fino ad agosto 2022 l’Atelier di Roberto Di Costanzo è stato inserito nel prestigioso complesso cinquecentesco di PalazzoAntonio Massimo a Roma, dove propone corsi di disegno, mostre ed eventi culturali.

Da settembre 2022 ha creato Roberto Di Costanzo Home Gallery, spazio espositivo negli ambienti domestici, nel quale è inserita tutta la sua produzione artistica.

È docente di iconografia e disegno anatomico, disegno dell’architettura di stile e arredo e cromatologia all’Accademia Italiana di Roma e storia del Costume all’Accademia del Lusso. Conduce corsi privati di disegno e pittura e workshop di disegno del paesaggio.

Photo credits Courtesy of Press Office

“Italia Metafisica”, a Foligno in mostra gli scatti del fotografo George Tatge

All’interno delle imponenti sale del Centro Italiano Arte Contemporanea (CIAC) di Foligno fino all’8 ottobre 2023 si potranno ammirare in tutta la loro raffinata bellezza gli scatti del fotografo George Tatge, in una mostra dal titolo: “Italia metafisica”, che porta in luce le tracce che l’uomo genera, produce e talvolta abbandona. L’esposizione è stata curata da Italo Tomassoni, nonché uno dei fondatori del CIAC di Foligno, di cui è il direttore artistico dall’inaugurazione nel 2009, inoltre la mostra è stata organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno e dalla produzioni di Maggioli Cultura. Sono state presentate 66 immagini in bianco e nero, nelle quali sono rappresentate architetture, edifici minori e manufatti di ogni tipo che l’uomo lascia dietro di sé.

Italia Metafisica
Italia Metafisica

Un percorso espositivo caratterizzato da scatti semplici, ma allo stesso tempo ricercati per andare oltre l’immagine e leggerla in chiave artistica. George Tatge ha immortalato strutture architettoniche decadenti ormai in disuso, che non hanno nessun tipo di attrazione agli occhi dei passanti, ma per Tatge quei luoghi dicono molto di più di quello che rappresentano, nelle sue foto diventano gli unici protagonisti catturando l’attenzione dell’osservatore, il quale rimane affascinato dai piccoli particolari, come ad esempio la giusta angolazione, l’illuminazione, oppure un oggetto per cambiare completamente l’immagine e renderla “arte”. Una sezione è dedicata a Foligno, con scatti fotografici originali realizzati per l’occasione, che raccontano il mistero, l’enigma del nostro vivere e la convivenza del passato con il presente. Gli scatti immortalano scorci di paesaggi urbani di tutta Italia, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia con la leggendaria Deardorff, una macchina a soffietto da cui si ottengono negativi in bianco e nero di grande formato, con lo scopo di produrre immagini che ispirino ai visitatori uno sguardo lungo e approfondito. Il rapporto tra natura e uomo lascia il posto a un solo protagonista, l’uomo e ai suoi interventi sul territorio, con tutti i significati sociali, industriali e religiosi che comportano.

Italia Metafisica
Italia Metafisica

Che si tratti di rigorose strutture di epoca romana o di anonimi condomini, Tatge vede fondamentalmente una traccia, un’impronta profonda talvolta nascosta. Alcuni spazi ritratti possono farci pensare ai pittori del primo Novecento, ma in questo lavoro il termine Metafisico sottolinea un luogo fisico per esprimere un concetto astratto o un particolare stato d’animo. Le immagini di Tatge parlano un linguaggio poetico che mette fotografia e poesia sullo stesso piano, in quanto entrambe arti del frammento. George Tatge è nato a Istanbul nel 1951 da madre italiana e padre americano. Ha trascorso l’adolescenza tra l’Europa e il Medio Oriente e successivamente si è  trasferito negli Stati Uniti. Incominciò a studiare fotografia prima di venire in Italia, nel 1973, anno della sua prima mostra alla galleria Il Diaframma di Milano. Da allora ha esposto i suoi scatti in tutto il mondo acquistando fama mondiale e riscuotendo un grande successo. Nel 2010 gli è stato assegnato il Premio Friuli Venezia Giulia per la Fotografia. Gli scatti immortalati dal fotografo ci parlano nel loro silenzio, dove l’immagine parla un linguaggio autonomo nel quale l’apporto di interpretazione del reale si concilia all’azione dell’immaginario. Le immagini regalano rappresentazioni passate e presenti di nicchie, statue, ex- cinema, fabbriche dismesse, i lunghi rami di un’edera che durante i secoli si è completamente impossessata di un recinto metallico, oppure una bicicletta appesa tra i rami di un albero privo di foglie padroneggia accanto alla finestra di una casa attirando subito l’attenzione.

Italia Metafisica
Italia Metafisica

La fotografia è una metafora con  una grande  potenza espressiva, e in questa mostra  tale  potenza è percepibile in tutto lo spazio espositivo grazie ad un paese come  l’Italia, il quale ancora oggi può dare spunti di fascino per un “altrove” capace di rimuovere l’indifferenza che la modernità sta incrementando ogni giorno. L’ indifferenza che  non ci fa apprezzare luoghi comuni, che vengono troppo spesso etichettati come anonimi, ma grazie alla sensibilità e l’ abilità di artisti come George Tatge riportano all’attenzione dell’osservatore realtà dimenticate, dove l’arte diventa la vera e unica protagonista.

Cinema, moda e diritti nel borgo: il “Garofano Rosso Film Festival” incanta l’Abruzzo

La terza edizione del “Garofano Rosso Film Festival”, diretto dal regista e produttore Paolo Santamaria, si è conclusa con un’esplosione di creatività e applausi. L’evento, nel pittoresco borgo di Forme di Massa d’Albe (Aq), ha rappresentato un trampolino di lancio per artisti in erba e una celebrazione delle produzioni cinematografiche di alta qualità selezionate per il contest abruzzese.

Tra i momenti salienti della manifestazione, la magica performance di moda en plein air firmata Vuscichè, il marchio italiano noto per il suo design circolare all’avanguardia. Diana Eugeni Le Quesne ha presentato una collezione di couture circolare, dimostrando la vocazione del brand nella creazione di abiti e accessori utilizzando materiali green e locali. Upcycling e riciclo per un fashion system più consapevole e orientato al riuso creativo che non ammette gli sprechi.

Un’esperienza unica è stata regalata dalle #Cinescursioni targate CinemAbruzzo, in sinergia con la Fondazione Carispaq. Gli appassionati, i cinefili e i curiosi hanno avuto l’opportunità di esplorare le affascinanti location che hanno dato vita a scene memorabili di pellicole iconiche come “La Bibbia” di John Huston e “Il Deserto dei Tartari” di Valerio Zurlini ai piedi del Monte Velino, sugli Appennini abruzzesi. Set naturali a cielo aperto che sono pronti ad accogliere nuove produzioni. Special guest sul tappeto rosso l’attore Danilo Arena, nel cast del film “Il comandante” di Edoardo De Angelis in concorso all’80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Un ulteriore traguardo raggiunto, dopo il lancio  nel 2022, è il “CinemAbruzzo Campus”: un progetto di residenza cinematografica stabile che ha ottenuto il sostegno della Fondazione Carispaq e riconoscimenti dalla Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura. L’iniziativa, basata sul green producing, da oggi sino al 30 settembre darà ai filmmaker under 35 l’opportunità di sviluppare progetti sensibili alle tematiche sociali e ambientali.

Quest’anno la rassegna filmica ha anche dato voce a importanti spunti di riflessione sull’attualità tramite i talk in piazza Luigi Libertini moderati da Alessio De Stefano.

Durante il dibattito “Liber* di essere”, Francesco Rubeo, Fondatore e Presidente di Marsica Lgbt, Vicepresidente di “Arcigay Massimo Consoli” (L’Aquila) ha condiviso la sua storia con gli spettatori parlando delle lotte dell’associazione sul territorio contro la discriminazione di genere e legata all’identità sessuale. Una battaglia, quella contro l’omotransfobia, che nel 2023  non è ancora finita.

Enrica Rossi, Giulia Personeni e Marianna Coppola della Desmoid Foundation Onlus hanno affrontato il delicato tema del tumore desmoide, sottolineando in “Raro è meglio di perfetto” il valore della consapevolezza, della ricerca, dell’ascolto e della sensibilità nell’accogliere la malattia per sfidare la paura grazie alla condivisione e al supporto degli affetti più cari verso i pazienti oncologici. Il potere di un abbraccio e la forza delle famiglie sono, molto spesso, una vera e propria medicina salvifica per chi affronta con coraggio le cure, il ricovero ospedaliero e la chemioterapia.

Michela Greco, Events and Communication Officer di Emergency, ha presentato il progetto “Una storia per Emergency“. La collaborazione della Ong con Rai Cinema ha acceso i riflettori sui cortometraggi realizzati da talenti emergenti under 25, mettendo in luce diritti e integrazione quali focus principali delle brevi opere. Davanti al pubblico formese, Greco ha raccontato l’esperienza da volontaria, l’emozionante incontro con l’indimenticato Gino Strada, fondatore dell’organizzazione umanitaria, e la necessità di creare ponti di pace ricorrendo anche a linguaggi sperimentali come quelli della settima arte e della realtà aumentata per coinvolgere i più giovani nelle attività in cantiere di Emergency che, istituita nel 1994, si appresta a festeggiare il suo trentennale.

Il “Garofano Rosso Film Festival” ha dimostrato ancora di essere una manifestazione culturale di spicco nel panorama internazionale, promuovendo l’innovazione, la sostenibilità e la diversità come fonti di ricchezza nell’industry indipendente made in Italy, idea più volte ribadita da Marcello Foti, ospite del festival e già direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia.

L’entusiasmo e l’impegno di tutti i partecipanti hanno trasformato la terza edizione della kermesse, dedicata al produttore Matteo Romagnoli con un premio al miglior videoclip musicale vinto dallo statunitense Tim Cofield per “Holler From The Holler” di Stephen Wilson Jr., in un trionfo di sorrisi e ricordi proiettati nel futuro ma con lo sguardo rivolto al presente e all’Abruzzo.

Photo credits Courtesy of Press Office

Terracina omaggia il “poeta eretico” Pier Paolo Pasolini tra mare e città

Un doppio appuntamento il primo settembre dedicato a Pier Paolo Pasolini a Terracina e a Borgo Hermada. Eventi che daranno il via ad un importante ciclo di eventi in alcune importanti città simbolo di Pasolini del Lazio come Roma, Terracina e Sabaudia oltre che Latina e Ostia.

Si comincia con l inaugurazione della Mostra “Il Mondo di Pasolini tra il mare e le città”, che ha già toccato Grado, Corno di Rosazzo Visogliano e Trieste il giorno 1 settembre alle ore 12.00 presso il Municipio di Terracina con la presenza dei Sindaci di Terracina Francesco Giannetti e di Duino Aurisina Igor Gabrovec, Massimo Romita e Luigi Orilia presidenti del Gruppo Ermada Flavio Vidonis di Duino Aurisina e Borgo Hermada, la dott.ssa Ilaria Bruni, con letture di poesie della Presidente della Fidapa Terracina prof.ssa Anna Maria Masci.

Alle ore 18.00 presso il Bar Centrale La Perla di Via Cesare Battisti a Borgo Hermada la presentazione di due filmati omaggio a Pasolini, il primo di un minuto dedicato agli eventi promossi dalla Fidapa Terracina tra il 2013 e 2016 il secondo il Docufilm ufficiale “Omaggio a Pasolini tra il mare e le città” che tocca le città in cui Pasolini è stato protagonista o ha vissuto. Interverranno Massimo Romita, la dott.ssa Ilaria Bruni, la Prof.ssa Anna Maria Masci ma in particolare Renato Ventoruzzo di origine friulana che parlerà di vita vissuta di Pasolini stesso. L’incontro verrà intramezzato da letture in lingua friulana della Sig.ra Lisetta Bergagna.

Terracina omaggia Pier Paolo Pasolini
Terracina omaggia Pier Paolo Pasolini

LA MOSTRA

Realizzata in quattordici pannelli nell’ambito del progetto che vede lo sviluppo in quasi due anni delle commemorazioni legate al centenario Pasoliniano, iniziate il 5 marzo 2022 a Bologna in occasione della presentazione di avvio del progetto e che si concluderanno nel mese di settembre.

Realizzata dal Gruppo Ermada Flavio Vidonis con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia sul Bando Pasolini e stampata su pannelli Forex, la mostra è stata ideata dal Presidente del Gruppo Ermada Flavio Vidonis, Massimo Romita e realizzata dalla Direttrice de Le Vie delle Foto, Linda Simeone ha già toccato Grado, Corno di Rosazzo, Visogliano, Trieste e toccherà diverse città coinvolte nel progetto, facendo tappa nelle principali città protagoniste della vita di Pasolini.

Pasolini rivive oggi più che mai nell’anno dei festeggiamenti dedicati al centenario della sua nascita appena concluso.

Seguire e comprendere Pasolini con tutti i suoi lati oscuri e nascosti, può essere fatto solo attraverso i suoi passi, ripercorrendo i percorsi che lui stesso ha intrapreso da quando è nato. Bologna, Casarsa, Idrja, Roma, Grado, Ostia, Terracina, Sabaudia, Sacile e Reggio Calabria. Prima per seguire il padre, poi restare con la famiglia, creando la sua identità e poi ancora per scappare da una mentalità troppo lontana da quella in cui egli stesso viveva.

I posti che ha vissuto e hanno caratterizzato la vita, il linguaggio e – perché no – anche i pensieri di Pier Paolo sono rappresentati in questi quattordici scatti e vogliono evidenziare e valorizzare la sua vita da zingaro, che, si sa, influisce in primis sul pensiero, ma non solo: anche sull’apertura verso un mondo che ha saputo, solo in parte, accettare Pasolini. Un genio irriverente che, tuttora, fa parlare di sé (nel bene e nel male).

Pasolini rivive in questi quattordici scatti moderni grazie all’elaborazione grafica di altrettante immagini famose che ritraggono l’artista, rivisitate graficamente a “matita” . Un viaggio che esalta la diversità dei luoghi che hanno caratterizzato la vita di Pasolini e che, inevitabilmente, ne hanno influenzato il carattere. E voi, domanda Linda Simeone, ve lo siete mai chiesti in che dialetto pensava Pasolini?

Obiettivi del progetto è indagare la personalità di Pasolini dalla vita all’opera, scoprire la straordinaria sensibilità e arguzia nutrita dalla disumana realtà delle decadi della Guerra Mondiale, prima e dopo, che hanno plasmato la figura eclettica e controversa che conosciamo, che ha saputo esprimersi in ogni campo dove la parole è necessaria, dal giornalismo al cinema, dalla poesia al romanzo. L’anima del Poeta si è nutrita anche della straordinarietà della vita di tutti i giorni, alla quale spesso fanno da scenografia un nordest e un Friuli dal sapore antico nei modi, nei luoghi e nella lingua amata da Pasolini.

Da Casarsa a Grado, da Sacile a Gorizia fino a Idria, sono molti gli itinerari da scoprire e promuovere oggi celebrando questa grande figura. Il padre Carlo Alberto, girovago per necessità, ha certamente lasciato in eredità al figlio Pier Paolo l’urgenza di passare oltre, di non fermarsi, in un moto perpetuo dell’anima che ha solcato l’Italia degli anni più cupi del Regno e dei primi splendidi soli della Repubblica, arenandosi tragicamente a Ostia. Da Bologna a Ostia, passando per Bari, Roma, Sabaudia e Terracina e molte altre località, ancora in viaggio nei luoghi vissuti da Pasolini, oltre il Friuli, ma per farvi ritorno.

Attraverso le Città protagoniste della vita di Pasolini abbiamo voluto ripercorrere, sotto diverse forme artistiche, i testi, i brani e i contenuti lasciateci da Pasolini stesso. Grazie a dieci partner nazionali, enti istituzioni, parchi e associazioni, percorreremo lungo l’Italia delle importanti tappe, partendo proprio da Bologna, città natia di Pasolini. Il 5 marzo 2022 infatti è stata proprio la città di Bologna a ospitare due conferenze promosse dal Gruppo Ermada che andavano a omaggiare l’autore protagonista di questo progetto.

“Umbria Jazz 1973-2023”, a Perugia una mostra celebra i 50 anni del famoso festival musicale

Testo e foto a cura di Vanessa Bocci


A Perugia, negli spazi espositivi della Galleria Nazionale dell’Umbria, sino al 27 agosto  sarà possibile visitare la mostra fotografica “Umbria Jazz 1973-2023” per celebrare i 50 anni del festival musicale. I curatori  sono Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria e Carlo Pagnotta, direttore artistico di Umbria Jazz
; la mostra riunisce alcuni fotografi, i quali hanno saputo  immortalare momenti importanti della storia del festival.

Mostra “Umbria Jazz 1973-2023”
Mostra “Umbria Jazz 1973-2023”

La rappresentazione è costituita da circa 100 immagini che raccontano una grande storia, gli artisti appartengono a generazioni diverse, ma allo stesso tempo sembrano dialogare tra di loro con lo stesso linguaggio rendendo il percorso espositivo omogeneo e armonico: Andrea Adriani, Massimo Achilli, Giancarlo Belfiore,  Elena Carminati, Roberto Cifarelli, Sergio Coppi, Riccardo Crimi, Pietro Crocchioni, Tim Dickenson, Hiroki Fujioka, Marco Giugliarelli, David Morresi, Pino Ninfa, Carlo Pieroni, Karen Righi, Mimmo Rossi, Andrea Rotili, Adriano Scognamillo, Pio Scoppola restituiscono momenti, vissuti e spaccati di cinquanta anni di storia memorabili.

Mostra “Umbria Jazz 1973-2023”
Mostra “Umbria Jazz 1973-2023”

La mostra è divisa in due sale, nella prima sala  sono collocate   le immagini dei manifesti delle varie edizioni del festival partendo dal 1973 fino ad arrivare al 2023 con un tripudio di colori accessi e rappresentazioni, che spaziano da fantasie geometriche passando per illustrazioni bizzarre come il manifesto del 2019, nel quale è riprodotta una figura maschile con una divisa di un giallo accesso impreziosita da oggetti che rimandano al mondo della musica e all’interno della bocca ha un sigaro dove fuoriescono note musicali, un’immagine che colpisce l’occhio dell’osservatore per la sua originalità e stravaganza. Prima di accedere alla seconda sala, c’è uno spazio dedicato alla proiezione di momenti indimenticabili della manifestazione.

Mostra “Umbria Jazz 1973-2023”
Mostra “Umbria Jazz 1973-2023”

Successivamente si arriva alla seconda e ultima sala della mostra, dove il visitatore può ammirare in tutto il suo splendore le straordinarie immagini di alcuni momenti delle varie edizioni del festival, le quali immortalano strumenti musicali, cantanti jazz durante le loro esibizioni andando a catturare i gesti, gli sguardi di grandi artisti che hanno saputo trasmettere un vortice di emozioni e sensazioni nel pubblico.  La bella foto è quando guardandola senti con le orecchie del cuore la musica. Senti il lirismo di Chet Baker, la malinconia esistenziale di Miles, il furore di Mingus, la lucida follia di Monk, il romanticismo di Stan Getz. Vedi la storia che ti scorre davanti, una storia raccontata magistralmente da grandi fotografi del jazz, le cui immagini sono icone finite nei libri o sulle copertine dei dischi.

Mostra “Umbria Jazz 1973-2023”
Mostra “Umbria Jazz 1973-2023”

La mostra, accompagnata da un catalogo bilingue edito da Shira, è realizzata grazie alla collaborazione con il Ministero della Cultura, Regione Umbria, Comune di Perugia, Comune di Orvieto, Fondazione Perugia, Soprintendenza Archivistica e Bibliografia dell’Umbria.L’esposizione restituisce la storia di Umbria Jazz , ma ci restituisce anche l’arte dei fotografi rendendo immortale la forza della manifestazione, che ha saputo porre Perugia sulla scena nazionale e internazionale. Una mostra che ha lo scopo di raccontare mezzo secolo di storia del jazz, il quale hacaratterizzato una città, come quella perugina, che ha visto passare per le sue vie grandi nomi, i quali hanno fatto la storia della musica jazz incantando con le loro performance generazioni differenti, ma accomunate da una passione, quella di stare sotto i palchi dei loro idoli, oppure tra le strade per cercare lo scatto giusto. Anche le persone comuni hanno fatto la loro parte per costruire un patrimonio, che ha permesso di poter raccontare una storia così vasta e dettagliata di una manifestazione che ha regalato emozioni autentiche in cinquanta anni di storia. La mostra Umbria Jazz 1973- 2023 non è solo un racconto per immagini, ma uno spartito sul quale sono iscritte le note di un festival che è riuscito ad essere internazionale prima per sé stesso e poi per il pubblico. La musica e l’arte ancora una volta si incontrano per dare luogo ad una esposizione senza precedenti restituendoci cinquanta anni di persone, di esperienze, di lavoro grazie a fotografie e manifesti per regalarci una storia dettagliata di una rappresentazione che ha portato una piccola regione come  l’Umbria sulla scena mondiale.

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